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Il filo nascosto e Il petroliere formano un dittico: nella mia testa la nebbia si è dipanata lasciando nitido proprio il filo nascosto che collega le due opere. Daniel Day-Lewis è sacerdote di questo rito in due atti, il mezzo attraverso cui il soggetto si rivela nella forma più completa.
Qual è il soggetto se non l'uomo moderno?
I due film confluiscono l'uno nell'altro, muto scambio di fluidi e di fili, di intenzioni e percezioni. Di sofferenze, più o meno sentite, di cui ne fa spese il self made-man.
Dedizione e sacrificio, votarsi alle proprie ambizioni diventa costruirsi una prigione dorata nel dittico plasmato da Paul Thomas Anderson.
Reynolds Woodcock e Daniel Plainview si ergono su un trono non condiviso.
Il capitalismo è arte e l'arte è denaro, ancora una volta si palesa il filo nascosto tra i due film. Plainview guarda al petrolio con lo stupore che si riserva all'arte, come se l'oro nero fosse l'archè di ogni cosa, materia prima e soprattutto primordiale, non è solo un liquido, non è solo potenziale denaro, ma è il suo sangue e il sangue del capitalismo tutto e della nazione che ne è capostipite.
Nel 1992 Werner Herzog ci aveva proposto Apocalisse nel deserto dove, in una dimensione a più ampio respiro, Uomo e Natura vivono in un contrasto fatale, in cui a fare le spese alla corsa all’oro nero è il lato più povero del mondo; la pellicola di Paul Thomas Anderson invece si focalizza sul disagio e sui successi, in modo meno evidente ma altrettanto distruttivo, di chi sporcandosi le mani di petrolio può arricchirsi.
Woodcock si rivolge ai suoi abiti come prolungamenti delle sue braccia, ogni lembo di tessuto è una creatura pulsante ma silenziosa, sacro custode di segreti e debolezze non rilevabili.
La sartoria è arte, le terminologie modaiole vengono malviste e, soprattutto, malvissute, sono un involgarimento del proprio lavoro.
Confezionare abiti è nascondere emozioni altrimenti non comunicabili, ma non è soltanto questo.
L'arte è commercio, attenta comunicazione, i rapporti tra sarto e cliente assumono un'importanza quasi uguale, se non uguale, alla lavorazione della stoffa.
L'uomo moderno si trova succube del tempo: dare il massimo e farlo nei tempi più risicati è la ricetta del successo.
Trovarsi al posto giusto al momento giusto è il suo catalizzatore.
Sia Plainview che Woodcock sacrificano la felicità per ambizione: la felicità richiede tempo, per costruire rapporti umani sinceri bisogna votarsi alla lentezza, la profondità richiede ore preziose che all’uomo moderno non è permesso sprecare.
Ci vuole tempo per scavare la superficie, per capire gli altri e per capirsi, al di là delle relazioni di opportunità.
Ne Il Petroliere non esiste amore di coppia, ma ogni legame che Plainview tenta di instaurare è avvelenato dalla cupidigia e dal petrolio.
Woodcock trova la catarsi grazie all’appoggio di una donna che è musa, amante e poi moglie, ma il tempo che i due riescono a ritagliare è conseguenza di un avvelenamento, nel senso letterale del termine.
Alma, che vuol dire “anima” ma anche “nutrice”, è l’altra protagonista de Il filo nascosto, la figura femminile che manca a Il Petroliere, la compagna dell’uomo di successo destinata a ridimensionarne il complesso di Dio.
Come la ragazza della fonte di Guido Anselmi in 8 ½ di Federico Fellini è lei a ricordargli che lui “non sa voler bene”.
È vittima e carnefice in un mutevole e liquido gioco di ruolo, l’unica a sembrare corporea in mezzo alle maschere e ai fantasmi che abitano l’atelier, sfaccettata e prismatica, accogliente ma ombrosa nei suoi piccoli ma affascinanti misteri come l’Alma bergmaniana di Persona.
Alma rappresenta la via d’uscita di quelle donne-muse-madri destinate a perire ciclicamente sotto il peso imponente di un uomo-artista-dio, in quel claustrofobico e asfissiante processo mostratoci ad esempio da Darren Aronofsky nel suo recente madre!.
La rabbia di Plainview, di Woodcock o di chi come loro si erge in una posizione così sopraelevata rispetto agli altri, incontrollabile per un figlio e troppo imponente per chi si è appropinquato alla loro sfera d’influenza, è ridimensionata, rimpacchettata e forse persino ottimizzata da chi sa imporsi e da chi ama con pazienza, risolutezza, maturità e persino a volte con gli atti estremi necessari per venire accolti tra le mura (quasi) impenetrabili di chi ha sempre gli occhi puntati sempre in alto, verso vette sempre più irraggiungibili.
È l’amore tra persone adulte e difficoltose, che si incastrano e si respingono su più livelli, un amore che cresce su una superficie ruvida e incerta ma finisce per appiattirsi e consolidarsi lungo le pareti della fiducia e della parità.
Il Petroliere e Il filo nascosto sono due parabole sul self made-man che plasma la sua materia e costruisce il suo impero con l’ausilio del suo ingegno, su personalità a cui è difficile avvicinarsi e che si sottomettono solo a un dio imperturbabile e immutabile: il Tempo.
In questo senso è difficile per me non considerarle due pellicole a loro modo complementari, seppur seguano delle strade parallele, sui percorsi tracciati dalle colonne sonore di Jonny Greenwood e dalla regia algida e precisa di Paul Thomas Anderson.
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6 commenti
Lorenza Guerra
6 anni fa
Io il finale di The Master l'ho visto in modo leggermente diverso: non sono più allievo e maestro ma due persone alla pari, l'allievo si libera del suo maestro, si trovano ad essere due uomini alla pari faccia a faccia. Almeno io l'ho vista così, non saranno più amici ma la stima reciproca non se ne andrà.
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Yuri Palamini
6 anni fa
Poi va be, sceglierei Daniel Day-Lewis a prescindere!!
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Lorenza Guerra
6 anni fa
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Lorenza Guerra
6 anni fa
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Riccardo Cappelletti
6 anni fa
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Lorenza Guerra
6 anni fa
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