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Spider-Man: No Way Home - Recensione: A Brand New Home

Mentre macina record d'incassi ci chiediamo se tutto questo hype ne valesse la pena

Spider-Man: No Way Home è riuscito in un colpo solo a diventare il più grande evento Marvel Studios dopo Avengers: Endgame e il film pop più atteso del 2021.

 

Lo ha notato Paul Thomas Anderson, lo hanno notato i sassi e lo noterà anche una scatola di cereali abbandonata al gelo di dicembre: un evento per il pubblico di massa di questa portata mancava dal panorama cinematografico da almeno un paio d’anni. 

I fan del Marvel Cinematic Universe, i bambini ora adulti cresciuti con Spidey, ogni spettatore in trepidante attesa si è finalmente riversato nelle sale per grattare ogni prurito alimentato da annunci e leaks, coronando il sogno di vedere una trilogia cinematografica per il grande pubblico concludersi con un enorme Bang.   

 

La Home Saga giunge al termine e, ve lo dico sin da ora, lo fa con il suo capitolo migliore, scongiurando il terrificante incubo del terzo capitolo.

 

Cosa rende Spider-Man: No Way Home il miglior film della trilogia e perché riesce al tempo stesso a essere un discreto garbuglio narrativo? 

 

 

 

Una questione di epica e di eroi  

 

Disney, Sony e Marvel Studios hanno l’orrenda colpa di aver utilizzato Spider-Man come una figurina da sacrificare all’altare dell’ego di Tony Stark (e del suo interprete), personaggio costruito per essere il sole del MCU.

 

Spider-Man: Homecoming è a mio avviso un mediocre film di supereroi e un brutto film di Spidey, in primis a causa dell’enorme ingerenza della figura di Tony Stark e di come questa abbia fagocitato ogni minima speranza di costruire un’icona importante come quella di Spider-Man, a partire da tutte quelle caratteristiche iconografiche che lo  rendono personaggio seminale per l’intera industria dei comic moderni.   

 

Il problema, che molti si ostinano a non capire, non era tanto il non averne raccontato le origini, quanto essersi comportati come se queste non avessero avuto alcuna importanza nella scelta di Peter Parker di diventare Spider-Man e, in linea di massima, nella definizione del personaggio.

Spidey era semplicemente lì, spogliato di ogni fibra morale e in Homecoming deve ogni cosa a Tony Stark.   

 

Spider-Man, come racconta benissimo Sam Raimi in una manciata di minuti del suo primo capitolo, è l’eroe dell’uomo della strada, dei freaks, degli immigrati dei negozi di quartiere, dei poliziotti, degli operai, il soggetto delle canzoni degli artisti di strada e il suo essere “l’amichevole Spider-Man di quartiere” non è un motto da infilare come easter egg in qualche linea di dialogo, ma un concetto molto più denso parte del tessuto della sua iconografia.   

 

 

[Citare senza raccontare davvero nulla]


 

In Homecoming, tanto quanto in Far From Home, Peter Parker sembra una marionetta in stasi prima dell’ingresso in scena di Tony Stark e questo ha un grosso peso sulla definizione della sua poetica che, in fin dei conti, non esiste.

 

Quando si parla di Spider-Man si tocca una figura importantissima, un eroe stupefacente per la folla sulla quale sfreccia tessendo le sue ragnatele tra i palazzi di Manhattan, ma un ragazzo comune sotto la maschera.

Un ultimo la cui statura morale è fin dalle sue origini messa in discussione e che si fonda sull’idea secondo cui “da un grande potere derivano grandi responsabilità.”

 

Questa frase così iconica non è importante che venga pronunciata ogni qualvolta sia necessario suonare la carica per il personaggio, ma è fondamentale che venga quantomeno messa in scena insieme al sopracitato concetto di eroe di tutti.

Spider-Man: Un nuovo universo funziona grazie a questa cura della potenza iconografica di Spider-Man, che trova in Miles Morales un ultimo da infilare in un costume di Spidey che, come lo rassicura Stan Lee, “calza sempre.”

 

Allo stesso modo in Spider-Man 2 di Sam Raimi il motto dell’eroe viene rielaborato come una gigantesca narrativa legata al Dottor Octavius per parlare del potere, del peso che questo comporta e di cosa impara Peter nel momento in cui vede il suo come una condanna, mentre Octavius come un privilegio per innalzarsi sopra molti.

A questo punto nasce, “l’intelligenza è un dono che va usato per il bene dell’umanità, non un privilegio.”

 

La statura morale del villain e dell’eroe è molto potente e tutto si armonizza per rendere ancora più epico e catartico l’eroe di quartiere.   

 

Detto tra noi, solo questo piccolo frammento della caratterizzazione di Spider-Man e del suo rapporto con il villain ha molta più valenza ed epica di tutto il percorso di Iron Man nel MCU.   

 

In definitiva, la Home Saga ha in buona parte macellato Spider-Man per riprodurre una vuota e sterile figurina.

Non siete d’accordo?

 

Beh, allora non vi piacerà per nulla Spider-Man: No Way Home, perché l’intera struttura narrativa del film si basa sulla volontà di riparare a tale errore.  

 

 

[In Spider-Man: No Way Home non si arriva mai a toccare certi contrasti morali con i villain]

 

 

Multiversi e il potere dei device narrativi fumettistici

 

Nel fumetto esistono una serie di espedienti utilizzati per riarrangiare l’universo narrativo e al contempo offrire a nuovi lettori un punto d’ingresso in una storyline che dura, all’incirca, dagli anni '60 a oggi. 

 

Ciò accade sia in Marvel sia in DC e si rivela essere molto astuto, per quanto fumettistico, inteso come strumento di storytelling dalla fantasia molto spinta e incredibilmente inverosimile, soprattutto quando si vuole mettere ordine nella continuity dei personaggi.   

 

In DC anni fa ci fu l’evento New 52 a cambiare lo status quo di tutte le testate, confermando alcuni eventi e cancellando altri.   

 

Parlando di Spider-Man, in Marvel divenne famoso, e per alcuni famigerato, l’evento One More Day nel quale dopo lo smascheramento volontario di Peter Parker una serie di eventi portava alla morte di Zia May e al patto tra Peter e Mefisto: il matrimonio con Mary Jane come pegno per riavere l’adorata zia.   

 

 


 

In questo modo Marvel ha potuto svecchiare il personaggio di Spider-Man, ormai oltre i trent’anni e sposato, al fine di riportarlo più vicino al pubblico più giovane, dando contestualmente agli autori un maggiore spazio di manovra nel maneggiare Spidey.

 

Il nuovo corso Marvel ha altamente beneficiato della scelta, per quanto sofferta, e diversi anni dopo con la creazione di Miles Morales, Spider-Gwen e altri nuovi volti della Spider-Family, si è arrivati a un nuovo evento che ha unito tutti questi multiversi, portando un bacino di lettori frammentato in un unico universo narrativo.   

 

Miles Morales e Peter Parker co-esistono e Spider-Man ha assunto una valenza ancora più potente che ha portato alla nascita di quel progetto meraviglioso che è Spider-Man: Un nuovo universo.

Anche nell’universo videoludico di Marvel’s Spider-Man, Miles Morales e Peter Parker esistono in un unico piano narrativo.

 

Questo strumento così assurdo deve essere entrato nel radar di un volpone come Kevin Feige che, conscio di non aver utilizzato a dovere Spider-Man e forte di nuovi accordi commerciali e nuove realtà produttive, ha deciso di portare anche questo device narrativo al cinema.

 

Spider-Man: No Way Home e i multiversi scatenati dal Peter Parker di Tom Holland sono sostanzialmente un ingegnoso, seppur non propriamente elegante, mezzo per chiudere la Home Saga, tagliare i ponti con quanto fatto in precedenza e dare occasione di scrivere un nuovo punto zero per Spider-Man.

 

 

[La sfilata di costumi in Spider-Man: No Way Home diventa poi oggetto di critica da parte del film stesso, ma è al contempo una cosa un po' ridicola]
 

 

Per fare ciò Spider-Man: No Way Home rende finalmente il Peter Parker di Tom Holland protagonista del film e padrone del suo destino, facendo leva su una delle migliori caratteristiche del personaggio: l’umanità di Peter.

 

Nel film vediamo finalmente il carattere di Peter e lungo lo sviluppo degli eventi, per quanto mossi da un incipit incredibilmente forzato risolto con una battutina e una scena buffa, esploriamo la costruzione delle fondamenta morali a rendere Spider-Man quello che è.

A partire proprio dall’animo bianco di Peter Parker, convinto di poter salvare tutti e fare di Spider-Man un personaggio capace di sconfiggere anche la morte.  

 

Spider-Man: No Way Home diventa quindi mastodontico e punta a fare di questo Spidey la versione migliore possibile, l’eroe più giusto, il più responsabile, il più capace di sacrificio all’interno di un universo nel quale è finalmente, cinematograficamente parlando, tutto possibile.   

 

Riguardo questo punto ci sarebbe da bacchettare gli sceneggiatori, colpevoli di distruggere una certa complessità morale per favorire un passaggio di testimone.

Tuttavia, al fine di non minare la vostra visione, devo censurare una sequela di analisi e appunti fondamentali quanto portanti per la fruizione del film.

 

Non è questo il luogo corretto, ma sappiate che esistono aberranti scelte di sceneggiatura a sminuire e declinare erroneamente alcune passate scelte morali molto ben più complesse e poeticamente potenti.  

 

 

[Spider-Man: No Way Home vive molto del cosa racconta e del come, ma il come è un lago di spoiler e molte cose le devo tacere per farvi un buon servizio]

 

Al fine di aiutare Peter a completare il suo percorso dell’eroe la sceneggiatura di Spider-Man: No Way Home deve gettare molta sabbia negli occhi del pubblico perché, come anticipato, la soluzione non è per nulla elegante e porta a galla i sopracitati problemi di scrittura legati alla Home Saga.   

 

Nel secondo e nel terzo atto del film assistiamo a meravigliosi momenti legati al cuore del personaggio, complice uno Spidey che si mostra finalmente stupefacente e degno del nome e del costume che porta.

Per quanto potenti e commoventi siano alcune sequenze del film, però, sono minate dall’idea che le origini alla base dello Spider-Man di Tom Holland siano affidate a un buco nero di sceneggiatura che genera paradossi di scrittura.   

 

Gli sceneggiatori hanno coraggiosamente cercato di rimediare a un disastro strutturale creato con i primi due film e per certi versi, sfruttando leve emotive molto potenti legate alla poetica cinematografica di questo eroe, ci riescono.

 

Al contempo è invero piuttosto palese l’ingenuità dell’inganno e in molti dialoghi sembra sempre che si eviti il proverbiale elefante nella stanza.

 

 

[In Spider-Man: No Way Home la presenza di Doctor Strange non è starkiana e si offre come comprimario, ma nulla più. Finalmente Peter è protagonista]

 

 

Spider-Man: No Way Home è una festa per chiunque abbia amato questo personaggio sul grande schermo e difficilmente lascerà qualcuno deluso, soprattutto nel finale quando lo strumento di storytelling raggiunge il suo scopo e finalmente ritroviamo l’eroe che speravamo di vedere già in Spider-Man: Homecoming.   

 

Questo film serve quindi da soft reboot del personaggio, utilizzando il terzo capitolo per dare una storia di origini utile a riempire la figura di Spider-Man, appesa, fino ad ora, a un costume vuoto.   

 

Il più grande paradosso di Spider-Man: No Way Home è proprio l’idea che la saga si concluda con un inizio per la nuova trilogia annunciata che, per quanto ne sappiamo, anche guardando al film, non era scontato sarebbe potuta arrivare.

Tuttavia, per quanto lodevoli nel mettere a fuoco Spidey/Peter e la sua morale, per quanto siano a tratti commoventi certe sequenze, soprattutto legate alle parti spoiler delle quali non posso assolutamente parlare, Spider-Man: No Way Home è alla base un film incredibilmente fragile sia dal punto di vista della scrittura sia della tecnica utilizzata nel dargli vita. 

 

Per chiudere il capitolo relativo alla sceneggiatura, ho trovato i villain quasi accessori, molto abbozzati e spesso macchiettistici, che stonano fortemente con il tono di una saga che non ha mai trovato realmente una quadratura di umore e voce.

Non hanno profondità, non hanno forza scenica e vengono sbagliati i tempi utili che ne veicolano le motivazioni.  

 

L’introduzione del senso di ragno, qua finalmente presente con costanza e non per convenienza di sceneggiatura o per appannaggio della resa di una sequenza, ha anche una buona idea di messa in scena, ma rientra in quello spettro di dettagli e easter egg tra il conveniente, il retcon, e lo storytelling da MCU appartenenti alla categoria “troppo poco e troppo tardi.” 

 

 


 

Pressapochismo CGI

 

I combattimenti sono lontani da un attento studio coreografico, il dinamismo e la forza scenica di Spidey non funzionano mai come in altri capitoli e il gusto per le immagini e la potenza, anche narrativa, che queste sanno dare non è quasi mai primario.

 

La regia di Jon Watts sembra incapace di dare imponenza al suo protagonista, di imprimere un qualsiasi slancio epico alle sue movenze così come alla sua presenza sullo schermo e se certi frame del film di Raimi potrebbero tranquillamente appartenere al panel di un fumetto, nella saga di Watts domina l’assenza di poetica per immagini.

Per un film è abbastanza tragico, soprattutto quando il green screen diventa palese o quando gli stacchi di montaggio tra un pugno e l’altro preannunciano un brutto mal di testa.   

 

Una scena come quella del treno di Spider-Man 2 in Spider-Man: No Way Home non esiste né per tono drammatico né per costruzione estetica e spesso si preferisce il funambolismo CGI posticcio di molte sequenze, contraddistinte dal motion blur.   

 

Anche nel riprodurre lo svolazzare tra i palazzi di Spider-Man, in particolar modo nella scena finale - una sorta di marchio di fabbrica dei film di Raimi - non vi è molta cura nel modello CGI e il tutto sembra il pigro esercizio di una major che, come in altre opere, appare poco intenzionata a cercare di rimanere nel tempo, pensando unicamente al consumo istantaneo delle opere.

 

Questo si nota soprattutto nel ridicolo modo in cui Flint Marko, aka l'Uomo Sabbia, rimane sullo schermo per larga parte del film.

 

 

[Anche una scena così semplice in Spider-Man: No Way Home diventa un po' meno credibile per via di una CGI non sempre necessaria e poco credibile... e non avete visto l'Uomo Sabbia]

 

Spider-Man: No Way Home    

 

Spider-Man: No Way Home è indubbiamente il miglior film della Home Saga e una degna rappresentazione dello spirito del personaggio, superando senza troppe difficoltà i due The Amazing Spider-Man con protagonista Andrew Garfield e divenendo dopo Spider-Man: Un nuovo universo e Spider-Man 2 il miglior lungometraggio dedicato al personaggio.   

 

Il cuore di Peter Parker è nel posto giusto e finalmente i Marvel Studios, con Spider-Man: No Way Home, hanno capito cosa fa di Spider-Man un eroe così eccezionale.

Credo che il film riuscirà a soddisfare chiunque andrà al cinema spinto da certe aspettative e un certo entusiasmo rispetto al MCU e al personaggio.  

 

Rimanere dopo i titoli di coda, per una volta, lascia allo spettatore due suggestioni ben diverse: la prima è figlia di una recente quadratura rispetto al franchise, ma ha il difetto di aggiungere un ennesimo problema di scrittura al film.

La seconda, con mia sorpresa, è una ghiotta anticipazione legata al futuro del MCU, anche se non è nulla di particolarmente imprevedibile.

Quello che vedrete è sostanzialmente un teaser trailer, quindi rimanete incollati alla poltrona.   

 

Spider-Man: No Way Home è quindi secondo me un buon film di Spider-Man, ma ha molte fragilità nella scrittura, nella messa in scena, nel rapporto con la CGI quasi ossessivo e morboso e manca di un tono autoriale di qualsiasi sorta confermando come, ancora una volta, Marvel Studios faccia davvero fatica a investire seriamente sul suo personaggio più importante. 

 

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