close

NUOVO LIVELLO

COMPLIMENTI !

nuovo livello

Hai raggiunto il livello:

livello

#CineFacts. Curiosità, recensioni, news sul cinema e serie tv

#articoli

Paul Thomas Anderson - Monografia: addio alla mascolinità

Stile e opere di uno dei più grandi cineasti statunitensi degli ultimi 30 anni

Per comprendere l'importanza di Paul Thomas Anderson nel contesto cinematografico mondiale, potremmo semplicemente scegliere di affidarci alle parole di un suo famoso collega, che nel 2009, rilasciando un'intervista in merito decide di parlarne in questi termini: 

"A Paul Thomas Anderson mi lega quello che potrei definire il rapporto il più affettuoso maturato con un altro regista. 

 

Siamo degli amici-rivali, come lo erano Marlon Brando e Mongomery Clift: io mi sento Brando e Paul è Montgomery Cliff e la realtà è che Brando era migliore per il semplice fatto che Clift esistesse, e viceversa. 

Niente mi rende più contento e orgoglioso che vedere Paul dare luce a un capolavoro come Il petroliere e venire stimolato a dare il meglio di me".

 

Queste parole di Quentin Tarantino ci permettono di assumere una particolare prospettiva su quelli che sono stati, senza ombra di dubbio, i due più importanti e celebrati autori statunitensi dell'ultimo trentennio.

 

 

[Paul Thomas Anderson è uno dei capofila del Cinema nordamericano dell'ultimo trentennio]

 

Raccontarli come due amici che si stimolano e ispirano in continuazione, in una sorta di giocosa competitività, è estremamente affascinante oltre che per certi versi facile.

 

Entrambi sono emersi come luci accecanti in un decennio - gli anni '90 - in cui il Cinema statunitense nascondeva i propri gioielli più preziosi, entrambi sono ammantati dal misticismo tipico di chi è arrivato al successo senza passare per una scuola cinematografica ed entrambi sono registi fortemente losangelini per formazione, elezione e produzione artistica. 

 

Non a caso all'uscita di Boogie Nights - L'altra Hollywood, il celebre critico Roger Ebert si affrettò a paragonare i due, rilevando come nessun regista avesse avuto un impatto simile a quello di Paul Thomas Anderson proprio dai tempi di Tarantino, che aveva esordito cinque anni prima con Le iene

 

Forse per la somma di ciascuno di questi fattori, fu lo stesso Paul Thomas Anderson a chiamare il suo collega chiedendo di potersi incontrare e conoscersi, evitando quindi di sentirsi a disagio in altre occasioni, per via di tutti quei paragoni scomodi. Nacque così la grande amicizia tra i due più influenti autori del Cinema nordamericano, ma probabilmente assieme alla loro amicizia è nato un equivoco tutto cinefilo: quello di ritenerli effettivamente comparabili agli occhi del grande pubblico. 

 

 

[Una conversazione da cui è possibile dedurre l'affinità tra Paul Thomas Anderson e Quentin Tarantino, oltre che il ruolo sociale da loro assunto: protettori di un'idea di Cinema che rischia di scomparire]

 

 

Più che per tematiche trattate e stile, che pure sono piuttosto divergenti, i due sono ai poli opposti per quello che concerne il rapporto con la propria immagine pubblica.

 

Tarantino è quasi una rockstar, cavalca la notorietà come fosse un surfista con la grande onda che ha atteso tutta la vita, mentre Paul Thomas Anderson è schivo, quasi maniacale rispetto alla sua privacy, sinistramente kubrickiano nel nascondersi e rendersi irriconoscibile.

 

Prendete le loro ultime due sortite italiane: per la presenza di Quentin Tarantino al Teatro Grande di Brescia i biglietti sono andati esauriti in pochi secondi e alla sua successiva comparsata nello store Mondadori di Milano la via prospicente il negozio sembrava essersi trasformata in un red carpet popolato da fan urlanti. 

Paul Thomas Anderson, invece, poteva permettersi di girare del tutto indisturbato per la costiera amalfitana con la propria famiglia come un turista qualsiasi, tanto da essere sorpreso quando l'ho riconosciuto e mi ci sono avvicinato.

 

Anche in quella occasione, pur volendo preservare la propria privacy, è stato ben incline a qualche rapida parola sul suo Cinema. 

Non che ci fosse da aspettarsi nulla di diverso: per tutta la sua vita Paul Thomas Anderson ha messo in primo piano il Cinema, spesso lasciando che parlasse per lui, che assorbisse la sua immagine, che lo schermasse da ogni ulteriore implicazione sulla sua persona.

 

Si tratta di un approccio sempre più raro nel panorama cinematografico odierno in cui i registi di grande richiamo devono essere incardinati in uno schema sempre più articolato di riferimenti, assurgere a personaggi, prestarsi a una diffusione della loro immagine che possa essere facilmente piegata a logiche social.

 

Questa sua unicità, sommata alla sconfinata grandezza della sua produzione artistica, rende necessario un approfondimento su quello che è - senza alcun timore di smentita - uno dei più grandi Maestri dei nostri tempi.

 

 

["Gli attori sono i più grandi effetti speciali: quando hai un grande attore non hai bisogno di altri effetti" è senz'altro una delle citazioni da cui partire per comprendere la carriera di Paul Thomas Anderson]

 

 

Analizzando la carriera di Paul Thomas Anderson si fa strada in maniera del tutto dirompente l'idea della predestinazione.  

 

Il regista losangelino sembra essere nato per fare Cinema: non ha mai pensato ad altro nella sua vita, non si è mai concesso un'alternativa.

 

Suo padre era Ernie Anderson, un doppiatore che si era ritagliato una discreta notorietà lavorando per ABC e prestando la voce a Ghoulardi, un personaggio che introduceva i film horror mandati in onda da Shock Theater, programma della WJW-TV di Channel 8, una televisione locale della zona di Cleveland.

Ghoulardi diverrà poi anche il nome che Paul Thomas Anderson darà alla sua casa di produzione. 

 

Lavorare nel Cinema dev'essere stata dunque la sua prima inclinazione naturale. A 8 anni cominciò a dirigere i suoi primi cortometraggi, prima in Betamax, poi in 8mm e infine in 16mm: il padre l'ha sempre incoraggiato a scrivere e dirigere e pare che sia stato proprio lui a regargli la sua prima videocamera.

 

Il forte legame con il padre si instillerà pervicacemente nel suo Cinema, regalandoci alcune tra le rappresentazioni paterne più sfaccettate mai viste sul grande schermo.

 

[Se non avete affinità con il padre di Paul Thomas Anderson ecco un estratto molto interessante del suo lavoro in ABC]

 

 

Malgrado un periodo studentesco piuttosto travagliato, con diversi cambi di scuola, il piano per Paul Thomas Anderson è rimasto lo stesso.

 

Vivere a Los Angeles, una città in cui "lavorare nel Cinema è come trovare un qualsiasi altro lavoro altrove", ha poi fatto il resto.  

A 18 anni investe i proventi del suo lavoro in un negozio di animali domestici e gira The Dirk Diggler Story: un falso documentario sulla carriera di un porno-attore.

Avete già intuito che si tratta dell'idea che darà vita a Boogie Nights - L'altra Hollywood, il film che ne consacrerà definitivamente il talento.

 

L'ispirazione, com'è ovvio, è la vita di John Holmes, un'idea che tornerà decisamente buona qualche anno più avanti. 

 

Differentemente dal lungometraggio suo epigono, con The Dirk Diggler Story siamo dinanzi a un esperimento sprovvisto di grande padronanza tecnica, girato letteralmente per il bisogno di fare Cinema di un appena diciottenne Paul Thomas Anderson: la voce narrante del film è suo padre Ernie, mentre nel cast figurano anche due attori professionisti come Rusty Schwimmer e Robert Ridgely, che apparirà anche in Boogie Nights nell'ultimo ruolo della sua carriera.

 

 

[The Dirk Diggler Story: il primo lavoro di Paul Thomas Anderson, un Boogie Nights in nuce]

 

 

Malgrado abbia avuto la prima esperienza dietro la cinepresa, però, l'occasione di tornare a girare non si manifesta subito. 

 

Paul Thomas Anderson prova anche l'approccio accademico, frequentando il college a Santa Monica e per un paio di semestri a Emerson: in quest'ultima esperienza il suo percorso si incrocia con quello di David Foster Wallace, un incontro che non può che aver segnato il giovane autore.

Tra le cause del suo abbandono del secondo college, infatti, c'è anche l'addio alla scuola di Wallace. A quel punto temeva di perdere tempo e si iscrisse alla New York University, ma frequentò appena due giorni di lezioni. 

 

Al primo giorno venne immediatamente reso chiaro un punto agli studenti: "Chi è qui per scrivere Terminator 2 può anche andarsene".

 

Paul Thomas Anderson trovava il sequel di Terminator un ottimo film e pensò che non fosse giusto limitare il desiderio di un cineasta in nome della presunta importanza di una scuola: al secondo giorno decise di lasciare l'università dopo aver avuto un'ulteriore conferma dei suoi timori.

 

Il primo test sottoposto alla sua classe consisteva nello scrivere una pagina di sceneggiatura senza dialoghi, che mostrasse le caratteristiche di un personaggio attraverso le azioni e non le parole. 

Lavorando già in varie vesti sui set statunitensi PTA si era imbattuto nella sceneggiatura di Hoffa - Santo o mafioso?, scritta da un gigante della sceneggiatura come David Mamet, e decise di consegnarne direttamente una pagina ai professori. 

 

Ottenne una C+ e si convinse immediatamente a lasciare la scuola.

 

 

[Nel 1992 Paul Thomas Anderson radunò alcune delle sue esperienze come assistente di produzione]

 

 

Ricevendo indietro il suo anticipo sulla retta e finanziandosi anche con i guadagni ottenuti con qualche scommessa, qualche risparmio della sua ragazza dell'epoca e di suo padre, decise di girare autonomamente il suo vero e proprio film di formazione: Cigarettes & Coffee.

 

Il cortometraggio era pensato per sopperire a una formazione ordinaria, mettendo a frutto anni di esperienze sui set, ispirazione personale e la smodata cinefilia che aveva portato il giovane Paul Thomas Anderson a innamorarsi delle opere di Robert Downey Sr., Robert Altman, Jonathan Demme, Stanley Kubrick e numerosi altri grandi registi.

 

La trama del film lega una serie di storie attraverso una banconota da 20 dollari.

Parte dell'ispirazione per un personaggio era venuta a Paul Thomas Anderson quando, guardando Prima di mezzanotte, la sua attenzione era stata rapita da un caratterista in grado di innalzare il livello del film a ogni sua posa: stiamo parlando di Philip Baker Hall e del suo personaggio, Sidney.

 

Da quel personaggio Philip Baker Hall erediterà un nome quasi del tutto identico all'interno del cortometraggio, che di fatto contiene in nuce l'idea sviluppata dal cineasta californiano nel suo primo film Sydney.  

Baker Hall fu immediatamente convinto del talento del giovane regista che gli presentò la sceneggiatura del corto: 

"Mi sono chiesto chi sia stato il primo attore nel XVII secolo a leggere un copione di Shakespeare. 

Chissà se aveva idea di ciò che avrebbe significato ciò che leggeva. Io certamente conoscevo l'importanza di ciò che mi passava per le mani quando ho letto il primo lavoro di Paul Thomas Anderson."

 

Cigarettes & Coffee può contare inoltre su altri attori professionisti come Kirk Baltz Miguel Ferrer

Si palesa fin da subito la grande passione di Paul Thomas Anderson verso il talento attoriale, la possibilità di confrontarsi con gli interpreti e dar loro la miglior inclinazione possibile, aspetto che lo porterà a dirigere, tra le altre, ben 8 memorabili interpretazioni nominate all'Oscar. 

 

Rispetto al suo primo esperimento lo stile è già estremamente curato: la scrittura risulta acuminata, le interpretazioni raffinate, le scelte di regia decisamente più ardite ma allo stesso tempo funzionali. 

 

 

[Cigarettes & Coffee, il cortometraggio che Paul Thomas Anderson trasformerà in Sydney]

 

 

Presentato nel 1993 al Sundance Film Festival, da sempre la terra promessa per i giovani registi indipendenti, il cortometraggio ottiene un successo tale da permettere al regista di essere convocato nel 1994 dal Sundance Feature Film Program al fine di svilupparlo in un film.

 

Ad assumere il ruolo di mentore per il ventritreenne Paul Thomas Anderson in questa fase della sua carriera c'è Michael Caton-Jones, che ne riconosce il talento e l'ovvia inesperienza. 

Nel progetto converge anche la Rysher Entertainment: la sinergia produttiva permette di mettere insieme mezzi produttivi e un cast del tutto rari per un debuttante.

Oltre all'ovvia presenza di Philip Baker Hall, Sydney può contare su John C. ReillySamuel L. JacksonGwyneth Paltrow e Philip Seymour Hoffman.

 

L'opera narra del rapporto tra il giovane John e l'anziano e scafato Sydney: il loro incontro trasforma il ragazzo, disperato e sull'orlo della bancarotta, in un giocatore d'azzardo professionista. Gli incontri con la cameriera Clementine, il losco Jimmy e il riaffiorare di un passato torbido, però, sconvolgono le loro vite dalle fondamenta.

 

Ciò che sconvolge del debutto di Paul Thomas Anderson, soprattutto se raffrontata con i suoi cortometraggi, è l'estrema maturità dello stile, la capacità unica nel dirigere un cast di spessore e la consapevolezza nella gestione della struttura classica del noir, che viene già innervata con i temi che cominceranno a dominare la sua filmografia.

L'uso della steadicam, l'inserimento e la contemporanea differenziazione dei personaggi in una cornice iper-popolata e dinamica, ne diventano subito un tratto distintivo. I personaggi interpretati da Reilly e Baker Hall costituiscono, per la prima volta in carriera, quella che diverrà una dinamica ricorrente nel Cinema di Paul Thomas Anderson: quella tra padre putativo e figlioccio.

 

Lo scheletro del noir viene dunque immediatamente animato da personaggi tridimensionali, in grado di minare immediatamente le consapevolezze dello spettatore circa i loro comportamenti.

 

 

[Un giovanissimo Paul Thomas Anderson sul set di Sydney]

 

 

Proprio la scrittura dei personaggi cattura immediatamente l'attenzione della critica statunitense, con Roger Ebert in testa: già dal suo primo film traspariva l'enorme trasporto con cui Anderson si prestava alla fase di sceneggiatura. 

 

In soli 28 giorni di riprese e tre mesi di montaggio Paul Thomas Anderson aveva finalmente portato a termine il suo piano partito nel 1988, subito dopo la visione di Prima di mezzanotte: era entrato nell'ufficio di Carole Stevens, sua preside alla Montclair Prep, presentandole un foglio con sopra scritta una sola parola e affermando che il suo primo film sarebbe stato quello.

Quella parola era proprio Sydney.  

 

Rysher Entertainment però effettuò un nuovo montaggio del film, ben diverso da quello dell'autore: disponendo personalmente di una copia del film, Paul Thomas Anderson decise di proporla ai selezionatori del Festival di Cannes, che la accolsero nella sezione Un Certain Regard.

 

Complessivamente tra le parti vi fu circa un anno di dispute, che si risolse con un accordo salomonico: malgrado qualche taglio necessario, la versione distribuita fu molto vicina alla visione di Anderson, ma fu necessaria una spesa di circa 200.000 dollari trovati personalmente dal regista con l'aiuto del cast per il completamento della post-produzione, oltre a un totale cambio di nome (il film nella sua versione americana venne chiamato Hard Eight).

 

Ripensando alle controversie, il regista californiano durante un'intervista a Total Film nel 2008 disse: 

"La mia indole, per formazione familiare, è quella di lottare di continuo.

Si tratta di una componente naturale per me, ma forse in occasione del mio debutto abbiamo esagerato: ha creato una tale paranoia, una tale iper-prottetività.

Io stesso ho fatto cose che non hanno aiutato a trovare una soluzione. Avrei potuto essere più diplomatico, ma ero così arrogante.

Pensavo il mio lavoro fosse solo fare il miglior film possibile, ero così fuori di testa da pensare di non dover rendere conto a chi ci aveva messo i soldi".

 

La scommessa, però, ha pagato.

 

La negatività accumulata durante le battaglie per il rilascio di Sydney fu inoltre un ottimo propellente per la scrittura del suo successivo film, con cui decise di ripetere l'operazione ed espandere The Dirk Diggler Story

 

 

[Con Sydney, Paul Thomas Anderson rinnova il legame con Philip Baker Hall e inaugura le sue collaborazioni ricorrenti con John C. Reilly e Philip Seymour Hoffman]

 

 

Il successo di Sydney trasformò un venticinquenne Paul Thomas Anderson in un giovane autore in rampa di lancio e la bellezza della sceneggiatura di Boogie Nights - L'altra Hollywood lo aiutò a trovare una nuova casa di produzione con cui lavorare: lo script fu letto da Michael De Luca di New Line, che ne rimase estasiato.

 

L'opera raccontava un'epopea all'interno della Golden Age del porno: il protagonista è Eddie Adams, un ragazzo il cui unico talento è quello di avere un pene enorme.

Scoperto e cresciuto come un figlio dal regista Jack Horner, assumerà il nome di Dirk Diggler e si muoverà nell'assoluta follia dell'ambiente pornografico, il cui declino sarà parallelo al suo.

 

Anche stavolta Anderson aveva le idee chiare: il film doveva durare oltre tre ore ed essere assolutamente vietato ai minori. La produzione insisteva invece affinché il regista cedesse su almeno uno dei due aspetti.

Paul Thomas Anderson pensava che in ogni caso il film non avrebbe potuto avere velleità commerciali, ma acconsentì cercando di dare al film un taglio che gli permettesse di ottenere il rating R, ovverosia minori di 17 anni accompagnati da un adulto. 

 

Questa maggiore sensazione di libertà fu un'autentica benedizione per entrambe le parti in gioco: il montaggio definitivo dell'opera era di oltre 20 minuti inferiore alle 3 ore e il rating ottenuto, benché maturo, permise al film di ottenere un eccellente successo commerciale e un sensazionale riscontro di critica.

 

Un successo che cancellò ogni discussione in fase produttiva, inclusi i non pochi problemi di casting riscontrati. 

La prima scelta di Paul Thomas Anderson per il ruolo di Dirk Diggler era Leonardo DiCaprio, che aveva visto e apprezzato in Ritorno dal nulla, ma non potendo scritturarlo per via dei suoi impegni sul set di Titanic, decise di affidare il ruolo al suo compagno di recitazione Mark Wahlberg, complice anche il rifiuto di Joaquin Phoenix nell'interpretare un porno-attore.

 

Per il ruolo del regista Jack Horner il casting fu tra i più complessi del periodo: tra i tanti si penso a Harvey Keitel, Warren Beatty e Sydney Pollack, ma alla fine la spuntò Burt Reynolds.

Il suo personaggio, per quanto Paul Thomas Anderson si affannasse a negarlo, era del tutto strutturato sulla figura del regista Gerard Damiano.

 

Samuel L. Jackson rifiutò il ruolo di Buck Swope e fu scelto al suo posto Don Cheadle

Heather Graham, invece, si propose per la parte di Roller Girl dopo che sulle prime non fu presa in considerazione per via di una sua presupposta reticenza alle scene di nudo: ad oggi si tratta del suo ruolo più riuscito e iconico. 

 

Buona parte del resto del cast arrivava invece dai lavori precedenti del regista: Robert Ridgely, Philip Baker Hall, John C. Reilly e quel Philip Seymour Hoffman che aveva stupito tutti sul set con le sue eccellenti doti da improvvisatore.

In più fu trovato un piccolo ruolo per un suo idolo Robert Downey Sr., un vezzo che manterrà nel corso degli anni. 

 

E poi ancora Luis Guzman, Melora Walters, Alfred Molina: una cascata di attori dallo sconfinato talento per un'opera che ancor prima di prender forma aveva già i contorni della consacrazione definitiva.

 

[Tra i caratteristi di Boogie Nights c'è Michael Penn, per cui nel 1997 Paul Thomas Anderson diresse il suo primo videoclip]

 

 

Con un simile impianto produttivo e una maturità stilistica pressoché perfetta, Paul Thomas Anderson diede il benvenuto agli spettatori con un piano sequenza entrato direttamente nella Storia del Cinema: in meno di quattro minuti l'autore presenta buona parte dei personaggi del cast e al contempo ci immerge nell'epoca di riferimento.

 

La rilassatezza di fine anni '70 si incrocia con la chiara sensazione che sotto quella patina festante si nasconda del marcio, incarnato dal volto scuro di Mark Wahlberg sul finire della sequenza. 

Attorno al rapporto tra Eddie e il suo padre putativo Jack si sviluppano le numerose storie di un affresco corale che il protagonista trova sulla sua strada, ciascuna delle quali nasconde un risvolto oscuro, depressivo, autodistruttivo, che lo inglobano fino a mostrare l'intento più profondo di Paul Thomas Anderson: far esplodere dalle fondamenta l'idea dell'American Dream e dei suoi eroi.  

Svuotare di ogni velleità lo stereotipo di una mascolinità infallibile e sgretolare ogni illusione ottimistica del contesto in cui si muovono i suoi personaggi diverrà, da questo momento in poi, una cifra distintiva del suo Cinema. 

 

Il tradimento, il rifiuto, l'abuso di droghe, la disfunzione erettile, la privazione delle potestà genitoriali e numerosi altri spettri infestano l'apparentemente luminoso quadro fornitoci dall'opera, lasciando nello spettatore la chiara idea che la spensieratezza e lo sfarzo di ogni Golden Age altro non è che una risposta all'horror vacui interiore di ciascuno dei personaggi.

 

A più di un quarto di secolo dalla sua uscita, Boogie Nights è agevolmente identificabile come una delle più importanti opere hollywoodiane degli anni '90: incassò oltre 43 milioni di dollari nel mondo e ricevette, tra le altre, ben 3 nomination ai Premi Oscar 1998.

 

Tra i nominati c'era Burt Reynolds che - malgrado la performance gli sia valsa anche le prime nomination e l'unico Golden Globe della sua carriera - rimase tra i pochissimi attori che non hanno amato lavorare con Paul Thomas Anderson, non apprezzando la sua eccessiva esaltazione verso la tecnica cinematografica.

 

 

[Attraverso Boogie Nights, Paul Thomas Anderson sembra proprio voler incarnare la decadenza parallela di un mondo e dei suoi protagonisti] 

 

 

Il 1997 fu un anno particolarmente turbolento per Paul Thomas Anderson: a febbraio perse l'amato padre Ernie per un cancro ai polmoni.

 

Sul piano professionale invece ottenne la consacrazione nel pantheon dei più importanti registi statunitensi e potè cominciare la sua attività parallela di regista di videoclip che gli ha sempre permesso di rispondere alla sua continua necessità di girare, provando anche alcune soluzioni di messa in scena che torneranno prepotentemente nel suo Cinema.

Questa sua attività tornerà fondamentale anche per la nascita di diverse collaborazioni che potremo apprezzare nei suoi film.


Il mix di sensazioni provate dev'essere stato, pertanto, intenso e pieno di contrasti.

Un simile fermento interiore, sommato alle possibilità produttive scaturite dal successo del suo precedente film, non poteva che dare vita a Magnolia, il film più ambizioso e carico di Paul Thomas Anderson fino a quel momento, per cui ottenne la più grande investitura possibile per un regista hollywoodiano: il final cut.

 

Un po' come successe per Sydney, tutto partì dalla parola che diede poi il titolo al film.

Ad aiutarlo nella scrittura ci furono, a suo dire, due album di Aimee Mann, che infatti dominerà la pellicola assieme alla colonna sonora composta da Jon Brion e otterrà una nomination agli Oscar per Save Me

 

L'aspetto ironico della scrittura dell'opera era che quando iniziò a scriverla, Paul Thomas Anderson pensava di scrivere qualcosa di molto intimo e rapido da girare, ma tutto continuava a crescere per via delle sensazioni che lo attorniavano.

Il film alla fine è composto da otto storie interconnesse ma del tutto autonome, che si sviluppano ancora nella San Fernando Valley, luogo in cui Paul Thomas Anderson vive e che conosce profondamente. 

 

Magnolia rappresenta senza dubbio il culmine poetico del suo primo periodo artistico: la coralità di ispirazione altmaniana è portata all'apice della sua resa, mentre la messa in scena è più che mai fondata sul dinamismo incessante della cinepresa, che insegue le storie e le mette in relazione, mostrando il labirinto di cause ed effetti che si susseguono in spazi angusti.

 

[Un saggio di regia funzionale alla narrazione: Paul Thomas Anderson al suo meglio]

 

 

Il cast pantagruelico ripresenta numerosi attori già diretti in Boogie Nights, con l'aggiunta di alcuni nomi altisonanti come Tom Cruise, che chiamò direttamente l'autore dopo aver adorato Magnolia, e Jason Robards: entrambi recitano in due tra i ruoli più importanti delle loro pur stellari carriere. 

 

Robards, nello specifico, ci fornì l'ultima intepretazione della sua vita dando vita a un malato terminale di cancro ai polmoni, malattia da cui era affetto e per cui morì pochi mesi dopo il rilascio del film. 

Già dall'incipit, che racconta tre storie incentrate sui concetti di predestinazione e caso, comprendiamo lo spessore dell'opera che proprio tenendosi in equilibrio su quei concetti si svolge magistralmente lungo le tre ore successive. La pellicola trova nel suo straniante finale uno degli elementi più sconvolgenti di rottura rispetto al Cinema a cui ci ha abituato fino a quel momento l'autore, immergendoci in una dimensione del tutto unica.

 

La pioggia di rane, realizzata con circa 8000 rane di gomma, è una diretta citazione libro dell'Esodo, da cui Paul Thomas Anderson attinge costantemente riferimenti per le sue opere.

 

"E se rifiuti di lasciarlo andare, ecco, io colpirò tutta l'estensione del tuo paese col flagello delle rane".

[Esodo 8:2]

 

[Una scena unica nel Cinema di Paul Thomas Anderson]

 

 

Proprio i numeri 8 e 2 saranno ricorrenti per tutta l'opera: oltre a simboleggiare le otto storie individuali rappresentate, che assumono potenza solo se accoppiate a una storia a loro simile e parallela, i due numeri tornano costantemente sullo schermo, avvolgendo l'opera con una mistica del tutto peculiare.

 

Ogni storia è la diretta rappresentazione di un tipo umano e dell'auto-negazione dello stesso stereotipo. 

I personaggi maschili, nello specifico, rappresentano un'autetica autopsia del mito dell'uomo occidentale: il falso mito dell'eroe incarnato da John C. Reilly, la decadenza dopo la wahroliana celebrità di William H. Macy, il rimpianto mortale dei padri Jason Robards e Philip Baker Hall, la violenta manipolazione che nasce dai traumi di Tom Cruise, la pietas di Philip Seymour Hoffman.

 

Le eccellenti prove di Julianne Moore e Melora Walters si inseriscono negli spiragli di un simile contesto, delineando talvolta un controcampo emotivo soffocato dalle circostanze.

 

Magnolia si rivela un autentico successo, incassando oltre 48 milioni di dollari nel mondo a fronte di un budget di 37, ricevendo 3 nomination agli Oscar e trionfando nel successivo Festival di Berlino: la pellicola vinse l'Orso d'oro e lanciò Anderson in un empireo rarefatto di autori capaci di mettere d'accordo ogni approccio al Cinema. 

Tra le poche voci discordanti c'era proprio quella di David Foster Wallace, che aveva amato Boogie Nights al punto di dire che avrebbe voluto scrivere qualcosa di simile, ma che trovò eccessivamente pretenzioso l'ultimo lavoro del suo vecchio studente. 

 

Con Magnolia si chiude, dunque, la prima fase del Cinema di Paul Thomas Anderson: da questo primo scorcio di carriera era già possibile identificare come l'autore amasse lavorare in modo ricorrente con lo stesso gruppo di persone, tra le quali figurano i prodottori Joanne Sellar e Daniel Lupi, la direttrice del casting Cassandra Kulukundis, il costumista Mark Bridges e ovviamente il direttore della fotografia Robert Elswit

 

 

[Come state per scoprire, il rapporto tra Paul Thomas Anderson e il Saturday Night Live è sempre stato piuttosto profondo]

 

 

Quando durante la conferenza di premiazione di Magnolia Paul Thomas Anderson dichiarò che il suo successivo film sarebbe stato di soli 90 minuti, strutturato secondo i canoni della commedia romantica, e che gli sarebbe piaciuto lavorare con Adam Sandler, la reazione generale fu a metà tra lo straniamento e il divertimento.  

 

Per quanto ami divertirsi attraverso il Cinema, però, Paul Thomas Anderson non scherza mai sul proprio Cinema. L'idea di lavorare con Sandler gli era venuta osservando alcuni suoi lavori al Saturday Night Live, show con cui aveva anche collaborato personalmente. 

Il suo Barry Egan, protagonista di Ubriaco d'amore, è un personaggio dal profondo disagio, che vive un rapporto opprimente con le sue sorelle e con la propria sessualità, ma che al contempo dispone di intuizioni geniali e di una purezza d'animo che fino a quel momento era rimasta sullo sfondo nella filmografia di Paul Thomas Anderson.

 

La sua conoscenza con Lena, interpretata da una magnifica Emily Watson, rappresenta un perfetto sfruttamento della struttura della rom-com attraverso situazioni e dinamiche del tutto inconsuete: l'opera si adombra di sfumature noir grazie al personaggio magistralmente interpretato da Philip Seymour Hoffman e diventa quasi un heist-movie involontario grazie all'incredibile intuizione del protagonista sulla promozione delle miglia aeree in regalo con dei budini.

 

 

[Sul set di Ubriaco d'amore Paul Thomas Anderson sfruttò il personaggio di Philip Seymour Hoffman per rigirare uno dei più incredibili blooper della TV statunitense]

 

 

Condensando in un unico personaggio tutti i tratti già espressi e decostruiti nelle sue precedenti opere, viene accentuato il senso di alienazione del protagonista: la colonna sonora di Jon Brion costruisce un perfetto contraltare per la messa in scena del regista californiano, che invece tente a tramutare i turbamenti interni di Barry nel più dolce degli abbracci.

 

L'unico pezzo non originale è He Needs Me di Shelley Duvall, direttamente tratto dal Popeye - Braccio di ferro del suo amato Robert Altman.

 

Robert Elswit si ritrova a lavorare con scelte cromatiche distonanti, dal blu depressivo che domina il primo atto all'esplosione di colore che raggiunge i due protagonisti alle Hawaii: attraverso espedienti semplici ma estremamente calibrati come l'uso del lens flare e di inquadrature in controluce che definiscono le silhouette dei personaggi, accompagna lo spettatore attraverso la parabola del protagonista, conducendolo fino a un soddisfacente finale.

 

Il film trova il più interessante dei suoi aspetti nella ridefinizione del linguaggio cinematografico e viene premiato al Festival di Cannes con il Prix de la mise en scène e vale ad Adam Sandler la sua unica nomination ai Golden Globe, ma incassa solo 24,6 milioni di dollari, a fronte di 25 milioni di budget.

 

Durante uno dei DGA Talk di quella stagione, Francis Ford Coppola chiese a Paul Thomas Anderson se sapesse cosa stava facendo quando ha girato un film così lontano dall'idea che tutti avevano di lui e la sua risposta fu perfettamente in linea col personaggio:  

"No, cercavo solo di sopravvivere di giorno in giorno.

 

Pensavo che avrei fatto un film che avrebbero visto tutti e che avrebbe incassato 500 miliardi di dollari, ma alla fine ho fatto un film che non ha visto nessuno, ma che almeno è piaciuto a qualcuno".

 

[Il divertente e divertito approccio tra Paul Thomas Anderson e Adam Sandler: il regista aveva notato il talento dell'attore proprio in uno sketch sul divano realizzato per il Saturday Night Live]

 

 

Il riscontro dolceamaro di Ubriaco d'amore non fece calare l'attenzione attorno al nome di Paul Thomas Anderson che, al contrario, nel 2005 fu chiamato a rispondere a un compito tutt'altro che semplice: essere l'eventuale sostituto di Robert Altman alla regia di Radio America qualora le condizioni del grande autore fossero degenerate.

 

Era condizione necessaria affinché gli fosse permesso di girare. Un cinefilo come il regista californiano non si fece sfuggire l'occasione di affiancare il suo Maestro spirituale sul set del suo ultimo film, ma non fu necessario il suo intervento per completare l'opera, che è tutt'ora uno dei lavori più amati dell'intera filmografia di Altman. 

Solo qualche anno prima Paul Thomas Anderson aveva accettato di buon grado l'etichetta di "Bobbie Altman Junior": la sua seconda fase artistica, però, era ormai distante dalla cifra corale dei suoi primi film e presto il grande pubblico ne avrebbe apprezzato la definitiva maturazione.

 

Curioso pensare che, in origine, il suo successivo lavoro avrebbe dovuto essere la rappresentazione di due famiglie in faida tra loro. L'idea di adattare il romanzo Oil! di Upton Sinclar gli venne a Londra quando, un po' demotivato per i suoi sforzi vani di scrittura, venne attratto da una copertina che raffigurava gli oleodotti californiani, che gli faceva pensare immediatamente a casa sua. 

I diritti cinematografici dell'opera appartenevano al giornalista Eric Schlossler che, dopo aver scritto Fast Food Nation, aveva acquisito i diritti sull'intera bibliografia di Sinclair, pensando che i suoi lavori fossero perfetti per una rappresentazione cinematografica.

 

Dopo un contatto tra i due Paul Thomas Anderson cominciò ad adattare l'opera, aiutandosi attraverso dei viaggi a Bakersfield nei vari musei dedicati ai primi petrolieri.

 

[Con alcuni tagli di Ubriaco d'amore, Paul Thomas Anderson realizzò anche Blossoms & Blood]

 

 
"Ricordo la mia scrivania in quel periodo, con così tanti libri e fogli di giornale.

 

Ho attinto da varie fonti, ma il libro è stata un'ottima pietra angolare: è così denso, per il modo in cui Sinclair descrive il periodo attraverso le proprie esperienze.

Detto ciò, abbiamo usato solo le prime 200 pagine del libro, perché poi la sua storia devia rispetto alle sue radici e noi siamo stati davvero infedeli rispetto al testo, che è stato comunque un ottimo collaboratore".

 

150 pagine di sceneggiatura dopo di Oil! era rimasta solo l'ispirazione, quindi Paul Thomas Anderson modificò il titolo in There Will Be Blood, che oltre a richiamare la piaga del sangue presente nel libro dell'Esodo, sembrava incarnare in maniera più profonda che mai la natura stessa del film che stava per nascere.

Da quel momento in poi ci vollero due anni per trovare i finanziamenti necessari per produrlo.

 

Nella stessa conferenza in cui aveva espresso apprezzamento per Adam Sandler, Paul Thomas Anderson aveva anche detto che gli sarebbe piaciuto lavorare con Daniel Day-Lewis, apprezzandone ogni lavoro: scrisse il protagonista del suo film pensando all'attore britannico e, complice il fatto che Day-Lewis avesse apprezzato Ubriaco d'amore, gli presentò una sceneggiatura ancora incompleta. 

 

Daniel Day-Lewis ne fu profondamente colpito e accettò immediatamente: sentiva che scrivendo Il petroliere l'autore era riuscito ad entrare nel mondo che aveva creato, non limitandosi a osservarlo, ma facendolo suo attraverso personaggi vividi. Il regista gli inviò inoltre dei filmati dell'epoca, oltre a una copia di uno dei suoi film preferiti, Il tesoro della Sierra Madre, corredato da documentari che lo aiutassero a comprendere lo spirito di John Huston, che fu di certo una grande ispirazione.

 

Guardando il suo futuro protagonista ne La storia di Jack & Rose, Paul Thomas Anderson fu inoltre colpito dal giovane Paul Dano, a cui propose inizialmente solo il ruolo di Paul Sunday, il giovane che propone al protagonista la possibilità di cercare il petrolio sul proprio terreno.

 

 

[Fede e capitalismo: due dei grandi temi posti da Paul Thomas Anderson al centro de Il petroliere]

 

 

Per il ruolo di Eli Sunday fu scelto Kel O'Neill, che però abbandonò la parte dopo due settimane di riprese a causa della mancanza di feeling con Anderson: i più malevoli tra i report affermarono che lasciò a causa del totale disagio provato dall'attore nel recitare accanto a un Day-Lewis fedele al Metodo.

 

Tutte le parti in causa, però, rigettano la versione. 

A Paul Dano fu allora proposto il doppio ruolo dei gemelli Sunday, che accettò malgrado disponesse di soli 4 giorni di preparazione, consacrandosi come uno degli attori emergenti più importanti di Hollywood. Per il ruolo di H.W. Plainview fu scelto un bambino texano, Dillon Freasier, per la maggiore familiarità con l'uso delle armi.

 

Anche per la colonna sonora ci fu una new entry tra i collaboratori di Paul Thomas Anderson: da sempre fan dei Radiohead, il regista californiano fu rapito dal lavoro fatto da Johnny Greenwood per il documentario Bodysong e lo contattò, riuscendo a convincerlo dopo qualche titubanza.

Dopo aver visto una copia del film, Greenwood fu in grado di produrre oltre due ore di colonna sonora in appena tre settimane di lavoro.

 

Le riprese si tennero tra Los Angeles e il Texas, a poche miglia di distanza dal set di Non è un paese per vecchi, film che straccerà la concorrenza nella successiva stagione dei premi: le due troupe erano così vicine che il fumo propagatosi durante una celebre scena de Il petroliere bloccò per qualche ora le riprese del film dei Fratelli Coen.

 

Prima che il film potesse vedere la luce, Robert Altman morì e l'opera gli venne dedicata. 

 

[Daniel Day-Lewis vinse il suo secondo Premio Oscar grazie a Il petroliere: Paul Thomas Anderson invece non ne ha ancora vinto uno, nonostante le sue 11 nomination]

 

 

Il petroliere si presenta al mondo come un film d'altri tempi, dal respiro epico e dall'impianto filosofico stratificato: un opus magnum in cui converge la natura stessa degli Stati Uniti, il più chiaro legame tra il lavoro di Paul Thomas Anderson e i grandi classici del Cinema hollywoodiano, che nella fatica del regista californiano trovano un più che degno epigono.

 

Al centro del film c'è Daniel Plainview, un ex minatore divenuto petroliere che all'alba degli anni '10 adotta il figlio di un suo collega morto sul lavoro e gira gli Stati Uniti alla ricerca di nuovi giacimenti. Grazie alla soffiata del contadino Paul Sunday viene a conoscenza di un terreno appetibile a Little Boston, in California, e decide di trasferirsi sul posto al fine di convincere la comunità a cedergli i propri lembi di terra, fingendo di essere un cacciatore di quaglie, ma trova l'opposizione del predicatore Eli Sunday, che scoprendo il suo piano inizia con lui una lunga faida. 

 

Attraverso la loro rivalità prende in qualche modo vita anche l'idea originaria di Paul Thomas Anderson, quella su due famiglie in guerra tra loro.

A scontrarsi, però, sono due poteri dal forte peso corruttivo: il capitalismo e l'oltranzismo religioso, lo sfruttamento economico e la promessa di un'eterna beatitudine.

Due potenze così forti da non poter convivere sullo stesso suolo, popolato da gente umile che viene mossa come pedine da uomini di grande carisma.

 

L'American Dream viene, ancora una volta, attaccato fin nelle proprie fondamenta: l'avido, manipolatore, violento, misantropo e arrivista Daniel Plainview è la più cruda immagine di un mito completamente artefatto. Si tratta di un padre per convenienza, un uomo senza valori, un assassino.

Ancora una volta la virilità maschile viene privata di ogni retorica: l'avidità assorbe ogni altra pulsione del protagonista, che si lascia scalfire solo dall'eventualità di aver ritrovato un fratello.

 

Curioso come la battuta più famosa del film, "Io bevo il tuo frullato!", sia stata apparentemente ottenuta parafrasando una dichiarazione rivolta al congresso dell'ex Segretario degli Interni Albert L. Fall, in cui usava la stessa metafora. 

Il paragone così infantile in un contesto tanto formale colpì particolarmente Paul Thomas Anderson, che la tramutò nella presa di coscienza definitiva del film, che non a caso arriva quando il sogno americano ha subito la sua prima imponente battuta d'arresto: nel pieno della crisi del 1929. 

 

Lo stile registico di Paul Thomas Anderson muta profondamente, privilegiando la pulizia della composizione rispetto al dinamismo della cinepresa, esaltando l'ambiente bruciato dal sole e dalle lotte umane e sposando l'eccellenza fotografica di Robert Elswit - premiato con l'Oscar - con la colonna sonora da antologia fornita da Johnny Greenwood. 

 

Al fine di conferire all'opera i suoi contorni così vividi, le riprese furono eseguite in ordine pressoché cronologico e fu usata tra le altre un'ottica Pathé 43mm modificata apposta da Dan Sasaki per la cinepresa Panavision Panaflex Millennium XL 35mm, in maniera tale da rendere l'immagine meno levigata e più naturale.

 

 

[Non solo grande Cinema hollywoodiano tra le ispirazioni di Paul Thomas Anderson: la scena de Il petroliere in cui la torre di trivellazione va a fuoco è identica a quella di Siberiade, capolavoro russo del 1979 di Andrej Končalovskij]

 

 

Nel dicembre 2007 il pubblico fa la conoscenza dell'opera e si trova dinanzi a un autentico capolavoro; non solo uno dei più bei film dell'anno o del decennio, non solo una delle opere statunitensi più importanti degli anni 2000: si tratta di una delle più importanti opere di sempre, degna di stare accanto ai capi d'opera da cui è stata ispirata.

 

Pur vincendo un solo Premio Oscar per un leggendario Daniel Day-Lewis, il film porta a casa ben due premi al Festival di Berlino: l'Orso d'argento per il contributo artistico di Johnny Greenwood e l'Orso d'argento alla Migliore Regia per Paul Thomas Anderson. Il film fu un successo anche di pubblico, visti gli oltre 76 milioni di dollari incassati a fronte di un budget di 25. 

 

Confortato dal successo ottenuto, Paul Thomas Anderson poté concentrarsi su un soggetto che ha avuto in mente per oltre un decennio: era ancora sul set di Magnolia quando ha iniziato ha mettere insieme idee su un film che potesse raccontare del leader di un culto e, proprio nello stesso periodo, cominciò ad appuntarsi alcuni dei racconti sulla Seconda Guerra Mondiale di Jason Robards

A corroborare l'ispirazione ci furono alcuni episodi delle vite di John Steinbeck e dell'ideatore di Scientology L. Ron Hubbard, oltre che il romanzo V., di Thomas Pynchon.

 

Da questo grande pastiche di ispirazioni nacque The Master, che anche grazie ai suggerimenti di Philip Seymour Hoffman trovò presto il focus non sul capo del culto, ma su uno dei suoi discepoli: a rallentarne l'uscita ci fu però Universal che decise di rinunciare al film, costringendo l'autore a diverse riscritture, finché non trovò distribuzione con The Weinstein Company

 

A oltre 15 anni dal loro primo contatto finalmente Joaquin Phoenix, al quale Paul Thomas Anderson aveva pensato lungo tutta la scrittura dell'opera, si disse disponibile a collaborare scalzando così la concorrenza di Jeremy Renner che sembrava essere certo del ruolo. 

Vista l'assenza di Robert Elswit, impegnato sul set di The Bourne Legacy, fu scelto come direttore della fotografia Mihai Mălaimare Jr. e l'opera fu girata in gran parte in 65mm: un formato che non si vedeva in un'opera di finzione dai tempi dell'Hamlet di Kenneth Branagh: la scelta si sposò perfettamente con l'evoluzione stilistica dell'autore che, in quest'opera, ci regala alcune delle inquadrature plastiche più belle della sua carriera. 

 

I presupposti per vedere un altro film indimenticabile c'erano tutti e vennero integralmente rispettati.

 

 

[In The Master Paul Thomas Anderson ripropone in interni una celebre inquadratura de Il petroliere]

 

La storia è ambientata nel secondo dopoguerra e narra dell'incontro tra il reduce della marina Freddie Quell e il leader del culto di The Cause Lancaster Dodd: è l'ennesima storia di paternità putativa di cui Paul Thomas Anderson si serve per vivisezionare la propria nazione, i falsi miti su cui è fondata, la fede, la mascolinità e, in qualche modo, anche l'idea di divismo su cui si regge l'intera società statunitense. 

 

Proprio sul concetto di notorietà è infatti fondato uno degli snodi principali dell'opera: la giovane Doris, ex fidanzata da cui Freddie Quell è ossessionato, altri non è che Doris Day, che scappa dall'anonimato proprio mentre viene perpetrato l'ennesimo spargimento di sangue.

Il disagio e l'alienazione dell'anti-eroe narrato nel film trovano, per la prima volta, un contraltare altrettanto potente nel potere persuasivo di Lancaster Dodd, con cui costruisce un rapporto frastagliato, pieno di cadute e ripartenze, fatto di continui e imprevedibili scambi di posizione.

 

Il malsano conglomerato di vessazione, benevolenza, accettazione reciproca e sottomissione sprigionato dai due protagonisti nel loro rapporto e in ogni relazione sviluppatasi sullo schermo è del tutto travolgente, enfatizzata dall'ormai abituale, splendido, lavoro di Johnny Greenwood. La carica suadente del film si propaga a ogni aspetto dello stesso, che è perfettamente compiuto in ogni suo specifico aspetto cinematografico: dalla piena consapevolezza tecnica di Paul Thomas Anderson e dei suoi collaboratori all'eccellenza recitativa di un cast in cui spiccano anche Amy Adams, Laura DernRami Malek e Jesse Plemons.

 

L'alchimia tra Joaquin Phoenix e Philip Seymour Hoffman elevò ulteriormente il film: l'autore immaginò il loro rapporto come una partita a tennis tra l'esplosivo John McEnroe e un avversario dal sangue freddo come Björn Borg o Ivan Lendl.

Entrambi fornirono due delle migliori prove della propria carriera e vennero premiati con la Coppa Volpi alla Mostra del Cinema di Venezia

 

Paul Thomas Anderson portò a casa il Leone d'argento per la Migliore Regia riuscendo in un'impresa tuttora mai raggiunta da nessun altro cineasta: è l'unico ad aver vinto i premi come Migliore Regista in ciascuno dei principali festival Europei.

 

Riuscendoci, peraltro, con tre film consecutivi.

 

 

[Anche dopo The Master Paul Thomas Anderson realizzò un cortometraggio sfruttando del montato non sfruttato: Back Beyond]

 

 

Essendo entrato in contatto con le opere di Thomas Pynchon mentre lavorava a The Master, Paul Thomas Anderson espresse la volontà di adattare Vizio di forma già nel 2010: in verità aveva posato gli occhi su Vineland, ma l'aveva trovato del tutto impossibile da rendere sullo schermo. 

 

Per facilitare il proprio lavoro di taglio rispetto alla grandezza del romanzo originario, il cineasta losangelino preferì adattare in sceneggiatura prima l'intero film e poi smussare il copione ottenuto, anziché dover effettuare direttamente l'operazione sul testo di Pynchon. Per la prima volta dopo molto tempo la produzione del suo nuovo film era partita praticamente prima ancora che The Master venisse distribuito.

Per il ruolo del protagonista sembrava tutto fatto: Robert Downey Jr. era il prescelto per diventare Larry "Doc" Sportello, ma il suo nome fu ben presto scalzato dal più giovane Joaquin Phoenix.

 

A cascata vi fu una serie di grandi ingressi nel cast: Josh Brolin, Katherine Waterston, Benicio del Toro, Owen Wilson, Reese Witherspoon (inizialmente scelta anche per il ruolo che fu poi di Amy Adams in The Master), Martin Short, Jena Malone, la compagna di PTA Maya Rudolph e Hong Chau. 

L'ambientazione losangelina e l'ampiezza del cast facevano pensare chiaramente a un ritorno alle origini per il regista che, invece, prese l'ennesima deviazione della sua carriera.

 

Vizio di forma è uno dei più interessanti esperimenti neo-noir del nuovo millennio: mescola l'archetipo del noir classico chandleriano, quasi impossibile da ricostruire a livello di indagine, con la psichedelia e una dose di ironia e sarcasmo che deformano completamente la struttura portante del genere.

 

Non a caso Paul Thomas Anderson ha lavorato su due filoni di ispirazione principali: i grandi noir come Il grande sonno, Un bacio e una pistola, Il lungo addio e i film comici dal tono parodico come quelli del duo Cheech & Chong o le opere del trio Zucker, Abrahams and Zucker

 

Vizio di forma è, infatti, l'unico adattamento di una su'opera di Pynchon e proprio per questo motivo lo scrittore decise di presenziare sul set, nell'indifferenza generale della crew e del cast, che faticavano a comprendere chi fosse quell'uomo che stava sempre sulle sue.

 

Per superare l'enorme difficoltà di adattare uno stile apparentemente inadatto al Cinema, Paul Thomas Anderson si è servito di una combinazione folle, che ne mostra tutta la cinefilia senza preconcetti.

 

 

[Ancora una volta l'istinto di Paul Thomas Anderson ha avuto ragione: non avrebbe potuto esistere un Larry "Doc" Sportello migliore di Joaquin Phoenix]

 

 

L'opera parla dell'assurda investigazione effettuta nella Los Angeles degli anni '70 dal detective hippie Larry "Doc" Sportello, che viene contattato dalla sua ex fidanzata Shasta Fay per impedire il rapimento del suo nuovo compagno, l'immobiliare Mickey Wolfmann per mano di sua moglie: da questa richiesta d'aiuto partirà un'odissea che coinvolge la polizia di Los Angeles, ex tossicodipendenti, un'operazione internazionale di contrabbando di droga e la nostalgia per una relazione ormai finita. 

 

L'interpretazione di Joaquin Phoenix, che dà vita a un investigatore del tutto in balia degli eventi, è al contempo esilarante e profonda: ancora una volta, attraverso il suo protagonista Paul Thomas Anderson mina profondamente le consapevolezze di un tipo umano, estremizzandone le debolezze. L'impressione di consapevolezza, spesso falsamente fornita dai noir rispetto ai propri protagonisti, in questo caso lascia immediatamente il posto alla fragilità di un uomo abbandonato dalla donna che ama e dipendente dalle droghe, continuamente vessato dalla polizia e costretto a interfacciarsi con una serie di freak, che mostrano comunque una maggiore consapevolezza di sé rispetto al protagonista. 

Il peregrinare di Doc è, ovviamente, sublimato dal perfetto uso di una colonna sonora d'epoca e dall'ennesimo grande lavoro di Johnny Greenwood, che fornisce al film anche Spooks, un suo pezzo inedito con i Radiohead suonato insieme ai Supergrass.

 

I ritmi distorti e stranianti sono quelli tipici del genere di riferimento, ma la messa in scena e il tono generale dell'opera sono permeati da elementi che sgretolano ogni cupezza.

Tra le scelte più acute di Paul Thomas Anderson c'è la trovata di usare un cast infarcito di attori in grado di collocarsi perfettamente nel mood di Vizio di forma grazie ai riferimenti metatestuali che destano negli spettatori: quasi tutti i membri del cast hanno all'attivo un ruolo che ci permette di incardinarli nella complessa architettura dell'opera.  

 

Proprio come suggerisce il titolo originale (Inherent Vice) il settimo film del regista californiano è pieno di vizi intrinseci, di imperfezioni che lo rendono però estremamente interessante: la pellicola forse, tuttora, più misteriosa e illeggibile di Paul Thomas Anderson.

 

 

[Il trailer di Junun: il primo documentario di Paul Thomas Anderson]

 

 

Il periodo particolarmente prolifico per Paul Thomas Anderson non si fermò: già nel 2013 aveva ripreso dopo oltre un decennio di stop la propria attività di regista di videoclip, dirigendone uno per Fiona Apple, sua ex compagna, e un paio per Joanna Newsom, alla quale troverà anche un piccolo ruolo in Vizio di forma.

 

Vista la sua vicinanza con il mondo della musica gli risultò naturale nel 2015 realizzare Junun, un mediometraggio documentario che esplora il mondo della musica tradizionale indiana, con un approccio decisamente rilassato, quasi inedito per la sua filmografia. Lo stesso segue Johnny Greenwood nel Rajasthan all'interno di un viaggio musicale, in cui il collaboratore di Paul Thomas Anderson potrà sperimentare la forza serafica di una musica che sembra possedere al suo interno il sacro fuoco della creazione artistica.

Si tratta di un piacevole intermezzo per un regista che, affascinato dalle figure di Cristóbal Balenciaga e Charles James, aveva già deciso di poggiare il proprio sguardo su un altro mondo in cui l'ossessione creativa si fa Alfa e Omega: la moda.

 

Nasce così Reynolds Woodcock, lo scostante e geniale sarto e stilista, creatore di abiti per tutte le famiglie più abbienti e nobili di Londra, che non poteva essere interpretato da nessun altro attore che non fosse il maniacale e sensibilissimo Daniel Day-Lewis.

 

 

[L'apertura de Il filo nascosto rivela subito la natura del rapporto tra i protagonisti pensata da Paul Thomas Anderson: abbandono assoluto]

 

 

Il filo nascosto racconta dell'incontro nella Londra degli anni '50 tra Woodcock e l'ex cameriera Alma Elson.

 

La vita del sarto, fino a quel momento regolata da sua sorella Cyril, viene ingarbugliata con un piglio quasi anarchico dalla sua nuova compagna che, complice l'incoscienza di chi ha sempre vissuto secondo regole sociali differenti, ne sconvolge l'esistenza. 

Si tratta di un intreccio tra Eros e Thanatos di ispirazione classica, in cui le pulsioni amorose dei protagonisti inseguono pericolosamente la rispettiva capacità di ferire il prossimo. 

 

Mai come in quest'opera, a dominare è la colonna sonora di Johnny Greenwood, che copre oltre 90 minuti di film ed è in grado di muoversi all'unisono coi sentimenti dei personaggi in scena.

L'intera opera è pervasa da una cupa eleganza: i perfetti costumi di Mike Bridges vengono premiati con uno strameritato Oscar e la fotografia, frutto del lavoro congiunto di Paul Thomas Anderson con la sua crew, è tuttora uno dei picchi artistici più ragguardevoli mai raggiunti dall'autore.

 

Uno dei principali collaboratori del regista, il primo assistente alla fotografia Michael Bauman (che poi con lo stesso regista firmerà in prima persona la fotografia di Licorice Pizza) ha proprio specificato come l'autore non volesse rendere l'estetica del film comparabile a quella della serie TV The Crown.

 

 

[Daniel Day-Lewis ha deciso di ritirarsi dopo aver recitato per Paul Thomas Anderson, un regista che con due sole collaborazioni l'ha spinto oltre ogni limite]

 

 

Lo spettatore può in effetti chiaramente percepirlo: tra le pieghe di un'apparente perfezione, si nasconde lo stesso tipo di torbido che caratterizza i rapporti di forza rappresentati nel film. 

 

Proprio grazie a Reyndolds Woodcock, Paul Thomas Anderson può finalmente chiudere la propria seconda fase artistica e dare compimento alla propria apologia dell'uomo moderno: il protagonista altri non è che un nuovo volto della spregiudicata maschera che ha dominato il Novecento. 

 

L'uomo di potere, costantemente piegato alle logiche del successo anche al costo di sacrificare tutto ciò che potrebbe dargli piacere. Producendo i propri abiti quasi vi ripone pezzi della propria anima, con la conseguenza di ottenere un costante allontanamento dal mondo.

Non è un caso che il suo rapporto con la sua amata raggiunga l'equilibrio proprio quando tra i due si instaura un gioco potenzialmente letale, che però ha l'impagabile merito di ricordare al protagonista le sue fragilità.

L'amore è al contempo forza salvifica e tensione mortale. 

 

Per i contraltari femmili del protagonista, Alma e Cyril, vengono scelte Vicky Krieps, che così raggiunge una meritoria notorietà internazionale, e l'esperta Lesley Manville.

 

Per prepararsi al ruolo Daniel Day-Lewis spese un anno ad apprendere i segreti dell'alta sartoria sotto la tutela di un grande professionista del settore, Marc Happel: la sua preparazione fu tale da permettergli di cucire da zero un abito Balenciaga

La sua prova fu talmente lirica e sentita da causarne il ritiro: l'attore disse che dopo aver lasciato la parte aveva provato una sensazione di vuoto tale da scegliere di abbandonare per sempre la recitazione. 

 

Non è un caso che una simile scelta sia arrivata proprio dopo quest'opera, per un attore che ha sempre amato l'idea di dare una fisicità alle sue creazioni, cimentandosi in numerose attività nei lunghi periodi lontano dai set.

 

La sua intepretazione, così come l'intera opera, è senz'altro tra i più alti apici raggiunti dal Cinema in quell'annata.

 

 

[Valentine: la genesi del rapporto lavorativo tra Paul Thomas Anderson e Alana Haim]

 

 

Prima ancora che Il filo nascosto arrivasse nelle sale Paul Thomas Anderson aveva anche realizzato il videoclip-documentario Valentine per Haim, band a cui è legato da un lungo legame professionale e di amicizia familiare. 

 

Proprio pensando ad Alana Haim il regista cominciò a dar forma a un soggetto che aveva in mente da circa 18 anni: Paul Thomas Anderson ha dichiarato che nel 2001 stava camminando nei pressi di una scuola media di Los Angeles durante il picture day, osservando come un ragazzino cercasse di interagire con la fotografa e ipotizzando come avrebbe potuto essere una relazione tra i due. 

Negli anni a seguire le idee per la sceneggiatura si moltiplicarono grazie ai racconti di Gary Goetzmann, produttore e amico di Paul Thomas Anderson che aveva avuto una carriera da attore bambino per poi aprire sia una compagnia di vendita di materassi sia una sala giochi, tutti dettagli poi confluiti nel protagonista maschile del film.

 

Tra gli aneddoti c'era un incontro tra un giovane Goetzmann e Jon Peters, ai tempi compagno di Barbra Streisand: quest'ultimo acconsentì a una propria rappresentazione e Paul Thomas Anderson ne realizzò una versione sopra le righe, ispirata alla stravaganza dei produttori hollywoodiani di quel periodo. 

Nel film viene interpretato da Bradley Cooper, produttore, regista e protagonista di A Star is Born, ultimo remake del film prodotto nel 1976 proprio da Jon Peters. 

 

Per la fine dell'estate 2019 la sceneggiatura era pronta: Paul Thomas Anderson propose la parte della protagonista ad Alana Haim e il film cominciò la propria fase di pre-produzione con il titolo di Soggy Bottom, prima di venire rinominato Licorice Pizza come una catena di negozi di dischi attiva in quel periodo, che secondo il regista dava forma alla perfetta sintesi di sensazioni che il titolo doveva generare.

 

"Se ci sono due parole che mi fanno venire nostalgia di quel periodo sono proprio Licorice e Pizza".

 

[Proprio mentre emergevano i primi rumor sul suo successivo film, Paul Thomas Anderson ci regalò Anima]

 

 

La scelta di Cooper Hoffman, figlio del compianto Philip Seymour, arrivò in seguito: Paul Thomas Anderson aveva bisogno di un attore debuttante, che potesse tenere il passo dello stile non ortodosso della protagonista. 

 

L'intera produzione fu attorniata da un alone di solare familiarità: l'intera famiglia Haim fu scelta per rappresentare il nucleo familiare della protagonista e tanti amici e familiari del regista recitarono in piccoli ruoli, alcuni grandi nomi di Hollywood come Sean Penn, John C. Reilly e Tom Waits acconsentirono a comparire in quelli che sono poco più che dei camei. 

Sin dalla sua genesi l'opera si incanalò verso quella dimensione di libera ode alla leggerezza con cui la conosciamo.

 

Il film condensa numerosi elementi del Cinema di Paul Thomas Anderson, ma li riempie di spensieratezza e gioventù: la nascita della storia d'amore, quasi impossibile e per certi versi controversa, tra la venticinquenne Alana e il quindicenne Gary è sfrenata e imperfetta, piena di cambi di direzione, di incontri fugaci, di ripensamenti e di colpi bassi. 

Ma questo la rende dannatamente irresistibile. 

Attingendo ai ricordi e ai luoghi della propria gioventù, oltre che a film come American Graffiti e Fuori di testa, Paul Thomas Anderson ricrea una Los Angeles del 1973 che sembra muoversi secondo regole del tutto diverse da quelle del mondo in cui viviamo.

 

Si tratta di una città in cui è possibile passare dall'essere degli attori a degli imprenditori in erba ben prima di raggiungere la maggiore età, di un luogo in cui la stramberia delle stelle del Cinema può farti vivere delle esperienze assurde, dove una crisi petrolifera mette la città in ginocchio ma non placa gli spiriti ribelli dei più giovani, in cui "avere un naso molto ebreo" diventa un complimento, se c'è Barbra Streisand all'apice del successo. 

La rivoluzione della Nuova Hollywood aveva da poco cancellato la favola della Golden Age e le tensioni politiche si accumulavano sotto una coltre di entusiasmo.

 

Un non-luogo sospeso sui concetti che Paul Thomas Anderson ha sempre raccontato: non a caso, a un certo punto, l'autore cita direttamente l'inquietudine socio-politica di Taxi Driver e Nashville. I suoi personaggi, però, sono troppo presi dall'amore per la vita per rendersene effettivamente conto: tutti sembrano ancora voler credere a un sogno che palesemente mostra tutte le sue contraddizioni. 

Paul Thomas Anderson torna al dinamismo della cinepresa dei suoi primi film, seguendo i protagonisti lungo le loro rincorse sulle note di alcune delle più belle canzoni dell'epoca, smontando ogni cliché sulle storie d'amore e sovvertendo ogni idea preconcetta che poteva essersi formata sul suo Cinema. 

 

Il film riesce ad essere al contempo un affresco sull'epoca, un ritratto corale di una città e un incredibile focus su una storia d'amore improbabile: la centralità della figura maschile nel film viene meno in nome di un perfetto dualismo di coppia, senza però che ne vengano nascoste la fragilità, l'imperzione e l'infantilismo. 

 

 

[Tutta l'assurdità della Los Angeles degli anni '70 filtrata dai ricordi e dalla penna di Paul Thomas Anderson]

 

 

Forse anche complice il periodo storico della sua uscita, Licorice Pizza ha dato voce alla voglia collettiva di rilassatezza, di ritorno a concetti e sensazioni semplici: un ritorno possibile, però, solo grazie al Cinema.

 

Una somma di fattori che ha fatto in modo che il film venisse universalmente accolto come uno dei migliori del 2022

Grazie al suo approccio vitale al Cinema, Licorice Pizza ci mostra tutta la propria potente connessione con la filmografia di Paul Thomas Anderson: dando vita forse a una nuova fase, l'autore californiano dimostra di poter essere fedele alla sua poetica, in costante evoluzione, sempre mettendo la Settima Arte in primo piano. 

 

Proprio attraverso la macchina dei sogni, Paul Thomas Anderson ha sempre distrutto ogni barlume di illusione e frantumato ogni stereotipo. Così facendo, però, è stato in grado di alimentare quella che è la natura stessa e più del Cinema: creare, a sua volta, nuovi miti. 

 

Un'operazione che solo un predestinato può portare a compimento con simile naturalezza. 

 

Become a Patron! 

 

Ti è piaciuto questo articolo? 

Sappi che hai appena visto il risultato di tanto impegno, profuso nel portarti contenuti verificati e approfonditi come meriti!  

Se anche tu sei stufo di un'informazione che premia chi prende in giro il lettore, vieni tra Gli Amici di CineFacts.it!

Chi lo ha scritto

TI POTREBBERO INTERESSARE ANCHE

Lascia un commento



1 commento


close

LIVELLO

NOME LIVELLO

livello
  • Ecco cosa puoi fare:
  • levelCommentare gli articoli
  • levelScegliere un'immagine per il tuo profilo
  • levelMettere "like" alle recensioni