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Scream VI - Recensione: tra autoreferenzialità e gore

Torna al cinema la saga di Scream, appena un anno dopo il revival avvenuto nel 2022; come recita la tagline del film “nuova città, nuove regole”: l’abbandono di Woodsboro avrà portato una ventata d’aria fresca o avrà segnato la condanna del franchise?

Torna Ghostface, tornano i volti familiari dei personaggi (sopravvissuti) del capitolo precedente, ma non torna Woodsboro: queste le premesse di Scream VI.

 

Prima di addentrarci in una New York halloweenesca che si tinge di rosso devo però fare un passo indietro per "ripassare" la resurrezione della saga del 2022.

 

[Il trailer internazionale di Scream VI]

 

 

Poco più di un anno fa uscivamo dalla sala dopo aver testimoniato la resurrezione di Scream a opera di Matt Bettinelli-Olpin e Tyler Gillett, dopo undici anni di vuoto e dopo la morte di Wes Craven, avvenuta nel 2015.

 

Chi con l’entusiasmo alle stelle, chi con cauta soddisfazione e chi trasudante delusione, tutti abbiamo riaccolto Ghostface sullo schermo cinematografico nel quinto capitolo della saga (non più) di Craven, che ha assunto significativamente lo scarno titolo di Scream, senza numeri, senza fronzoli, rifacendosi nominalmente e concettualmente all’apripista del 1996. 

 

La ragione di tale forte scelta si trova nella parodia centrale del nuovo capitolo di una pratica che, nella pausa della saga tra il 2011 e il 2022, ha preso piede nell’universo seriale cinematografico, ovvero il requel (o legacy sequel), denominazione entrata nel linguaggio corrente degli appassionati di Cinema - almeno in Italia - proprio dopo le accurate spiegazioni elargite da Mindy (Jasmin Savoy Brown) nello Scream del 2022, iterazione al femminile e queer del personaggio di suo zio Randy Meeks (Jamie Kennedy).   

 

Prendendosi gioco delle sue regole e delle sue criticità, Bettinelli-Olpin e Gillett hanno realizzato un requel con buona pace dei detrattori e dei delusi, attuando un’operazione sicuramente intelligente e puntando sulla parodia dell’ormai tanto sfruttata nostalgia per un passato cinematografico dai contorni tanto idilliaci quanto - in realtà - ammantati di una meraviglia che si riesce a riservare solo a quanto non si sta vivendo nel presente, a quanto è stato ed è in grado di riportarci a momenti di cristallizzato benessere, che prosperano proprio perché non sono più. 

 

Il risultato è stato un film dai molti momenti divertenti, dal piglio brillante e dall’innegabile maestria tecnica, ma che forse lascia un po’ l’amaro in bocca perché, critica o non critica, quello che abbiamo visto è proprio un requel (con twist finale) che sfrutta poco l’affermazione negli ultimi anni dell’elevated horror e i suoi contrasti con i generi più bassi del Cinema dell’orrore, come appunto lo slasher, perché evidentemente non è il terreno primario su cui muoversi scelto dai realizzatori. 

 

Nel bene e nel male, l’attesa per il sesto capitolo era palpabile. Uscire dalla mitologica Woodsboro cosa avrebbe comportato? 

Un distaccamento dalle logiche tanto care alla saga? Un rinnovamento di dinamiche ormai stanche? 

Una trasformazione in qualcos’altro che non è più Scream?

Nuova città, nuove regole.

 

E finalmente un bel nuovo capitolo di Scream.  

 

 

[Ghostface, senza scrupoli, non prova nemmeno più a nascondersi]

 

 

Dopo i “legacy murders” di Woodsboro del 2022, Sam e Tara Carpenter (Melissa Barrera e Jenna Ortega), si sono trasferite a New York con Mindy e Chad Meeks-Martin (Jasmin Savoy Brown e Mason Gooding), nel tentativo di sfuggire alla memoria degli orribili massacri involontariamente causati dall’eredità genetica di Sam.

 

Nella migliore tradizione della rinfrescata al cast, ognuno dei personaggi principali porta nuovi membri alla schiera di possibili vittime o colpevoli.

 

Sam e Tara convivono con la promiscua e divertente Quinn Bailey (Liana Liberato), scelta accuratamente in seguito a un annuncio anonimo in quanto rassicurante figlia di un poliziotto.

Sam, inoltre, comincia una relazione - inizialmente segreta - con Danny, il vicino bello e tenebroso (inutile dire perché si collochi in cima alla lista dei sospetti).

Chad divide la stanza con il timido e “sfigato” Ethan (Jack Champion), mentre Mindy si accompagna con la sua nuova conquista, Anika (Devyn Nekoda), la gay sassy che sa il fatto suo. 

 

La natura di stereotipi dei nuovi personaggi introdotti è evidente, ho voluto appositamente sottolinearla per mezzo dell’utilizzo di specifici termini standard, che appiattiscono il profilo psicologico dei nuovi arrivati su tipi ben riconoscibili (forse più aggiornati ai tempi correnti, ma sempre tipi) della tradizione slasher. 

Ci va bene così?

Certo che ci va bene così. 

 

Sono personaggi che funzionano, che riescono a rimanere bidimensionali senza risultare per questo fastidiosamente artificiosi, più “forti” dei nuovi arrivati che ci hanno lasciato dopo gli eventi dello Scream precedente. 

 

La nuova ambientazione newyorkese, facendo uscire le vicende dalla ristretta comunità di Woodsboro, non ha la prerogativa di aggiungere un senso di isolamento delle vittime rispetto a quanto stanno affrontando; d’altronde il circoscritto ambiente del quartiere non ha mai trasmesso un particolare senso di protezione o calore nei confronti dei protagonisti, tant’è che Ghostface si è sempre nascosto tra i volti familiari di amici, fidanzati e parenti.

 

La location diversa riesce però comunque ad acuire il vuoto attorno ai nostri protagonisti, allargando la prospettiva, aumentando l’estensione spaziale, riempiendo le inquadrature di una folla soffocante, calcando sull’odio che una bugia ha saputo riversare su Sam e la sua famiglia.

 

 

[Ghostface invade la metropolitana]

 

Il setting nel periodo di Halloween ha molto aiutato in questo senso: Ghostface è ormai un feticcio dell’orrore, è diventato una maschera alla stregua di un Michael Myers o di un Jason Voorhees (la finzione che copia la realtà), e quindi ne troviamo uno ad ogni angolo: emblematica in tal senso la meravigliosa scena della metropolitana, punta di diamante dell’intero film. 

 

Il film pullula di Ghostface(s), titillando quella sensazione di setta e di culto che già era trasmessa dal trailer, la deriva ossessiva e fanatica a cui talvolta i crimini efferati conducono: lungi da me però rivelarvi se questo è davvero quello che è accaduto in Scream VI ("chi spoilera muore").   

 

Il timore più grande era che fosse passato veramente troppo poco tempo dall’ultimo capitolo.

Ogni Scream si concentra su dei cambi di paradigma che hanno caratterizzato il mondo del Cinema, dell’entertainment, delle logiche produttive e di fruizione nel corso dei decenni e che, tra un capitolo e l’altro, intervengono andando a costituire il fulcro del nuovo capitolo. 

 

Dal 2022 al 2023, cosa mai potrà essere cambiato? Quale può essere il nuovo cuore di Scream

Si è deciso di impiegare le dinamiche della saga, del franchise, che non risultano tuttavia sufficientemente forti a sostenere l’impalcatura parodica.

 

È Mindy stessa a dirlo: ora si fa tutto più “in grande”, si parla di saga e nessuno è più al sicuro. 

Sembra che a differenza del precedente, che per sua natura doveva rispettare delle regole imposte da ciò che voleva parodizzare, qui ci si sposti da ogni binario tracciato: tutto è possibile, nel bene e nel male.  

Il cuore nevralgico dei riferimenti, delle citazioni e del gioco con lo spettatore (informato) è proprio con la saga stessa di Scream. 

 

L’autoreferenzialità dell’operazione è ciò su cui si innesta la narrazione; gli occhiolini al fan scandiscono la solita struttura whodunit che, nonostante la prevedibilità della sua risoluzione, soddisfa il desiderio dell’appassionato di trovare ciò che conosce e ama, di entusiasmarsi per la comprensione anticipata rispetto allo spettatore occasionale e per avere individuato l’easter egg più nascosto, il riferimento più palese e quello più “difficile”.

 

 

[Samara Weaving è Grace in Finché morte non ci separi (Matt Bettinelli-Olpin, Tyler Gillett, 2019]

 

Perché sono uscita dalla proiezione di Scream VI con il sorriso sulle labbra? 

 

Morti particolarmente creative e intrattenenti? Un finale particolarmente originale?

Una divertentissima scena post-credit (che mi sono persa perché non ho aspettato la fine-fine)? No: molto più semplice e molto più complesso allo stesso tempo.

 

Scream VI è davvero un film dei Radio Silence

 

Avendo imparato a conoscere e amare Matt Bettinelli-Olpin e Tyler Gillett grazie alle loro piccole perle dell’orrore in VHS, Southbound - Autostrada per l'inferno e con il meraviglioso Finché morte non ci separi, qui ho sentito la loro impronta divertente, divertita e gore, che nel precedente Scream non era a mio parere riuscita a emergere completamente. 

 

Si vede letteralmente che è un loro film, perché l’hanno infarcito di bellissimi riferimenti al loro Finché morte non ci separi, oltre a easter egg riferiti generalmente al Cinema horror - non dimentichiamoci che questo Scream è ambientato nel periodo di Halloween. 

 

In merito a questo è giunto il momento di parlare della cosa amio avviso più bella dell’intero film: Samara Weaving

 

Al contempo devo parlare anche del più grande crimine commesso dal film, che fa impallidire le coltellate di Ghostface: l’averla scritturata solo per la scena iniziale.

Ok, scherzavo. 

 

Samara Weaving - che avrete sicuramente visto in Guns AkimboLa babysitter e Babylon - è un’attrice australiana che nonostante stia lavorando sempre di più lascia addosso la sensazione che venga sfruttata troppo poco: con quella faccia e quell’espressione insolente, soprattutto dopo il ruolo di Grace nel sopracitato Finché morte non ci separi, ha secondo me tutte le carte in regola per diventare la scream queen dei sogni. 

 

Il prologo di cui è l'assoluta protagonista, oltre a farci pensare a una deriva del film che poi si rivelerà errata, la vede nei panni di Laura Crane (!), professoressa universitaria di Cinema horror alle prese con un tinder date che tarda ad arrivare all’appuntamento. 

 

Lei ci abbandona molto presto, mera funzione della scena iniziale, ma rimane nello spirito lungo tutto Scream VI, nella scelta di alcune inquadrature e movimenti di macchina che ricordano la catartica scena finale di Ready or Not (titolo originale di Finché morte non ci separi), nel pizzo del vestito da sposa di Grace, che vediamo nella scena della metropolitana, tra un cenobita e le gemelline di Shining, nella presenza di Henry Czerny nei panni dello psicologo, che era suo suocero nel film che ho già nominato troppe volte. 

 

Così come Scream VI è autoreferenziale, i due registi si ricordano di aver diretto quello che definisco un piccolo capolavoro diventando autoreferenziali anche loro, nell’ennesimo gioco meta che un po’ ci fa godere.  

Scream VI punta moltissimo sul teen drama, sull’orrore più splatter e sulla fruizione-gioco che ha caratterizzato tutta la saga.  

 

Questo secondo revival sembra però aver dato modo ai registi di imprimere un segno più personale sul film, che contribuisce al processo di rimodellamento che Scream sta subendo negli anni ’20 del 2000. 

 

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