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8 inconsueti cattivi cinematografici

Cosa succede quando crollano le certezze su come dev'essere un cattivo?

Da sempre il Cinema ha una fascinazione particolare per le grandi storie di eroi, ma come recita un vecchio luogo comune “per fare un buon film serve un ottimo cattivo”: un villain capace di intimorire e accattivare lo spettatore, di creare empatia, ma soprattutto di riuscire a tenere la scena insieme al paladino dai buoni sentimenti di turno.

 

La Storia del Cinema è infatti piena di grandi antagonisti capaci di far ricongiungere lo spettatore con la sua parte più malvagia, risvegliando i suoi istinti più oscuri rimanendo cristallizzati nella memoria collettiva ben più delle loro controparti: da Hannibal Lecter a Jack Torrance, dai vari Joker a Scar, da Norman Bates a Darth Vader, la lista potrebbe essere infinita.

 

 

[La Morte: fredda, ieratica e statuaria nella sua cattiveria ne Il settimo sigillo di Ingmar Bergman. Quale villain più simbolico della fine della vita stessa?]
 

   

Tutto però nella Settima Arte viene ciclicamente piegato e rielaborato.

 

I generi diventano la loro stessa versione grottesca, la grammatica del linguaggio viene riscritta da movimenti sovversivi, gli eroi classici sono abbandonati in favore di Tersiti qualunque e persino il tempo e lo spazio si piegano sotto il peso della ricerca artistica.

In questo continuo turbinio di cambiamenti e rivoluzioni, potevano mai i nostri amati villain rimanere fermi nella loro statuaria e seriosa malvagità? 

 

Ovviamente no, ecco quindi che vediamo sullo schermo antagonisti di ogni genere, forma, numero e registro che attraverso le loro atipicità raccontano tutti i cambiamenti che la società - e di riflesso il Cinema - hanno attraversato: generi che si sono sgretolati, vecchie paure ridicolizzate, nuovi timori incarnati da nemici incorporei o da comunità sempre più ostili.

 

Basta infatti mettere in dubbio un qualsiasi aspetto della connotazione classica del cattivo, per ritrovarsi catapultati in un universo di infinite possibilità, con cui registi e sceneggiatori possono giocare fino a creare pneumatici assassini che si innamorano di giovani e avvenenti ragazze, come ha fatto il folle Quentin Dupieux nel suo Rubber.

 

 

[Il cattivo inconsueto per eccellenza: lo pneumatico assassino]

  

 

È bastato pensare di mettere in dubbio l’umanità dei nostri antagonisti e ci siamo ritrovati in un universo di macchine, case, videogiochicomputer e copertoni assassini, nella stessa maniera se si prova a rinnegare l’idea di un singolo alter-ego dell’eroe vogleriano vedremo moltiplicarsi le comunità che si schierano contro i protagonisti o principi morali e incorporei che diventano i veri e propri oppositori.

 

Per non parlare di quando il cambiamento si cela nel registro - forse il caso più comune - allora le personificazioni del male possono diventare ironiche e canterine auto-parodie.

 

Mettere in dubbio gli stilemi classici con cui si costruisce un antagonista è un'occasione per raccontare come cambino le paure di una società: alcune non lo sono più e quindi possono essere sbeffeggiate, altre si nascondono in involucri sempre meno comprensibili e riconoscibili.


Scopriamo quindi 8 esempi in tutto questo ventaglio di infinite possibilità che la redazione di CineFacts.it, su richiesta degli Amici di Patreon, ha scelto per voi.

 

[Introduzione a cura di Fabrizio Cassandro]

 

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Posizione 8

John Aysgarth de Il Sospetto

di Alfred Hitchcock 

 

“C'è un lato spaventoso di Cary che nessuno può toccare con mano.”

 

Queste parole pronunciate da Alfred Hitchcock a proposito di Cary Grant descrivono perfettamente il personaggio che il divo hollywoodiano ha interpretato ne Il Sospetto, diretto per l’appunto dal Maestro del brivido.

 

John Aysgarth è un playboy che vive di espedienti e che trova la sua fortuna quando sposa la giovane e ingenua aristocratica Lina McLaidlaw.

Con il passare della convivenza però in Lina inizia a maturare il dubbio che John sia un assassino desideroso di ucciderla per poter intascare l’assicurazione e risolvere tutti i suoi problemi dovuti ai debiti.

 

La scelta di affidare un personaggio ambiguo come John Aysgarth al re della commedia classica americana Cary Grant si rivelò una mossa coraggiosa, ma particolarmente riuscita per Hitchcock.

 

Il playboy protagonista del film se vogliamo può essere rappresentativo - e il regista lo sapeva bene - della vita sotto i riflettori di Grant, mentre l’altro lato più tenebroso è perfetto per descrivere la parte oscura di Archibald Leach, ovvero il vero nome della star di Hollywood.

 

Questa ambiguità di fondo viene utilizzata sapientemente da Hitchcock per creare un senso di disagio nello spettatore, delineando un cattivo inconsueto per il Cinema dell’epoca, che si muove sempre - senza mai rivelare la sua vera natura - in una zona colorata di grigio tra bene e male.

 

È proprio la continua insicurezza generata dal personaggio di John Aysgarth l’arma vincente del film, un bicchiere di latte avvelenato pronto a uccidere ma che Hitchcock - così come Cary Grant nella vita reale - sceglie di non far bere alla povera Lina, e quindi allo spettatore, lasciandola con il sospetto di vivere accanto a un assassino o magari solo a un giovane playboy appassionato di omicidi.

 

 

Disponibile su Amazon Prime Video e Rai play.

 

[A cura di Emanuele Antolini]

 

Posizione 7

L'autocisterna Peterbilt 281 di Duel

di Steven Spielberg

 

“La più antica e potente emozione umana è la paura, e la paura più antica e potente è la paura dell’ignoto.”

 

Queste parole dello scrittore della letteratura horror H. P. Lovecraft centrano a pieno l’essenza dell’antagonista di Duel.   

Il pericolo che il protagonista David Mann (interpretato magistralmente da Dennis Weaver) incontra in autostrada durante un viaggio di lavoro può risultare comune, ma lo è realmente solo fino a un certo punto. 

 

L’autocisterna che inizia a inseguirlo, a tamponarlo e a cercare di ucciderlo è guidata sicuramente da qualcuno, che però non viene mai totalmente ripreso.

O meglio, per rendere ancora più inquietante il tutto, la regia ne mostra solo dei dettagli - le braccia, gli stivali - indicando si tratti di un essere umano, senza però rivelarne l’identità.

 

Questa scelta stilistica punta a rendere l’automezzo il vero cattivo della storia.

 

Tuttavia, cosa rappresenta questa minaccia? Da chi è personificata veramente, dall’autista sconosciuto o dall’imponente mezzo da lui guidato?

 

Le risposte possono essere diverse, ma ognuna è ugualmente angosciante: per esempio, una forza demoniaca (i rumori del montaggio sonoro sono inconfondibili) che si è impossessata del guidatore e del suo veicolo o – tristemente peggio – un individuo impazzito e in preda a manie omicide. 

 

Non a caso, il lungometraggio è sceneggiato da Richard Matheson, che di questo genere di storie se ne intende: oltre a essere autore del romanzo Io sono Leggenda è stato anche sceneggiatore per Alfred Hitchcock presenta e Ai confini della realtà.

Matheson adatta una sua storia breve in uno script per un film che diventerà il debutto (e che debutto!) di Steven Spielberg

 

Il regista ci guida dunque verso il più cinico degli scenari, quello dove coesistono le eventualità che il villain sia o l’incarnazione stessa del Male o un essere umano estremamente pericoloso.

 

Ma se alla fine la vera antagonista fosse l’impossibilità di riconoscerne la differenza?

 

 

Disponibile su NOW, Chili, Google Play e Apple TV+.

 

[A cura di Jacopo Troise]

 

Posizione 6

Frank Booth di Velluto Blu

di David Lynch

 

Il cattivo oggi è quella figura il cui appeal verso il pubblico risiede in manifesti ideologici che intercettano sentimenti tra il populismo e la necessità di ribellione adolescenziale verso l’ordine precostituito.

 

Le sue motivazioni, mascherate dietro mal riposti principi morali misantropici, sono sollevate dalla leva emotiva del mostro reso tale dalla società.

Altre volte si affonda nell’ingenuo concetto di anarchia molto caro a chi si sente frustrato dalla mancanza di controllo sulla propria vita, generalmente molto forte nel pubblico più giovane, ma anche in quello adulto più disilluso e annichilito dalle cene della domenica a casa dei suoceri.   

 

Hollywood ha innescato il decadimento della figura dell’antagonista e se prima cercava di nascondere i trucchi di scrittura a renderlo appetibile allo spettatore, oggi lo fa protagonista talmente simpatetico da divenire quasi eroe positivo.   

 

In direzione opposta, il Frank Booth immaginato da David Lynch in Velluto Blu è un cattivo che non ha alcun bisogno di giustificazioni politiche e sociali.

Esistono uomini geniali votati al bene e poi esistono uomini altrettanto brillanti dedicati a perseguire le inclinazioni più oscure.   

 

Frank Booth vive il lato oscuro della luna del sesso, dell’amore e delll’arte. Parla con violenza e ragiona come un genio illuminato da una grammatica mentale a noi incomprensibile.

Non sale su pulpiti morali e agisce per il proprio piacere senza nasconderlo. 

Considera la Heineken piscio, piange ascoltando Velluto Blu, dà baci della morte con il rossetto rosso, respira droga da una bombola e balla Roy Orbison incarnando la figura di divinità onirica a trasformare in incubo il sogno americano.   

 

Disgustoso e ambiguo, entra sotto la pelle dello spettatore per scoprirne le peggiori perversioni, seviziandolo psicologicamente attraverso un protagonista affascinato dal Male.

Essere cattivi ci farà sentire sporchi e viscidi.  

 

Frank ha un tirapiedi che vi ricorda costantemente che si chiama Paul.

 

 

Disponibile su Infinity.

 

[A cura di Alessandro Dioguardi]

 

Posizione 5

Dottor Male di Austin Powers - Il controspione

di Jay Roach

 

Quella di Austin Powers è la trilogia diretta dal regista Jay Roach incentrata sulle imprese dell’agente segreto più sexy dell’Inghilterra degli anni ’60: Sir Austin “Pericolo” Powers.

 

Interpretato da un iconico Mike Myers, l’agente Austin Powers è la chiara parodia del più famoso agente 007, e se a James Bond sta Ernst Stavro Blofeld - il pericolosissimo capo dell’organizzazione criminale SPECTRE – insieme al suo gatto persiano, così a Sir Powers sta il Dottor Male con il suo Signor Bigolo.

 

Il Dottor Male - sempre interpretato da Mike Myers - si propone come il villain per eccellenza il cui fine ultimo è la conquista del pianeta a qualunque costo.

Purtroppo, però, è un criminale per niente credibile, costantemente deriso più o meno velatamente per le sue scelte opinabili e i suoi piani senza senso.

 

Le azioni del Dottor Male sono tutte volte al voler impressionare e dimostrare agli altri la sua natura crudele e vendicativa, piuttosto che al raggiungimento di un risultato concreto e redditizio.

 

Nel primo capitolo della trilogia, Austin Powers - Il controspione, gli eventi che porteranno il Dottor Male a ignorare l’intervallo temporale che intercorre tra gli anni ’60 e ‘90 non faranno altro che peggiorare il suo curriculum di cattivo.

 

Trasformare la Luna in una “Morte Nera” ignorando l'esistenza della saga di Guerre Stellari, chiedere riscatti ridicolmente bassi o esageratamente alti perché non a conoscenza del potere d’acquisto negli anni ’90: questi sono solo alcuni degli esempi del modo di operare del Dottor Male, un cattivo che non verrà mai preso completamente sul serio… se non da Austin Powers!

 

La tonante e stereotipata risata “da cattivo” del Dottor Male - con tanto di mignolino alzato - e il suo piccolo clone Mini Me (Verne Troyer) creato per adorarlo, basterebbero a raccontare un personaggio diventato simbolo dei villain… molto poco cattivi!

 


Disponibile su Amazon Prime Video, TIMvision, Apple iTunes e Google Play.

 

[A cura di Morena Falcone]

 

Posizione 4

Eris in Sinbad - La leggenda dei sette mari

di Tim Johnson e Patrick GIlmore

 

I cattivi animati memorabili sono veramente tantissimi, in particolar modo quelli di casa Disney, ma altrettanto validi sono quelli della sua vecchia rivale, la Dreamworks Animation.

 

Oggi prendo in esame un villain forse bistrattato nonostante sia, a suo modo, super accattivante e interessantissimo: Eris, antagonista del film Sinbad - La leggenda dei sette mari.

 

Sebbene Eris compaia per un tempo brevissimo coprendo all’incirca solo sette minuti della pellicola, è comunque uno dei punti più forti del film grazie all’incredibile carisma dato dalle sue movenze e all'interpretazione magistrale di Michelle Pfeiffer.

 

Eris, dea della discordia e del caos, è proprio colei che introduce alla visione e spiega sin da subito il suo obiettivo: giocare con la vita degli umani, rimescolare le carte e far sprofondare il mondo nel “glorious chaos”.

 

Oltre a poter mutare forma e possedere un esercito di costellazioni mostruose, la sua brutale abilità di soggiogare psicologicamente i suoi nemici la rende un avversario temibile, soprattutto inusuale e raro da trovare in una pellicola animata.

 

Può sembrare imbattibile nell’immediato ma possiede la debolezza del “vincolo”: lei stessa spiega a Sinbad che, qualsiasi patto facciano, è vincolata per l’eternità; ciò significa che non può venire meno al patto stesso senza pagarne le conseguenze.

 

Per Eris, come si suol dire, l’importante è divertirsi: quello che accade con Sinbad per lei è un’occasione come un’altra, non l’obiettivo finale ma solo uno dei tanti tasselli per rendere tutto come Tartaro, il suo regno spettrale (e visivamente accattivante).

 

Anche se alla fine non andrà tutto come nei suoi piani, dunque, non temete: qualsiasi cosa accada, lei avrà sempre “places to go, things to destroy, stuff to steal”.

 

 

Disponibile su Amazon Prime VideoChili e RakutenTV.

 

[A cura di Eris Celentano]

 

Posizione 3

Capelli assassini di Exte: Hair Extensions

di Sion Sono

 

Capelli assassini: solo nominare il concept evoca un sorriso di scherno sul volto dell'ascoltatore.

Eppure Sion Sono, in uno dei suoi film meno chiacchierati, riesce a inserire pienamente il fulcro della sua poetica.

 

Gli oggetti che si animano e uccidono ignari malcapitati, magari controllati da qualche schizzato fuoricontrollo, sono un topos dell'horror e, in particolare, dell'universo j-horror ; è indubbio che questo stereotipo sia fortemente ancorato al mondo degli spiriti del folklore giapponese, in cui ciò che è spirituale converge con il mondo materiale. 

 

Un accenno della trama di Exte: Hair Extensions: una ragazza coinvolta in un traffico illegale di organi muore, brutalmente torturata in una tetra notte di Natale.

L'inserviente dell'obitorio, caratterizzato da una ridicola e imbarazzante feticizzazione dei capelli femminili e da una mal celata misoginia, trafuga il cadavere. Accortosi dell'incredibile crescita  della chioma della ragazza decide di vendere quella moltitudine di capelli come extension ai saloni di bellezza. 

 

La povera vittima, impossibilitata a reagire in vita, esprime la sua rabbia post-mortem penetrando in ogni orifizio delle clienti e in qualsiasi condotto d'aria possibile tramite le suddette extension. 

 

La storia si interseca con quella di Yuko Mizushima - interpretata da Chiaki Kuriyama, l'iconica Gogo Yubari di Kill Bill - Vol. 1 - un'aspirante parrucchiera che si prende cura di Mami, una dolce bambina vittima di moltepliciabusi da parte della madre di una madre assente. 

 

Yuko lavora presso un salone dal nome evocativo, cioè Gilles de Rais, una citazione a un barone rinascimentale francese famoso, oltre che per aver capeggiato l’esercito che in appena otto giorni liberò dall’assedio Orléans insieme a Giovanna D'Arco, anche per essere un assassino seriale. 

Un segnale sicuramente nefasto per il destino della nostra protagonista. 

 

Un microcosmo quasi prettamente femminile, in bene e in male, il controllo degli uomini sul corpo delle donne, gli abusi familiari e il mirabile alternarsi tra dramma, horror e commedia, con l'ausilio di una colonna sonora sempre azzeccatissima, rendono i capelli assassini di Exte: Hair Extension un cattivo con cui è quasi possibile empatizzare.

 

Sì, avete capito bene: empatizzare con dei capelli assassini. Divertente, vero?

 

 

Disponibile in home video

 

[A cura di Lorenza Guerra]

 

Posizione 2

La tranquilla comunità di Sandford in Hot Fuzz

di Edgar Wright 

 

Per un poliziotto zelante e iper-efficiente come il londinese Nicholas Angel la placida e immacolata cittadina immaginaria di Sandford, Gloucestershire è, probabilmente, la nemesi più terribile che si possa incontrare.

 

Peccato che all’interno della comunità capace di vincere da tempo immemore il premio come “villaggio dell’anno” si annidi una cattiveria tutt’altro che figurata.

 

Ci mette poco Edgar Wright, regista di Hot Fuzz, a farci intendere come sotto l’immagine sonnacchiosa della cittadina si celi un patto sociale che porta i suoi abitanti a combattere aspramente ogni tipo di ostacolo si frapponga tra loro e l’etichetta di luogo paradisiaco. 

Bastano un paio di omicidi e il puzzle comincia a prendere forma.

Come sempre avviene ne La trilogia del Cornetto, la provincia inglese non è mai quello che sembra.

La scia di sangue, malgrado gli insabbiamenti continua e ad un certo punto tutto diventa chiaro: i suoi cittadini sono tutti, o quasi, colpevoli.

 

Il movente?

Preservare l’idea perfetta che la comunità dà di sé all’esterno e rispettare le dinamiche sociali auto-impostesi all’interno sono due priorità da cui nessun cittadino di Sanford può distaccarsi.

Regole sociali che portano ad assassini ai nostri occhi futili ma, dalla prospettiva dei questi insoliti villain, perfettamente e sinistramente giustificabili.

 

Il fervore verso la giustizia del protagonista, interpretato ancora da Simon Pegg, è dunque preso tra due fuochi: da un lato la corruzione e l’indolenza di un corpo di polizia più che mai sfaccendato, dall’altra la benevola furia omicida di un luogo fin troppo tranquillo.

 

Siamo dinnanzi all’estremizzazione in chiave comica di un concetto chiave nella storia dell'umanità, quello di banalità del male.

Un cuore tematico stemperato nell’opera di Wright dalla sua meravigliosa verve ironica e modellato secondo alcune regole del giallo “à la Agatha Christie”: la moltitudine è davvero colpevole nella sua interezza, ogni delitto è perfettamente congegnato e ciascun alibi sembra davvero inattaccabile.

 

Ancora una volta, Wright riesce ad attingere da un pantheon ampio e profondo di riferimenti, riuscendo al contempo a distruggerli e a ricostruirne la propria visione personale. 


Una visione grazie alla quale siamo tutti un po' più portati ad aver paura della tranquillità e della perfezione apparente.

 

 

Disponibile su Amazon Prime Video, Sky NowTV.

 

[A cura di Jacopo Gramegna]

 

Posizione 1

La burocrazia in Io, Daniel Blake

di Ken Loach

 

Dinanzi al dedalo della burocrazia statale, l'uomo (comune?) soccombe.

Soccombe, soffocato da moduli e travolto dall'inscalfibile potere del diritto, tanto astratto quanto terribilmente concreto e kafkiano.

 

Il dito (e l'occhio) di Ken Loach, da sempre attento alle problematiche del proletariato, è rivolto con vigore verso l'amministrazione di David Cameron, che sostituisce - nella filmografia del regista - il ruolo storicamente occupato da Margaret Thatcher e accoliti.

Il nodo riguarda le politiche in materia di welfare, falcidiate da tagli e riforme, decimate dall'imporsi di uno sguardo solo teorico, logorate dal mito di un'efficienza simil-aziendalistica.

 

Un mito che genera mostri inafferrabili dalle propaggini multiformi e invisibili, che non possono certo coincidere con dei semplici funzionari pubblici, perlomeno di basso livello.

 

Coloro che sfiorano la parabola di Daniel non sono infatti troppo dissimili dai poliziotti di Valle Giulia descritti da Pier Paolo Pasolini: certe responsabilità personali permangono, ma sono pure da problematizzare e inquadrare in un discorso (sociopolitico) più ampio.

 

Il protagonista si trova così nel bel mezzo di una burrasca inaspettata, ed è parecchio significativo il fatto che il titolo insista sulla sua individualità: Loach decide di valorizzare l'uomo in senso sia particolare che universale, l'uomo che ormai si erge solo - controvoglia - dinnanzi al Potere miope e che è sempre più isolato.

 

Distanziandosi dalla sua prima parte di carriera, il regista recepisce con pessimismo l'ormai irreversibile dissipamento di una certa unità d'intenti popolare, spezzata dall'individualismo neoliberista, e fotografa la situazione con estremo rigore.

 

Qualche timido lampo di speranza è disseminato qua e là, ma è straziante osservare il fin troppo realistico calvario che pian piano consuma Daniel, osservare il manganello della burocrazia che si abbatte su un cittadino inerme, osservare uno Stato alieno.

 

 

Disponibile su Amazon Prime Video, Sky e NowTV.

 

[A cura di Mattia Gritti]  

 



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2 commenti

Morena Falcone

2 anni fa

Grazie mille Ale! 💛

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Fabrizio Cassandro

2 anni fa

Grazie Ale!

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