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Breve storia del Non-Cinema: film perduti, distrutti o mai realizzati - Cinerama 01

Una storia al contrario, fatta di ciò che non esiste 

La storia del Cinema è una storia fatta di molte, moltissime, perdite, di un non-cinema parallelo: si stima che sia andato perso o distrutto circa il 75% delle pellicole prodotte tra il 1900 e il 1913, e il 65% di quelle uscite tra il '13 e l'avvento del sonoro alla fine degli anni Venti.

 

Le ragioni possono essere diverse, e vanno dalla passata percezione del Cinema alla banale composizione chimica delle pellicole.

 

Per i suoi primi decenni di vita, infatti, il Cinema non è mai stato considerato un'arte, quanto piuttosto un semplice affare economico: che senso avrebbe avuto, quindi, attivarsi per la conservazione delle pellicole?

Solo negli anni Trenta, con la nascita di una certa sensibilità, nascono le prime cineteche, e queste istanze prendono poi definitivamente piede grazie alla cinefilia delle Nouvelles Vagues.

  

Questo iniziale disinteresse per la conservazione dei film è andato a braccetto con la costituzione chimica delle pellicole, almeno fino all'avvento del digitale.

Fino agli anni Cinquanta il materiale scelto era il nitrato di cellulosa, altamente infiammabile e predisposto al rapido decadimento, al quale è succeduto il triacetato di cellulosa, ininfiammabile ma chimicamente instabile.  

 

Come ha fatto notare Paolo Cherchi Usai, il fatto che gran parte del vecchio materiale filmico sia andato perduto non è necessariamente un male, perlomeno da un certo punto di vista, considerando come, infatti, se esso fosse riuscito a sopravvivere nella sua interezza, non ne avrebbe certo giovato la profondità dell'analisi degli studiosi: la monumentale quantità di pellicole da studiare avrebbe imposto, del resto, approcci più limitati, soprattutto per i prodotti marginali.

 

La storia del Cinema che studiamo e conosciamo, dunque, è un prodotto determinato dalla selezione, naturale, del materiale filmico: in questa visione simil-darwiniana, la classica storia del Cinema conta tanto quanto la storia del non-cinema, che però - è bene sottolinearlo - è un non-cinema solo per noi, i posteri.

 

Proviamo quindi a gerarchizzare questa paradossale storia del non-cinema, almeno per le pellicole delle quali sono rimaste tracce: esistono infatti film perduti, pellicole distrutte o non distribuite, opere solo ideate o giusto iniziate.

 

 

[David Wark Griffith]

 

Partiamo dalla prima categoria, la più scontata e numerosa, quella delle pellicole ultimate e perdute per cause di forza maggiore, parlando, in prima battuta, della stagione del muto, visto che molti sono i lavori perduti di grandi nomi attivi prima dell'avvento del sonoro.

 

È il caso, ad esempio, di uno dei più importanti e studiati registi dei primi decenni della storia del cinema, David Wark Griffith.

Del celebre autore di The Birth of a Nation mancano cinque pellicole, uscite negli anni Dieci, in cui compaiono alcuni degli interpreti più famose dell'epoca, tra cui Mary Pickford, Lillian Gish e Rodolfo Valentino.

 

Sono andati persi anche gran parte dei frutti del fortunato sodalizio tra il regista Thomas H. Ince e la Pickford, con oltre dieci pellicole dei primi anni Dieci andate smarrite.

 

Stessa sorte hanno avuto quattro film diretti da un altro pioniere della storia del cinema, Edwin S. Porter: si tratta di Hearts Adrift e Such a Little Queen, entrambi con la Pickford, The Crucible e The Eternal City, girato in gran parte a Roma.

  

Rimanendo negli anni Dieci, del 1914 è l'unico film perduto di Charlie Chaplin, Her Friend the Bandit, del quale rimangono solamente pochi minuti.

 

Il tempo ha spazzato via anche molta della filmografia di Theda Bara, la prima grande femme fatale del cinema americano.

E proprio per la Bara era stato pensato il ruolo centrale de La regina di Saba, film perduto celebre per i suoi costumi particolarmente audaci, costumi che lasciano il posto alla nuda pelle in un altro non-film, La figlia degli Dei, famosissimo per una scena di nudo della protagonista Annette Kellerman.

 

Colpiti sono stati anche molti altri registi nel gotha della Settima Arte, da Fritz Lang al quattro volte premio Oscar John Ford, da Cecil B. DeMilleHoward Hawks, da Jean Renoir a Josef von Sternberg.

 

Non tutti saranno però tristi della scomparsa delle proprie pellicole: Frank Capra definirà il suo Per l'amore di Mike come "solo sette rulli di film mediocre", e simili saranno le parole di Alfred Hitchcock per la sua unica pellicola perduta.

 

Oltre all'incompiuto Number 13, il suo primo lavoro in assoluto, il cineasta britannico vedrà perso The Mountain Eagle, uscito nel 1926 e poi bollato come "un brutto film" conversando con François Truffaut.

 

Quest'ultimo avrà curiosamente un giudizio non dissimile riguardo la sua prima opera cinematografica, mostrandosi felice della perdita del suo Une Visite, "un brutto cortometraggio in 16mm" proiettato solo privatamente nel 1955.

 

 

[Alfred Hitchcock e François Truffaut]

 

Smarriti, o distrutti per chissà quali cause, sono stati anche due film in grado di trionfare agli Oscar: Nel gorgo del peccato, del 1927, per il suo protagonista, e Lo zar folle, del 1928, per la sceneggiatura (oltre ad altre quattro candidature)

 

Gli anni Venti vedono poi, nella nostra storia in negativo, l'unico film perduto di Stanlio e Olio, Giù i cappelli, e uno dei casi più celebri del non-cinema.

Del 1927 è infatti Il fantasma del castello, horror con protagonista l'amatissimo Leon Chaney, (non-)qui nelle doppie vesti di vampiro e investigatore, e diretto da Tod Browning

 

Per tale film, tra l'altro, furono provati in via sperimentale dei dialoghi sonorizzati - anche se alcune fonti riferiscono di uno stop determinato dal cancro alle corde vocali del protagonista - e la stessa sorte hanno avuto molte altre pellicole con sonori parziali, il che rende evidente come l'oblio abbia inghiottito manufatti dal grande valore storico, al di là di grandi nomi e grandi produzioni.

 

È questo il caso, ripartendo da capo, di The Life of General Villa e The Indian Wars, entrambi del 1914: il primo vede comparire, in un ruolo marginale, lo stesso rivoluzionario messicano protagonista del biopic, mentre il secondo vede come attore protagonista, nel ruolo di se stesso, Buffalo Bill.

 

Vita futurista, primo film dell'avanguardia, esce invece nel 1916, diretto da Arnaldo Ginna e scritto da Filippo Tommaso Marinetti.

Il cortometraggio, dalla durata di tre minuti, mostra un gruppo di futuristi che importunano i clienti di alcuni caffè fiorentini, e contribuirà a gettare le basi per il "Manifesto della Cinematografia Futurista".

  

Purtroppo altre prime volte, come quella futurista, sono sparite dalla circolazione col tempo: The Vampire, del 1910, mostra per la prima volta la figura della donna-vampiro, che sarà ripresa dalla Bara; il russo Drakula porta sul grande schermo il vampiro di Bram Stoker; Il mostro di Frankenstein potrebbe essere il primo horror italiano; The First Men in the Moon, prima trasposizione di un romanzo di H.G. Wells, vede l'inedita presenza di creature extraterrestri

 

Oltre ai filoni horror e fantascientifici, l'inesorabile Chronos ci ha privato anche di alcuni illustri predecessori cinematografici.

 

Del 1912 è infatti Salvata dal Titanic, la cui protagonista è una vera superstite della tragedia (e indossa lo stesso abito della sera del naufragio), mentre risale al 1916 l'italianissimo Avatar, diretto da Carmine Gallone, che anticipa, in modo parziale, alcune tematiche del kolossal di James Cameron.

 

The Isle of Lost Ships, uscito nel 1923, anticipa invece di circa tre decenni la strana attenzione per il triangolo delle Bermuda, mentre tre anni più tardi compare la prima versione cinematografica de Il grande Gatsby di Francis Scott Fitzgerald.

 

Sconfinando nel sonoro, del 1933 sono il primo anime parlato e Wasei Kingu Kongu: quest'ultimo, corto giapponese distrutto dall'atomica, si basa sulla storia di King Kong e porta sul grande schermo, per la prima volta, un Kaiju, precedendo di ventun'anni la stagione aperta da Godzilla.

 

 

[Godizilla, film del 1954 ritenuto erroneamente il primo sui Kaiju]

 

Le prime volte del nostro non-cinema riguardano però anche aspetti molto più tecnici, non per questo meno interessanti.

The Gulf Between, del 1917, fu la prima pellicola colorata col Technicolor Process 1, e The Power of Love, del 1922, il primo film in 3D, realizzato con la tecnica dell'anaglifo.

 

Ben più importante è, però, il primo film d'animazione in assoluto: nel 1917 Quirino Cristiani, disegnatore argentino nato in provincia di Pavia, realizza infatti El Apóstol, impiegando la tecnica della cut-out animation - la stessa di South Park - e confezionando una tagliente satira politica, satirica come altre due sue opere perdute, Sin dejar rastros e, soprattutto, Peludópolis, primo lungometraggio animato con sonoro.

  

Arriviamo infatti nell'era del sonoro, convenzionalmente aperta nel 1927 da Il cantante di Jazz.

La separazione, nella mia analisi, è formale, ma non irrilevante: di molti film perduti infatti sopravvivono solo le colonne sonore, perlomeno quelle registrate sui dischi Vitaphone, anche se tale sistema sarà presto soppiantato dalla registrazione su pellicola (tramite canali magnetici oppure ottici), rendendo poco utile la nostra distinzione.

 

Com'è intuibile, le pellicole perse dopo tale svolta sono decisamente meno, vista la nascita delle cineteche negli anni Trenta e la progressiva rivalutazione artistica del Cinema.

Alcuni lavori andati persi, per un motivo o per un altro, sono però degni di nota.

 

È il caso di due particolari pellicole dirette da Alessandro Blasetti, Il caso Haller e L'impiegato di papà.

Prodotte nei primi anni Trenta, sono entrambe remake di due successi stranieri: nel primo caso di Der Andere di Robert Wiene (autore de Il gabinetto del dottor Caligari), nel secondo di Ritorno alla felicità di Carl Boese.

 

Rimanendo in Italia, curiosa è poi la storia dei primi tre cortometraggi di Carlo Verdone: Poesia solare, Allegoria di primavera ed Elegia notturna, realizzati tra gli anni Sessanta e Settanta, vennero infatti consegnati dall'attore-regista alla RAI per uno speciale in programma, venendo poi perse negli archivi. 

 

Simile sorte hanno avuto l'unico film diretto da un giovanissimo Peter Finch, premio Oscar per Quinto Potere, e l'esordio del controverso Russ MeyerThe French Peep Show.

 

Per concludere, è doveroso citare anche un cortometraggio diretto nientepopodimeno che da Orson Welles, The Miracle of St. Anne.

 

 

[Carlo Verdone]

 

Passiamo ora, dopo questa lunga carrellata, alla seconda categoria del non-cinema, quella dei film completati ma distrutti o non distribuiti, e cominciamo con dei casi particolari che potrebbero essere ascrivibili pure alla prima tipologia: si tratta di opere distrutte durante le guerre o per motivi storico-politici.

 

È infatti importante dividere due macrosettori, quelli delle pellicole distrutte accidentalmente o meno.

Nel primo caso rientra il sopracitato Wasei Kingu Kongu, distrutto dai bombardamenti atomici del 1945, ma in linea teorica possiamo appunto far rientrare tale casistica nella prima categoria.

 

Il secondo caso si rivela invece più interessante: sono documentate, infatti, diverse distruzioni di opere propagandistiche, soprattutto tra Prima e Seconda Guerra Mondiale, e un esempio è l'americano The Spirit of '76, che - nel 1917 - mostrava le atrocità commesse dai soldati inglesi durante la Rivoluzione Americana e che, vista l'alleanza tra USA e Regno Unito, venne sequestrato e presumibilmente distrutto.

 

Scampò ad una sorte simile The Battle Cry of Peace, kolossal di propaganda antitedesca del 1915 contro cui il pacifista Henry Ford intentò una causa: egli accusò il regista di essere pagato dalla lobby degli armatori ma uscì sconfitto dalla controversia legale, anche se ad oggi l'opera risulta irreperibile per ragioni casuali.

 

Restando in tema, è fortemente evocativa anche la distruzione ad opera delle armate sovietiche di un film polacco su di un conflitto tra le due nazioni, nel tentativo di attuare una sorta di damnatio memoriae.

  

Damnatio memoriae che è il fine di un'altra distruzione, totalmente slegata da cause politiche: molti dei lavori del regista William Desmond Taylor, tra cui Anne of Green Gables, del 1919, vennero difatti distrutti dopo la sua morte a causa della scoperta della relazione tra il regista e un'attrice diciannovenne.

 

Andarono incontro a distruzione postuma anche tutte le copie di una pellicola molto più recente, del 1972, Nobody Ordered Love, per volontà però del suo regista, Robert Hartford-Davis.

Non sono pochi i casi di registi scontenti delle proprie opere, come abbiamo potuto osservare nei casi di Alfred Hitchcock e François Truffaut, ma talvolta l'insoddisfazione che conduce all'extrema ratio.

 

È il caso del primo film dei fratelli Marx e di una pellicola di Woody Allen.

Il primo lavoro del quintetto comico, il cortometraggio Humor Risk del 1921, non uscì mai nelle sale, e alcune fonti sostengono che Groucho ne abbia bruciato i rulli.

 

Diverso il caso di September, del regista newyorkese, girato per ben due volte con due cast completamente diversi: la prima versione, nella quale figuravano Sam Shepard e Charles Durning, venne distrutta da Allen a lavoro ormai ultimato, la seconda, con Mia Farrow, venne invece distribuita nel 1987.

 

 

[Woody Allen]

 

 

Ma arriviamo ora a quello che forse è il caso più celebre di tutti, segnalato non a caso da Virginia Scotti: stiamo parlando di The Day the Clown Cried, di e con Jerry Lewis.

 

La pellicola narra(va) la storia di un clown finito in un campo di concentramento nazista, anticipando in parte La vita è bella, e la produzione iniziò nel 1972, con un Lewis non del tutto convinto del pesante contesto narrativo.

 

Le riprese furono parecchio incidentate, tra problemi economici e logistici e ad un certo punto, nonostante fossero quasi ultimate, il produttore decise di defilarsi: Lewis rimase allora con un'unica copia in videocassetta, montata in modo provvisorio.

I pochi che la videro parlarono di un totale fallimento artistico, dunque il regista-attore decise di tenere per sé la sola versione esistente.

 

Nel 2013 il vecchio attore si disse "imbarazzato da quel film" - aggiungendo un secco "non lascerò mai che nessuno lo veda" - tuttavia, a quanto pare, egli (morto quattro anni fa) avrebbe donato una copia alla Biblioteca del Congresso nel 2015.

Ad una sola condizione, ovvero l'impossibilità di proiettare il film per dieci anni.

 

Torniamo però adesso agli anni Trenta, per esaminare un altro caso decisamente famoso, quello de Il prato di Bezin di Sergej Michajlovič Ėjzenštejn. 

 

La pellicola avrebbe dovuto riprendere e mescolare due modelli - l'omonimo racconto di Ivan Turgenev e la leggendaria storia di Pavlik Morozov -, raccontando quindi la storia di un contadino deciso a denunciare il padre, reo di tradimento nei confronti del governo sovietico.

 

La produzione iniziò nel 1935 e si protrasse per circa due anni, quando venne fermata da Mosca, con un apparato comunista deciso ad accusare il regista sovietico di un intellettualismo che avrebbero oscurato l'intento propagandistico della pellicola.

In effetti, pare che il film avesse preso una piega assai simbolica, con un profondo studio sull'iconografia religiosa e sul rapporto Bene-Male.

 

L'ingerenza politica bloccò dunque la produzione, che non riprese mai più; inoltre, negli anni Quaranta, un bombardamento distrusse le bobine rimaste.

Solo nel 1960 vennero recuperati alcuni frammenti e si tentò una ricostruzione parziale, comunque ben lontana dalla forma originaria.

 

Ecco dunque la storia di un non-film dal grande valore storico, visto il contesto, e artistico, visto il regista.

 

 

[Sergej Michajlovič Ėjzenštejn]

 

Superato questo unicum, è doveroso citare altri due casi, per concludere questa seconda categoria: entrambi vedono coinvolta la figura di un produttore.

 

Il primo è molto semplice e bizzarro, e interessa diversi film: nel 1924, infatti, un produttore della casa britannica Hepworth decise di distruggere innumerevoli bobine, nella speranza di ottenere argento dal nitrato delle pellicole.

 

Il secondo caso riguarda invece i fratelli Warner.

Nel 1933 uscì nelle sale Convention City, film particolarmente ricco di sesso e alcolismo, una delle pellicole della cosiddetta era pre-codice, visto solo l'anno successivo il famigerato Codice Hays - che aveva il compito di regolamentare moralmente il mondo hollywoodiano - sarebbe entrato in vigore.

 

Quando il Codice divenne effettivo, i Warner decisero di appoggiare in pieno la commissione simil-censoria, e giunsero, per ingraziarsela, a distruggere l'opera.

  

Dopo questa lunga lista di pellicole perse o distrutte, giungiamo alla terza categoria, l'ultima, più astratta, quella dei film solo pensati o giusto iniziati.

 

Per i seguenti casi, i più celebri, vi rimando alla Top 8 dedicata (diventata Top 7 dopo l'inaspettata distribuzione di Un giorno di pioggia a New York, di Woody Allen):

Something Got to Give di George Cukor;

Kaleidoscope di Alfred Hitchcock;

Superman Lives di Tim Burton;

Heart of Darkness di Orson Welles;

Il viaggio di G. Mastorna, detto Fernet di Federico Fellini;

Napoleone di Stanley Kubrick;

Leningrado di Sergio Leone.

 

Costruiamo però ora, con le non-pellicole rimaste escluse, una nuova Top 8, non gerarchica.

 

Primo caso: Don Chisciotte, di Orson Welles.

Il film, che avrebbe dovuto vedere il celebre hidalgo e il fidato Sancio Panza catapultati nel mondo contemporaneo, non vide la luce per diverse ragioni.

 

La produzione, autofinanziata dal regista, fu travagliata e saltuaria, si estese per più di dieci anni venendo poi bloccata dalla morte dell'attore protagonista, nel 1969.

Welles tentò di proseguire con una controfigura, ma sorsero altri problemi: il regista avrebbe voluto terminare il film con l'esplosione di una bomba atomica, ma il budget limitato fece naufragare l'intero progetto.

 

A latere: nel 1992 il regista spagnolo Jesús Franco montò le scene esistenti, seguendo i pochi appunti disponibili, ma il risultato fu aspramente criticato.

 

 

[Orson Welles sul set di Don Chisciotte]

 

Secondo caso: Megalopolis, di Francis Ford Coppola.

Sembra che Coppola stia ancora lavorando a questo progetto, come annunciato lo scorso anno, ma è bene considerare come il primo annuncio della realizzazione risalga al 2001.

 

La pellicola, a quanto pare, venne fermata dall'11 settembre, e avrebbe dovuto raccontare del tentativo di un architetto di riprogettare, dopo un terribile disastro, la città di New York, legandosi al Metropolis di Fritz Lang.

 

Terzo caso: Ronnie Rocket, di David Lynch.

Lynch iniziò a concepire il film subito dopo l'uscita di Eraserhead, nel 1977, scrivendone la sceneggiatura.

 

Il focus sarebbe stata la misteriosa storia di un detective alla ricerca di una fantomatica seconda dimensione e di un nano (interpretato da Michael J. Anderson) in grado di controllare l'energia elettrica, ma le eccessive stranezze complicarono il reperimento dei fondi necessari, nonostante i numerosi tentativi del regista.

  

Quarto caso: Dune, di Alejandro Jodorowsky.

Se il progetto del folle Jodorowsky si fosse concretizzato non avremmo mai potuto assistere al flop del già citato Lynch.

 

Il cineasta cileno aveva infatti tentato di adattare il romanzo di Frank Herbert parecchi anni prima, a modo suo: i Pink Floyd avrebbero dovuto realizzare la colonna sonora, mentre tra gli attori sarebbero figurati Orson Welles, Mick Jagger, Amanda Lear e Salvador Dalì.

 

Nonostante le favolose premesse, la mastodontica pellicola non fu realizzata a causa (ancora) della paura dei produttori, e sulla gestazione del film, tra l'altro, è stato realizzato l'interessantissimo documentario Jodorowsky's Dune.

 

Quinto caso: Giraffes on Horseback Salad, di Salvador Dalì.

Ritorna nella nostra Top 8 l'eclettico artista spagnolo, che, nel 1937 scrisse la sceneggiatura di questa pellicola.

 

Il titolo rende l'idea dell'onirismo che avrebbe pervaso l'opera, che sarebbe stata un prezioso manufatto storico-artistico.

Il film venne scritto da Dalì per i fratelli Marx, e avrebbe dovuto presentare la storia d'amore tra un nobile spagnolo e una donna surrealista, della quale non sarebbe mai stato inquadrato il volto.

 

La MGM decise però di non produrre l'opera, ritenuta troppo bizzarra: del resto, una scena avrebbe dovuto mostrare delle giraffe andare a fuoco con indosso delle maschere a gas…

 

 

[Salvador Dalì]

 

Sesto caso: La Condizione Umana, di Michael Cimino.

Anche qui il timore dei produttori ha frenato la realizzazione di un potenziale grande film.

 

Questa volta però un infausto precedente ha sbarrato la strada a Cimino: il suo I cancelli del cielo, flop clamoroso, portò difatti la casa di produzione United Artists al fallimento, rendendo il progetto una pericolosa scommessa.

 

Cimino tentò per anni di trasporre sul grande schermo il romanzo del 1933 di André Malraux, e avrebbe voluto con sé John Malkovich, Johnny Depp, Daniel Day-Lewis e Uma Thurman.

 

Settimo caso: Le Montagne della Follia, di Guillermo del Toro.

Come per Megalopolis, le possibilità che questo film possa ancora essere realizzato sono vive.

 

In ogni caso, la produzione della pellicola avrebbe dovuto iniziare nel 2011, con un budget di circa centocinquanta milioni di dollari.

 

Questa trasposizione dell'omonimo romanzo di H.P. Lovecraft avrebbe dovuto essere prodotta da James Cameron e Tom Cruise, ma la Universal bloccò il progetto appena prima della produzione, spaventata dall'eventuale divieto ai minori, specie in relazione all'ingente investimento.

 

Ottavo caso, tra Martin Scorsese e Christopher Nolan.

Chiudiamo questa Top 8 alternativa con una strana girandola tra questi due registi.

 

Il primo tentò di realizzare un biopic sul pianista George Gershwin, seguendo una sceneggiatura del fidato Paul Schrader, venendo frenato da una Warner Bros che preferì virare su un film su Dean Martin - sempre diretto dal regista newyorkese - il quale, per ironia della sorte, non fu mai realizzato.

 

Quando invece nel 2004 uscì The Aviator, fu per una volta Scorsese a costringere al blocco un altro progetto: Christopher Nolan stava infatti lavorando alla sceneggiatura di Howard Hughes, sull'aviatore, che sarà costretto ad accantonare.

 

Un peccato, forse, perché il cineasta britannico la definirà "la migliore cosa che abbia mai scritto".

 

 

[Howard Hughes]

 

Termina qui questo estenuante viaggio nei meandri del non-cinema.

 

Ringrazio ancora Virginia Scotti per la segnalazione, così come tutti quelli che hanno proposto altri argomenti, talmente validi da portare ad un'estensione del sondaggio (che avviene sul gruppo Facebook Cinefactsers!).

 

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Cinerama Out.

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1 commento

Mattia Gritti

4 anni fa

Sicuramente moltissimi.
Nell'articolo sono citati solo quelli di cui si hanno tracce certe, ed anch'esse hanno dovuto sopravvivere per molti anni

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