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The Suicide Squad - Recensione: Gunnland e CineTromic

The Suicide Squad è finalmente pronto per invadere i nostri cinema per portarci nel regno di Gunnland, siete pronti?

Il pubblico è scosso da potenti fremiti di hype da quando James Gunn è diventato il regista di The Suicide Squad, in seguito a una brutta vicenda che ne vide l’allontanamento da parte di Disney.

 

Il film nasce sotto condizioni totalmente aliene al mondo delle major di Hollywood e forse a causa di uno straziante senso di disperazione da parte di Warner Bros., incapace di capitalizzare le proprie IP fumettistiche nel momento di esplosione del genere, sono stati portati a dare carta bianca al regista, concedendogli una libertà creativa che nella Storia del Cinema, con le major, hanno avuto e hanno in pochi. 

 

 

 

Una libertà che si è vista riflessa già nelle immagini arrivate al pubblico con il primo trailer di The Suicide Squad, anticipando l’arrivo di un cinecomic totalmente fuori dagli schemi rispetto a quanto solitamente proposto.   

 

Quindi, cari lettori e care lettrici, com’è secondo me The Suicide Squad? 

 

 



Se storicamente il Cinema si è popolato di sfavillanti eroi vincenti, positivi e senza macchia, l’evoluzione della società e delle sue storie ha portato questa abitudine, anche grazie al fumetto popolare, a cambiare drasticamente.   

 

L’eroe è diventato una figura meno infallibile e sempre più vicina al lettore come allo spettatore, incarnando le sue paure e le sue mancanze ma spronandolo con la sua epica a diventare migliore, sconfiggendo le avversità rappresentate dai propri limiti tanto quando dalla sfida proposta dai cattivi. 

 

La figura dell’antagonista è diventata sempre più centrale e l’eroe è sempre più grande e adorato dalle masse quando a opporvisi vi è un cattivo carismatico.

Spesso certe maschere prendono il sopravvento sulle figure centrali e da Il Cavaliere Oscuro ad Avengers: Infinity War e Avengers: Endgame, il villain è divenuto il vero motore delle storie e il personaggio più interessante per lo spettatore.

 

Un processo che non riguarda unicamente i villain da fumetto e spesso i protagonisti delle vicende più amate sono diventati personaggi disprezzabili, rotti, antipatici, egocentrici ed egomaniaci.   

 

Rimanendo nel mondo del Cinema e delle opere pop di largo intrattenimento, da Maleficent a Joker per arrivare fino a Cruella, siamo nel pieno di una wave di antagonisti protagonisti contraddistinti, chi più chi meno, da alcune idiosincrasie di scrittura che in qualche modo li rendono un po’ troppo simpatetici al pubblico. 

 

Se il Joker di Todd Phillips è forse vittima di alcune piccole furberie di sceneggiatura, i protagonisti del Suicide Squad di David Ayer, per quanto a lui piaccia pensare che un montaggio diverso avrebbe fatto la differenza, hanno il problema di essere così patinati e superficiali nella loro macchiettistica accezione di cattiveria da non risultare mai credibili.

 

Se poi la sceneggiatura innesca tutti i meccanismi empatici comuni al cammino di un protagonista positivo tanto quanto di un anti-eroe all’acqua di rose, ci troviamo al cospetto di produzioni che presentano al pubblico antagonisti così innocui da avvicinarsi più a un costoso cosplay dei personaggi rappresentati che altro. 

 

 

[Cruella come 'C' ci piace perché è buona come il pane]

 

In tutto questo irrompe James Gunn, libero da ogni costrizione e freno inibitorio e immediatamente mette in chiaro come i personaggi della sua The Suicide Squad, indipendentemente dal fatto che questi siano più o meno seriosi nel loro ruolo di cattivoni, non abbiano alcuna intenzione di conquistare il pubblico con backstories drammatiche che giustifichino il loro cammino.

 

I villain di The Suicide Squad uccidono senza remore e con brutale efficacia, sono consci di chi sono e di quello che fanno e ognuno di loro agisce con la totale consapevolezza e lucidità tipica di chi sa di essere un pazzo scriteriato che trova affascinante un bell’uomo quando è riverso nel suo stesso sangue, che trova bellezza e grazia quando i proiettili di mitragliatore falciano un gruppo di soldati o che trova giovamento nell’essere il migliore assassino in circolazione. 

I protagonisti di James Gunn sono un gruppo di maniaci assassini lontani da una - per così dire - rappresentazione fumettistica sopra le righe, seppur dotati di pulsioni, paure e inneschi emotivi.

 

Sono umani, ma la loro morale è quella di un killer che non ha alcuna intenzione di giustificare la propria natura.   

 

Pensate a tutte le scene che descrivono il cuore spezzato della gioviale ed elegante, ma non tanto sanguinaria, Harley Quinn (Margot Robbie, viste anche nel suo film stand-alone).

 

Ricordate il Deadshot paparino di Suicide Squad a ribaltare il punto di vista del suo scontro con Batman, presentandoci sostanzialmente un anti-eroe buono come il pane.

 

 

[Big Bubble Double Trouble!]

 

James Gunn con la sua Harley Quinn e il suo Bloodsport interpretato da Idris Elba dichiara gli intenti della sua narrazione da villain, divenendo un terrorista del genere a deflagrare ogni struttura precostituita da Hollywood utile a rendere questi personaggi degli innocui paladini del Bene, mettendo in scena dei personaggi crudeli, scorretti, violenti e sostanzialmente doppelgänger di quelli visti nel film di Ayer.   

 

Peacemaker, King Shark, Cleo Cazo, Polka-Dot: sono tutti a loro modo dei lunatici scriteriati i cui principi morali sono, per quanto nella loro testa solidi, connessi attraverso tutti i ponti più deviati.

 

Arriviamo ad amarli non perché suggeriscono l’idea di reietti creati dalla società piena di idiosincrasie, e quindi infine da compatire e da incollare al nostro adolescenziale ideale di società perbenista che crea mostri (aka noi a sentirci esclusi), ma perché sanno interpretare secondo diverse sfaccettature il loro ruolo di villain, siano questi sociopatici traumatizzati e contraddistinti da una certa demenzialità tragicomica, affascinanti killer badass o cattivi per necessità.   

Nel film di Gunn la descrizione della narrazione passa non solo per i molti membri della The Suicide Squad, ma anche per i comprimari.

 

Ogni personaggio ha una forte componente di humor nero, anche quelli di contorno e, per quanto siano presenti delle tonalità emotive drammatiche e a tratti commoventi, il film non ha intenzione di infarcirsi di battutine family friendly che strizzino l’occhio allo spettatore.

 

 

The Suicide Squad The Suicide Squad The Suicide Squad

 

Il racconto di villain pucciosi diventa problematico non solo nel momento in cui la sceneggiatura va ad arrotondare tutti i caratteri per prendersi gioco dello spettatore e descrivere nuovamente degli eroi, quanto anche nella messa in scena.

 

James Gunn è figlio della Troma, quella meravigliosa realtà del Cinema moderno che rendeva realtà sogni eccessivi e scorretti quali Il Vendicatore Tossico o Tromeo and Juliet, andando dove il Cinema mainstream non sarebbe mai andato.   

 

Il tempo presente non ha solo dimenticato la Troma e il suo insegnamento ma ha progressivamente ripulito l’intrattenimento di massa e i generi, assottigliandoli sempre più verso una linea comune sulla quale ogni forma di eccesso deve essere messa al bando per cercare di non disturbare nessuno.

In un certo senso la morte dell’arte, poiché nel momento in cui censuri il pop crei mostri di bigottismo.   

 

Pensate anche solo a quanto sia assurdo che Deadpool, un film relativamente innocuo rispetto a qualsiasi produzione Troma tanto quanto a questo The Suicide Squad, sia divenuto un fenomeno di largo successo.

James Gunn invece è il regista di Super - Attento Crimine!!!, la sua prima dichiarazione d’amore verso il fumetto e il cinecomic che portava con sé tutti i dettami della Troma e la sua personale poetica di regista, consegnando al pubblico un film fuori da ogni canone e padrone di una sua nicchia. Violento, con un protagonista perdente e vagamente sociopatico e condito da personaggi le cui azioni sono quasi mai descrivibili come eroiche.

 

In The Suicide Squad James Gunn è ormai padrone di mezzi ed esperienza per portare al massimo tutti i suoi sogni di regista Troma e amante del fumetto, dando libero sfogo alla sua poetica visiva. 

 

 

The Suicide Squad The Suicide Squad The Suicide Squad

 

La messa in scena di The Suicide Squad rende omaggio al Cinema d’azione exploitation da Drive-In, fondendo la violenza esplicita figlia del puro gusto per l’intrattenimento alla voglia di divertire il pubblico, utilizzando la demenzialità da Troma.

 

Siamo a Gunnland, un luogo del Cinema dove possiamo vedere la faccia dei nostri eroi esplodere, dove seni e peni sono il corollario di scene di violenza grafica, dove la carneficina è l’elemento basilare di ogni scena d’azione e il tutto è però condito da un gusto per la regia e la costruzione dell’immagine che raramente si è visto in queste produzioni.

 

James Gunn non è un registaccio, come ce ne sono stati molti, che mette in scena le peggiori nefandezze senza alcun senso dell’estetica o della narrazione; The Suicide Squad riesce a fondere il gusto per le scene d’azione ben girate alla truculenza delle immagini, inquadrando deliziosamente anche i frame più orribili o dalla nera ironia, dimostrando come un certo umorismo di Gunn a descrivere il suo distorto mondo di villain non passi mai attraverso banalità da bassa macelleria del Cinema exploitation.   

 

In The Suicide Squad il gusto per la narrazione si può riconoscere anche nel momento in cui il linguaggio da fumetto pop che rielabora la gabbia delle tavole per raccontare un flashback o per descrivere i momenti del film o le locuzioni di tempo si traduce in Cinema.

Se Edgar Wright traduce con la poetica da videogame di Scott Pilgrim vs The World questo meccanismo, James Gunn sceglie il mood viscerale fatto di sangue, fumo e morte per fare altrettanto, calando completamente lo spettatore dentro il racconto, scegliendo di creare un proprio ritmo e linguaggio da fumetto all’interno del suo film, ma senza diventare eccessivamente referenziale rompendo il Cinema in favore del fumetto.   

 

Un flashback viene messo in scena con un movimento di macchina che lo proietta su un finestrino, seguendo lo sguardo melanconico del personaggio: ciò non diventa la maniera di raccontare ogni personaggio della Squad, bensì un tocco unico e personale che dà rilevanza a una forte componente emotiva. 

 

Il regista capisce l’importanza del non rendere il suo film e i suoi espedienti stupidamente ridondanti e The Suicide Squad, per quanto distinto da una sua poetica molto forte e riconoscibile unicamente in James Gunn, riesce a tenere lo spettatore avvinto alla storia continuando a sorprenderlo, a prenderlo a schiaffi, a meravigliarlo con le idee visive e di sceneggiatura che sfruttano un mezzo dalla fantasia molto alta e surreale - quella del comic americano - e lo portano in Cinema spingendolo al limite. 

 

 

The Suicide Squad The Suicide Squad The Suicide Squad

In The Suicide Squad si mescolano l’action, lo splatter, il dramma, il racconto a fumetti e The Thinker, ma soprattutto Starro, diventano occasione per James Gunn di inserire la sua mano orrorifica già apprezzata in Slither

 

In tutto questo, come anticipato, The Suicide Squad non dimentica di dare una fibra morale alla vicenda e per quanto assurdo sia il racconto ogni singolo personaggio, armato della sua poetica, porta con sé una morale e un messaggio che aderisce al concept di una squadra suicida mandata segretamente dal governo a fare qualcosa che nessun altro vorrebbe o potrebbe fare alla luce del sole.   

 

James Gunn non rispetta il materiale di partenza e vi rende omaggio con una sua personale grazia e noi gli siamo grati per aver ambientato il film sull’isola di Corto Maltese (luogo dell’universo DC inventato da Frank Miller per veicolare un certo messaggio e per omaggiare l’opera di Hugo Pratt).

Ogni personaggio ha una presenza scenica magnetica e incarna un personale culto del villain fumettistico che Gunn esplora in sceneggiatura tanto quanto nel concepire i momenti e le immagini che li rendono protagonisti.

 

Siamo in un fumetto, con tutte le sue storpiature e assurdità portate nel Cinema exploitation.

 

 

The Suicide Squad The Suicide Squad The Suicide Squad

The Suicide Squad di James Gunn è il film che dimostra la differenza tra un prodotto di intrattenimento figlio dell’industria e l’opera di un autore che contamina un adattamento, conferendogli un carattere e una sua immortalità.

 

Il presente ci ha abituati al Cinema tentpole dei Marvel Studios che, per quanto oscillante tra il compitino e il buon Cinema, soffre sempre della totale assenza di una forma autoriale che possa donargli carattere.

Un difetto congenito necessario a mantenere l’uniformità ricercata per rendere possibile un universo condiviso che vive di scene post-credit, easter egg e spasmodiche attese per quello che verrà dopo, ponendo scarsa attenzione su ciò che si sta guardando e spesso sacrificando la poetica dei personaggi protagonisti dei film e delle loro storie.

 

James Gunn ha invece creato un film intriso della sua poetica e non si distanzia, per intenti, dal film di un regista come Quentin Tarantino che in C'era una volta a... Hollywood nel saccheggiare la realtà e le storie dei suoi beniamini le contamina con la sua poetica e la sua visione per omaggiare questi tanto quanto il Cinema e tutte le suggestioni figlie del racconto al quale si dedica.

Gunn ama il genere che sta affrontando, ne conosce i vizi e le virtù, ne incarna lo spirito e lo inquina con le sue personali suggestioni, profondendo tanto impegno e tanto amore nel disegnare i personaggi da far incarnare agli attori che ama da renderli memorabili, incastonandoli nella memoria del Cinema e dello spettatore, non importa quanto piccoli o grandi siano i loro momenti.   

 

La mia sensazione è anche che il James Gunn libero abbia avuto modo di mollare di ogni freno inibitorio, togliendosi anche qualche sassolino dalla scarpa riguardo l’approccio di Hollywood al cinecomic, inscenando un paio di velati sfottò a certe pellicole.   

 

The Suicide Squad è un'opera così sovversiva che ridefinisce non solo il cinecomic ma anche il Cinema di intrattenimento: la Troma di Lloyd Kaufman, padre artistico di James Gunn, è finalmente riuscita nel suo intento di scardinare Hollywood, entrando in una major ed esprimendo la propria idea di Cinema degli eccessi attraverso un autore elegante, folle e di puro talento.   

 

Da ora in poi ogni volta che uscirà un film su un villain non dovrà vedersela con Joker, ma con The Suicide Squad. 

 

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1 commento

Trovo assurda l'idea di criticare un film come si critica un videogame. Il morbo di IGN a Gamespot, per il quale al fine di seguire lo script della recensione tipo bisogna includere dei contro a tutti i costi, per pura formalità, ignorando che è un film e non un videogame.

Nella recensione spiego cosa mi è piaciuto del film e cosa credo lo renda un grande film di intrattenimento. Una cosa che io, come molti altri redattori, facciamo abitualmente. Se per me ci fosse stato qualcosa di negativo di rilevante, sarebbe stato incluso.

Inoltre: bisogna davvero specificare che non stiamo parlando di un film di Bergman?

Io leggendo il tuo commento sulla scrittura posso dire che è la classica valutazione da commento di facebook. Il ragionamento da bar applicato al cinema.

La trama di un vecchio fumetto non è originale?
Accantonando tutto il discorso sull'importanza del "come" si raccontano le storie rispetto al "cosa", visto che il "cosa" è quasi sempre un canovaccio conosciuto, è l'adattamento di un fumetto. Un fumetto la cui trama è quella: una squadra suicida mandata a fare wet work che il governo non si vuole prendere la responsabilità di portare a termine direttamente. Cosa non è chiaro?

A me sembra invece chiaro come tu non abbia capito che i villain di terz'ordine, come li definisci tu, tipo il presidente, sono il contesto, il cosa base del film action classico di exploitation che poi il "come" di The Suicide Squad va a contaminare con il racconto da fumetto e con le idee da Troma di Gunn.

La trama è semplice? Sì.
È un difetto? No.
Sempre per il ragionamento sul "come" portato infinite volte e che sta alla base delle note positive della recensione sul film.

"un mostro la cui natura non viene mai esplorata".
Oltre al fatto che la natura viene spiegata in breve e senza fare un bignami ridicolo. Sta tutto nel primo atto del film e alla fine del film. Poche scene e pochi secondi per dire di Starro quello che bisogna dire. È un mostro alieno trovato nello spazio, che approfondimento potrebbe avere? In Alien fanno forse un enorme cappello introduttivo su cosa sia il mostro? No. Non è importante. Non viene fatto in La Cosa e in molti altri film di genere e non è mai un difetto.

"e la cui estetica ne limita enormemente la portata emozionale".
Starro viene da un fumetto creato negli anni 60 e che è figlio di quelle opere seminali di mostri sci-fi di quell'epoca e del camp da fumetto della sua epoca. Come per quanto detto sopra... è un mostro parassitario venuto dallo spazio, se prolifera annienta tutto. Che altro serve?

Il tono del film è tutto sopra le righe. Volevi un film che si prendesse maledettamente sul serio? Hai sbagliato film.

"ma qui pare si stia volutamente scartando anche solo l'ipotesi di trovare un difetto."

Tu Fabio non sei il responsabile diretto e sia chiaro che non me la prendo con te, ma sei l'ennesima goccia. Sarei anche stanco di questi sragionamenti sulle critiche ai film. Perché quando sono negative si è accusati di fare "attacchi deliberati al film/regista", quando sono positive entriamo nel "chi ti paga?!".

Siamo nel ridicolo.

La rencensione è un opinione tecnica e non sul film. Io spiego cosa mi colpisce di un film e quali meccanismi per me lo rendono interessante, bello, brutto, mediocre o difettoso. Parlo in base a cosa mi colpisce o mi lascia il film. È il mio modo di lavorare sulla critica - e di molti altri -. Ovviamente se non piace e si cerca la recensione da TvSorrisi e Canzoni o da FilmTv, con il trafiletto con "bello", "brutto" e una manciata di difetti buttati per rispettare un template su come scrivere una recensione, è legittimo volerla e devi trovare un recensore che sia conforme a quello che cerchi da un testo di critica.

Il fatto che tu pretenda che un recensore scriva quello che pensi tu altrimenti "qui pare si stia volutamente scartando anche solo l'ipotesi di trovare un difetto", non esiste.

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