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Ritrovarsi a Tokyo - Recensione: di padri e figlie - Intervista al regista Guillaume Senez

Il nuovo film del regista belga Guillaume Senez è un ritratto sensibile e commovente sulla paternità, diviso fra l'Europa e il Giappone

Ritrovarsi a Tokyo è il nuovo film di Guillaume Senez con Romain Duris, Tsuyu Shimizu, Judith Chemla, Mei Cirne-Masuki e Shungiku Uchida, distribuito in Italia da Teodora Film.

 

Jérôme è un francese trapiantato a Tokyo dove lavora come tassista; dopo tanti anni si è deciso a vendere la propria casa e fare finalmente ritorno in Francia, dove raggiungerà il padre ansioso di rivederlo.

A trattenerlo in Giappone è il ricordo di sua figlia Lily, affidata in modo esclusivo alla madre dopo la separazione dei due e di fatto sottratta alle cure del padre, che non ha più sue notizie da nove anni e che non ha mai perso la speranza di ritrovarla. 

Oltre al lavoro come tassista Jay - il soprannome di Jérôme - insieme all’amica avvocata Michiko fornisce supporto ad altri genitori, giapponesi e non, che come lui subiscono le conseguenze aberranti della legge locale sull’affido esclusivo dei figli.

 

Mentre guida il suo taxi un giorno tutto cambia per Jay, e il destino sembra finalmente sorridergli. 

 

[Il trailer in italiano di Ritrovarsi a Tokyo]

 

 

Dopo il film del 2018 Le nostre battaglie Guillaume Senez torna alla regia con un altro dramma familiare di rara intensità sul rapporto tra un padre e una figlia che non si sono mai davvero conosciuti e che non desiderano altro che ritrovarsi, divisi da paradossi burocratici e ostacoli legali e culturali che sembrano insuperabili. 

 

Senez ha firmato la sceneggiatura di Ritrovarsi a Tokyo a quattro mani con Jean Denizot: lo script ci conduce piano piano e con estrema accuratezza nella vita di un espatriato francese a Tokyo, trascurando i cliché esotici del viaggio in Asia e le pose da cartolina per concentrarsi sul significato profondo di questa estraneità linguistica, culturale e topografica, che si rivela anche un’estraneità dei sentimenti. 

Sebbene Jay sembri aver trovato una sua dimensione nella megalopoli gigantesca e ordinata di Tokyo, perfettamente a suo agio con la lingua e con le strade della città che percorre ogni notte in taxi, è e rimane un gaijin, cioè uno straniero (letteralmente non giapponese).

 

La sua condizione diventa quantomai evidente quando l’avvocata Michiko illustra a Jessica - un'amica e conterranea nella stessa situazione - i passi da compiere per cercare di rivedere il figlioletto, “rapito” dal padre giapponese e portato a Tokyo contro la volontà della madre, alla quale non è permesso di vederlo nemmeno in foto. 

 

 

[Una scena di Ritrovarsi a Tokyo] 

 

 

In Ritrovarsi a Tokyo vediamo i lati più chiaroscurali e inaspettati del Giappone, su tutti quello patriarcale e quasi retrivo della legislazione in materia di famiglia e affido dei minori in caso di separazione dei genitori.

 

Per preservare la quiete domestica e la presunta tranquillità del figlio minore la legge prevede una sostanziale alienazione del figlio dal genitore non affidatario (solitamente il padre), il quale perde il diritto di vederlo e frequentarlo, sebbene gravato dall’obbligo di mantenimento. L’allontanamento del genitore straniero diventa irreparabile in caso di divorzio, che comporta per il genitore non giapponese la perdita della potestà genitoriale. 

Il doppio estraniamento di Jay, straniero e padre ripudiato, è al centro della riflessione di Ritrovarsi a Tokyo sui legami famigliari e affettivi, che neanche una legge come quella giapponese che ci appare ingiusta e crudele (o semplicemente indifferente) può spezzare.

 

Romain Duris ritorna nel ruolo di padre a contatto con il diverso dopo il meraviglioso The Animal Kingdom, in una performance di rara profondità emotiva a cui partecipa con grande espressività senza celare i lati più drammatici e controversi del suo personaggio. Jay ha infatti la costituzione resistente e persistente dei padri: è coraggioso, responsabile, arrivando ad accettare anche le conseguenze più estreme pur di mantenere un contatto con la figlia Lily.

 

Lasciandosi alle spalle quel senso di ingiustizia irreparabile provocato dalla lunga mancanza di contatti con la figlia.

 

 

[Una scena di Ritrovarsi a Tokyo]

 

 

Il difficile rapporto con l’alterità sfiora il tema del razzismo, reso efficacemente dalla crescente incomunicabilità con gli esponenti giapponesi di Ritrovarsi a Tokyo, in particolare con i rappresentanti delle istituzioni, con i quali la mediazione linguistica non riesce ad abbattere le barriere culturali che segnano differenze inconciliabili, soprattutto nell'esternazione della propria emotività. 

 

Ritrovarsi a Tokyo è un film sorprendente e stratificato che trova la sua forza nel connubio tra la potenza narrativa ed emotiva della sceneggiatura, le interpretazioni raffinatissime dei protagonisti e la messa in scena pulita e sempre attenta alla verosimiglianza, ricca di dettagli che permettono di familiarizzare con situazioni e luoghi del tutto anomali nei quali Guillaume Senez innesta sentimenti universali e anche molto contrastanti tra loro, senza mai scivolare nel didascalico.

 

La frustrazione e la rabbia di Jay per le ingiustizie subite lasciano il posto sul finale alla speranza e consapevolezza che padre e figlia sapranno come ritrovarsi colmando quella parte mancante che ha saputo tenerli uniti.

 

 

[Una scena di Ritrovarsi a Tokyo]

 

Ho avuto il piacere di intervistare il regista di Ritrovarsi a Tokyo che mi ha raccontato la genesi del film e il significato che ha assunto per i genitori coinvolti nei cosiddetti rapimenti in Giappone: 

 

Vittoria Sertori

Come sei arrivato a scrivere e sentire la storia di Ritrovarsi a Tokyo? 

 

Guillaume Senez

Questa storia è nata durante la promozione con Romain Duris del mio film precedente, Le nostre battaglie. 

Eravamo insieme in Giappone per la promozione e siamo venuti a contatto per caso con l’esperienza dei genitori allontanati dai figli dopo la separazione dal coniuge giapponese.

È così che ci siamo interessati al soggetto e abbiamo cominciato ad approfondire; Romain è stato parte del progetto sin dall’inizio, tra l’altro lui è molto appassionato di cultura giapponese. 

 

VS

Com’è stato girare sulla base di una storia così dolorosa e difficile che poggia su un ritratto molto contraddittorio del Giappone, che ci appare come un paese estremamente evoluto quando pensiamo al rispetto dell’altro? 

 

Guillaume Senez

È una storia di paternità e di estraniamento, che ci parla anche di cosa vuol dire essere stranieri specialmente in un paese tanto più ricco del proprio.

La storia è vista dagli occhi di Jay, nel prisma della sua esperienza e volevo che fosse realistica dal lato umano e da quello della descrizione dell’ambiente circostante. Volevo evitare cliché, come per esempio le riprese del Monte Fuji, e la rappresentazione del Giappone da cartolina, ma mostrare un luogo che seppur molto diverso da quello che conosciamo ci è in qualche modo familiare.  

 

VS

So che durante la lavorazione di Ritrovarsi a Tokyo hai incontrato mamme e papà toccati da vicino dall’esperienza che racconti nel film: com’è stato incontrare i protagonisti di queste storie? 

 

Guillaume Senez

È stata un’esperienza molto ricca non solo a livello cinematografico: abbiamo cercato il realismo prendendo un po’ da tutte le storie che abbiamo ascoltato, scegliendo comunque di rimanere all’interno della fiction senza sconfinare nel documentario.

Abbiamo parlato con giapponesi e non giapponesi, con donne e con uomini, tra loro anche Vincent Fichot, che ha fatto lo sciopero della fame durante le Olimpiadi di Tokyo del 2021 proprio per protestare contro la legge che prevede l’affido esclusivo e contro i 150.000 casi l’anno di “rapimenti”  di figli da parte dei genitori in Giappone.

 

In particolare ci sono due papà che ci hanno accompagnati durante tutte le riprese e la lavorazione di Ritrovarsi a Tokyo. Non solo questi padri hanno sempre coltivato la speranza di rivedere i propri figli, ma sentivano la necessità e l’orgoglio di partecipare in qualche modo al film per lasciare una traccia della loro battaglia, per mostrarlo poi ai figli quando li avrebbero rivisti.

Desideravano attraverso il film avere una prova della loro sofferenza ma anche della lotta per riaverli, una dimostrazione del fatto che non si sono mai arresi e dell’esperienza che hanno vissuto per mantenere la propria genitorialità.

 

VS

Questo film parla anche dell’essere stranieri ed estraniati in un paese molto diverso dal proprio, oltre che dell’essere estraniati dal proprio nucleo famigliare e dal ruolo di padre, non trovi?  

 

Guillaume Senez

Ritrovarsi a Tokyo è anche una storia di razzismo, che esiste in Giappone come da noi.

Lo status di straniero in un posto con tante differenze culturali e linguistiche rende molto più difficile esercitare i propri diritti. Non viene mostrato nel film, ma il padre rimane in prigione per circa due mesi prima di essere ricevuto dal giudice.

 

Non volevamo fare un film giudicante o contro il Giappone, per questo abbiamo parlato non solo con molti genitori, papà e mamme che hanno vissuto e vivono questa esperienza, ma anche con avvocati e poliziotti affinché il film potesse essere prima di tutto vero, realistico e rispettoso.

 

 

[Una scena di Ritrovarsi a Tokyo [Una scena di Ritrovarsi a Tokyo]

 

VS

Com'è stato girare in Giappone?  

 

Guillaume Senez

Ritrovarsi a Tokyo lo abbiamo girato interamente in Giappone perché girarlo in studio in Francia o in Belgio era fuori discussione per me.

Sono molto attento al realismo e ai dettagli, per cui il film è stato interamente girato a Tokyo e Romain ha davvero guidato nelle scene in cui era alla guida, ha studiato giapponese per mesi e ha imparato a guidare a destra: mi ha impressionato molto il suo impegno e la sua dedizione.

Ci tenevo che fosse tutto molto realistico, ad esempio anche Mei Cirne-Masuki, l’attrice che interpreta Lily, aveva davvero dodici anni al momento delle riprese.

 

VS

Che cosa ti ispira nella vita, a proposito di Cinema e non solo?

 

Guillaume Senez

Soprattutto film, da regista sono anche e soprattutto un cinefilo, guardo tanti film non solo perché mi piace, ma anche per capire che cosa è già stato fatto e cosa no.

Sono anche padre di tre figli, quindi sicuramente i miei figli sono una grande ispirazione per me.

 

VS

Che cosa significa fare Cinema per te?

 

Guillaume Senez

Ho sempre voluto fare Cinema e quindi per me è naturale.

Credo sia per vincere la paura della morte, perché il Cinema rimane, è immortale. Credo valga anche per gli attori.

 

Penso che quando non ci sarò più continueranno a esserci i miei film e continueranno a dire qualcosa.

___ 

 

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