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Venom - La furia di Carnage - Recensione: Il secondo tragico Venomozzi

Al cinema è arrivato Venom: La furia di Carnage, secondo capitolo di una saga ostinatamente ancorata a un modello di Cinema action piuttosto geriatrico e apparentemente senza idea alcuna su come trattare il personaggio

Prefazione 

È un venerdì di metà ottobre e con il favore di un cielo azzurro mi muovo con entusiasmo verso l’Odeon di Point Square per andare a vedere Venom - La furia di Carnage nell’unica sala concepibile, la numero uno.

 

La sala più grande, l’unica ad avere l’impianto Dolby Atmos sfruttato dalle sale iSense, una forma meno pregevole del formato IMAX.

 

Sia chiaro: non dà un grande valore aggiunto alla visione, ma è l’unico schermo che non ricordi la saletta cinematografica privata di un pervertito ottuagenario il cui pavimento non è mai stato pulito dopo le visioni accompagnate dalla tecnica dello sconosciuto, la cui riserva di ossigeno utile a evitare danni cerebrali è materiale da astronauta alla deriva nello spazio. 

 

 

 

Arrivo al cinema giusto qualche minuto prima dell’inizio del film, convinto che ad attendermi ci sia l’estenuante visione di pubblicità e trailer.

 

Con mia enorme sorpresa appena mi accomodo sulla poltrona a schermo parte il trailer di Encanto.

 

Trovo bizzarra la scelta di proporre un film per famiglie prima della visione di una pellicola che, qui in Irlanda, è vietata ai minori di 15 anni. 

A schiaffo si avvicenda il logo di 20th Century Studios e le prime immagini di Ron - Un amico fuori programma, quello che sembra essere un brutto rip-off de I Mitchell contro le macchine.

 

Sono oltremodo confuso, soprattutto a causa della coppia di Marvel-fan seduti dietro di me, particolarmente catturati dalle immagini sullo schermo e per nulla preoccupati dal palese errore di proiezione.   

 

 

[Che sullo schermo sia stato proiettato per sbaglio Ron - Un amico fuori programma è quasi poetico: dice tutto il titolo originale, Ron's Gone Wrong, diventando un oscuro presagio riguardo la visione di Venom]

 

Il sociopatico che risponde al nome di Sandro, mal celato nella mia testa, inizia a gridare le peggiori imprecazioni mai ideate su questa terra, sfruttando lingue e grugniti gutturali a me impossibili da riprodurre a voce alta.

 

Cerco confuso lo smartphone dentro la tasca dei jeans, andando contro l'istinto di utilizzare dispositivi al buio del cinema.

Non posso aver sbagliato giorno o sala, considerando il controllo elettronico del biglietto all’ingresso e la mia maniacale ansia legata a orari, appuntamenti, posti a sedere e quasi qualsiasi altra attività relativa, anche in minor entità, a uno spostamento.   

 

Calmo il mio doppelgänger mentale, oramai così infuriato da aver iniziato a toccare tutti i tasti morali dolorosi al fine di farmi male e spronarmi a una qualsiasi azione.

Mi dirigo con l’agilità da rigor mortis della mamma di Bambi verso l’uscita della sala per raggiungere una maschera: trovo un teenager più spaesato di Anthony Hopkins sul set di Thor al quale far notare l'errore.   

 

Torno in sala quando finalmente parte lo spettacolo corretto e sullo schermo viene proiettato il trailer di Morbius, che i Marvel-fan alle mie spalle scambiano prima per Batman, poi per “a vampire movie” e infine per Gli Eterni di Chloé Zhao.

Ovviamente le luci della sala sono accese e non c’è audio.

 

Mosso da pietà, il tizio della fila di fronte alla mia decide che è il suo turno di raggiungere il teenager hopkinsizzato e cercare di portare in salvo l’antico Vaso di Pandora che è diventato questo amaro spot, narrativamente pieno di conflitto, che è la visione di Venom - La furia di Carnage

Tutto si sistema poco prima che decida di saltare alla gola dei "protonerd" della fila dietro la mia, capaci di guardare il trailer di Ghostbusters: Legacy e trovarci parallelismi con Interstellar.

 

L’impianto Dolby Atmos oblitera completamente le loro vocine irritanti e l’ira di Sandro, permettendoci di abbandonarci a Venom - La furia di Carnage, cominciato sotto una cattiva stella. 

 

 



Il secondo tragico Venomozzi

 

Dopo un primo e per nulla esaltante capitolo di Venom, che si concludeva con una scena post-credit ad anticipare un Cletus Kasady pettinato come il Professor Cataldo della scuola di lingue “Non vedo, non sento ma parlo”, l'idea di un secondo capitolo non era certamente il cioccolatino pralinato da gustare sul retro di una limo in viaggio verso Las Vegas.

 

Il film non solo falliva miseramente nel portare Venom sullo schermo, ridotto a una macchietta da buddy movie simbiontica, ma riusciva nell’incredibile impresa di zombificare il Cinema action ripescando dal fondo di un oceano perduto i peggiori stilemi delle pellicole anni 2000. 

Venom senza Spider-Man non solo non cercava di aggirare la problematica di raccontare delle origini monche, ma le riscriveva costruendole su tutti i cliché possibili e immaginabili, facendo di Venom "Lethal Protector" uno zuzzurellone venuto dallo spazio, utile a vari siparietti e visivamente caricaturale rispetto al personaggio conosciuto dal pubblico.

 

Molti ricorderanno il video in cui Todd McFarlane, creatore del design del personaggio e prima matita a portarlo su un fumetto, correggeva il tiro del team di VFX artist che proprio non era riuscito a dare al simbionte il giusto appeal.   

 

 

 

L’idea di avere sullo schermo un anti-eroe carismatico vietato ai minori era allettante solo per il pubblico, ma molto meno per i produttori Sony che dal reparto di geriatria dirigono lo sviluppo delle loro proprietà intellettuali.

 

In Venom non c’era una goccia di sangue e il concetto di Lethal Protector, di un personaggio à la Dexter Morgan ma armato di simbionte alieno a fare da passeggero e spesso pilota delle sue azioni (passatemi il parallelo come appiglio iconografico vicino a molti e non come idea da replicare 1:1), è stato abbandonato in favore di una patetica scrittura comica e scanzonata utile ad ammiccare a un pubblico che in Venom vede solo un nome parte di un mondo ora molto di moda, del quale spesso riconosce i personaggi grazie a Google.  

 

La reiterazione di questo concetto, totalmente erroneo, continua a vivere in questo sequel, prendendo una deriva ancora più ridicola e per certi versi talmente esagerata da poter pensare che “Il secondo tragico Venomozzi” sarebbe stato un titolo più calzante per il film.   

 

Tornano stilemi narrativi abusati, Venom ed Eddie Brock sono in parte riscritti per avere una decadenza intellettuale e una forza demenziale comica pari solo a quella di Joey Tribbiani nelle stagioni più avanzate di Friends e, in generale, il film fiero della propria durata di 90 minuti risplende nella desueta e bieca usanza di certe operazioni che trattano lo spettatore amante dei comics come un depensante, desideroso di vedere il proprio beniamino muoversi sullo schermo come un Funko Pop, senza rispetto del suo mito bensì qui e là sorretto da ammiccamenti maldestri alla sua lore

 

La sceneggiatura di Venom - La furia di Carnage ci tiene particolarmente a ricordare questo tratto, evitando di prendere minimamente sul serio l’idea di affrontare Venom come un film degno di questo nome e meritevole di una basilare forma di racconto per immagini.

 

Ogni personaggio, a partire da un Eddie Brock fantozziano che rimbalza per la scena, viene buttato nel contesto senza essere raccontato, senza costruzione di un adeguato conflitto, senza motivazioni, sesso, odio, rabbia, risentimento, violenza.

Sono pedine che si muovono per un mondo privo di qualsiasi forma di world building, abbozzate tra le righe di una storia che ha una meravigliosa idea di base, lasciata però sulla lavagnetta degli sceneggiatori e presente nel film solo come suggestione, senza alcuno sviluppo.

 

Senza che spenda troppe parole, in un canovaccio così abbozzato, credete esistano logici passaggi di causa ed effetto?

 

Ovviamente no!   

 

 

[Siamo sostanzialmente nello stesso salone di bellezza. E, sia chiaro: il nuovo parrucchino non migliora di molto la situazione]

 

Mindhunter: Cletus Kasady  

 

L’ingresso di Todd McFarlane nel mondo di Spider-Man e le influenze grottesche del suo tratto e delle sue storie, contrariamente alla volontà della Marvel Comics di tenere Spidey imbrigliato in canoni che lo stavano uccidendo uscita dopo uscita, hanno ridato vita al personaggio attirando nuovi lettori ora affascinati dalle sue pose animalesche, ora dalle ragnatele ingarbugliate o dalle lenti della maschera enormi ed espressive, da tavole molto più dinamiche anche nella costruzione della gabbia e dal carattere sinistro di alcune storie.

 

Venom è stato solo uno dei molti personaggi che ha ridefinito il panorama dei contrasti di Peter e della sua galleria di villain, popolata da molti personaggi che adeririscono, senza accezioni troppo negative, al concetto di “da fumetto” (si potrebbe pensare a Shocker, tanto quanto a I Duri aka The Enforcers, presenti anche nelle avventure di Daredevil).  

 

L’introduzione di Carnage, curata dallo sceneggiatore David Michelinie e dal disegnatore Mark Bagley, ha portato nel mondo di Spidey una figura che raccoglie l’eredità di quelle influenze.

Cletus Kasady/Carnage è un serial killer psicotico e sadico, un personaggio che oggi, parlando di Cinema, potremmo definire fincheriano e che non sfigurerebbe come protagonista di una puntata di Mindhunter.

 

Parliamo di un sadico psicopatico armato di un simbionte che lo rende potenzialmente inarrestabile, un vero incubo alieno tra uomini trasformatisi in animali da cacciare, esattamente come voleva Zodiac nelle sue lettere.   

 

L’idea di avere Kasady sullo schermo avrebbe dovuto rappresentare una ricca occasione per redimere il precedente capitolo con un sequel intriso di sangue e, ad essere onesti, l’idea di base della sceneggiatura era piuttosto grandiosa.  

 

 

[Venom e Carnage disegnati da Mark Bagley]

 

Il killer viene legato al personaggio di Frances Barrison/Shriek, riprendendo vagamente una delle molte storie con protagonista Carnage, ma gettando le basi per quello che sembrava potesse essere un Natural Born Killers con superpoteri e simbionti, il cui potenziale apriva a un possibile finale tragico shakespeariano, considerato il potere antitetico al simbionte rosso.

 

La sceneggiatrice Kelly Marcel - chiaramente a suo agio con questi toni dopo l’adattamento di Cinquanta sfumature di grigio, la scrittura di Saving Mr. Banks e la creazione della serie Terra Nova - decide invece di buttare via ogni traccia di deviazione e violenza per portare sullo schermo uno dei serial killer più camp e fuori tempo massimo della Storia del Cinema, che forse renderebbe orgoglioso il compianto Joel Schumacher.   

 

Cletus Kasady evade di prigione come farebbe Taz-Mania in un cartone animato Warner Bros., si veste come se il suo personaggio avesse dormito criogenicamente da metà degli anni ‘90 fino al 2021 inscenando un remake di Demolition Man, ha una backstory animata da un "wannabe Tim Burton" e, in linea di massima, nel suo non essere raccontato, viene sostanzialmente liberato per la storia come un nerd al San Diego Comic-Con: armato di molti sogni, voglia di rimorchiare una prosperosa cosplayer di Power Girl e un sacco di pose gimmick. 

 

In questo frangente entriamo in quella che è la più grande pecca di questa produzione: la carica thriller e orrorifica di Carnage non esiste all’interno del film, totalmente privo di sangue o di qualsiasi azione che possa vagamente far intuire allo spettatore perché il sessantenne Woody Harrelson sia stato umiliato con un personaggio così sciatto e una parrucca imbarazzante.

 

A peggiorare la sua condizione è forse un patetico momento di sceneggiatura, che forse doveva servire per celebrare la generazione di Harrelson, in cui si “risolve” un enorme porzione di sceneggiatura con Kasady che chiede al simbionte di infilarsi nel laptop di una stazione di servizio per navigare su Internet e accedere a file governativi secretati.

 

Sarebbe stato interessante scoprire che Carnage è rosso in quanto versione simbiotica di un coltellino svizzero.   

 

Il rapporto tra Kasady e Marcell è inesistente, il serial killer non ha alcun carisma o qualsivoglia forma di magnetismo che possa portare il pubblico a guardare con orrore e un interessato disgusto alla sua figura: l’idea di esplorare una storia in stile Natural Born Killers nasce e muore con l’incipit del film, ignorando quella che era a tutti gli effetti la migliore intuizione di Venom - La furia di Carnage.   

 

 

[Una bella foto di Greg Williams sul set di Venom - La furia di Carnage]

 

Il paradosso dei 90 minuti  

 

Venom - La furia di Carnage, tra le sue molte stramberie, si allontana anche dai nuovi standard di durata dei film di intrattenimento.

 

In un presente in cui persino John Wick 3 dura almeno due ore, Venom - La furia di Carnage si snoda in 90 minuti, come usanza di molte pellicole action di una certa epoca.

Il che potrebbe essere positivo, se la storia fosse incredibilmente semplice o meravigliosamente ben scritta.

 

Tuttavia Venom - La furia di Carnage mette una discreta quantità di carne al fuoco e in 90 minuti non racconta nessuno dei comprimari, si arricchisce di “perché sì” per giustificare snodi narrativi (come l’esempio del laptop di cui sopra) e dà per scontati rapporti e conflitti tra i personaggi, lasciando lo spettatore attonito, confuso e in balia di gag, idee di scrittura abusate e sostanzialmente quella che potremmo definire una rom-com action simbiotica tra Venom e Eddie Brock.

 

Storia d'amore grottesca nella quale - in tre atti - il nostro cuore si strugge per le dinamiche di una passione amorosa apparentemente perfetta, ma impossibile da realizzare poi con un gesto eclatante, nell’ultimo emozionante atto.   

 

Se persino Seven, Prisoners e Zodiac, meravigliosi thriller con serial killer, durano oltre due ore per prendersi il tempo di raccontare i giusti contrasti e livellare il ritmo per aderire alla presenza di omicidi e toni ansiogeni, perché Venom - La furia di Carnage si comporta com un film dei primi anni 2000 e taglia la narrazione con l’accetta?   

 

Il sospetto è che il film sia talmente povero in sceneggiatura, così come nel girato, di elementi di qualità da poter vivere solo ed esclusivamente in questa sua versione difettosa e insolitamente protagonista di un umorismo spesso cringe e sbilanciato rispetto a quanto vediamo sullo schermo, con tanto di plot point buttati nella mischia senza una minima, quanto adeguata, costruzione verso di essi.   

 

 

 

 

Andy Serkis  

 

Quando fu scelto Andy Serkis per dirigere il film il sospetto era che Sony stesse cercando qualcuno a suo agio con i VFX per migliorare Venom - ampiamente criticato dal pubblico - e la resa generale di un film che fa di questo elemento il fulcro principale di ogni sequenza.

 

Gli scambi tra Tom Hardy e Venom li ho infatti trovati molto buoni, tecnicamente parlando, risultando credibili ma, senza ritornare alla scrittura e a quanto già discusso in apertura, fuori luogo e troppo sbilanciati rispetto alla descrizione del personaggio.   

 

A mio avviso il vero problema è quando il film arriva nelle parti action più concitate, soprattutto nel terzo atto, e lo scontro tra Venom e Carnage non solo è privo di solide motivazioni narrative, ma scenograficamente confuso e mal coreografato.   

 

In regia si fa opera di macelleria con una serie di tagli in sede di montaggio, per dare quel ritmo (che fa rima con stordimento) tipico di quelle aggraziate mani sapienti totalmente aliene al concetto di azione.   

 

Ho citato John Wick 3, ma posso invitarvi a fare riferimento anche a Mad Max: Fury Road, Matrix, Tyler Rake, persino Police Story con protagonista Jackie Chan, per capire come girare delle scene d’azione che riescano a rendere il flow delle sequenze fluido e leggibile allo spettatore.

Se volete andare su un massiccio uso di VFX, anche Pacific Rim non scherza e per quanto riguarda i supereroi al cinema, Spider-Man 2 di Sam Raimi è una discreta masterclass.   

 

In Venom - La furia di Carnage sembra di essere tornati, scusate se mi ripeto, ai primi anni 2000 e a quelle pellicole dirette da registi a disagio rispetto all’utilizzo di VFX e di complesse coreografie nei combattimenti, abbozzando il tutto con tagli estenuanti e una confusionaria dinamica delle scene.

 

Lo scontro finale tra Venom e Carnage trovo che sia una landa devastata da un fallout nucleare, sia per scrittura sia per la messa in scena, e sembra quasi impossibile trovare qualcosa da salvare.   

 

 

[Eddie ti presento Venom, o Seth MacFarlane che ha spostato il suo Ted in cinecomic per inscenare una sorta di La strana coppia]

 

Venom - La furia di Carnage   

 

Venom - La furia di Carnage è secondo me uno dei film peggiori della stagione cinematografica in corso, un manuale di pessima sceneggiatura e manifestazione perfetta di una produzione benedetta dalla proprietà di un personaggio popolare, ma del quale non sanno che farsene se non portarlo sullo schermo come viene, ignorando totalmente l’idea di affidarsi a qualcuno che sappia trattare la traduzione da personaggio fumettistico a Cinema.

 

Il primo titolo pensato per il film Venom - Love will tear us apart era forse più calzante per riflettere un film senza traccia di carneficina (Carnage) ma incentrato su una serie di contrasti tra i due buddy del film; avrei accettato il riferimento alla canzone dei Joy Division anche se l'altra "strana coppia" e il loro plot  fosse divenuto un pilastro del film da mettere in contrasto con quello dei due protagonisti, creando un'unica grande trama fatta di parallelismi.

 

Peccato che nulla di questo sia accaduto.

 Venom

Venom - La furia di Carnage, osservando la campagna marketing che ha accompagnato la release del film e le ammiccanti dichiarazioni della produzione, ha portato il pubblico al cinema solo ed esclusivamente con la premessa di un futuro affascinante per il brand rispetto a Spider-Man.

 

Il film vive solo ed esclusivamente della scena post-credit e Venom - La furia di Carnage sembra un progetto portato avanti per prendere tempo rispetto al futuro, perseguendo un Cinema che vive di scene extra dopo i titoli di coda ed easter egg spacciandoli per narrazione evoluta.

 

Nel mentre, il film che il pubblico sta guardando ha l'aspetto del nulla mischiato col niente, si muove in maniera scoordinata e il tutto ricorda più un gioco di specchi di un prestigiatore truffaldino di quart’ordine, piuttosto che il Cinema.

 

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