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The Studio - Recensione: l'inno alla gioia di fare Cinema (male)!

La commedia dissacrante dedicata al mondo di Hollywood si candida come una delle migliori serie TV del 2025

The Studio è l’ennesima opera a dimostrazione del valore di AppleTV+, piattaforma quasi invisibile nel panorama dell’offerta streaming che, in un atto quasi eroico, perde 1 miliardo di dollari l’anno producendo alcune degli show più belli sul piccolo schermo.  

 

The Studio è un'idea di Seth Rogen, Evan Goldberg, Peter Huyck, Alex Gregory e Frida Perez e racconta le vicende di Matt Remick (Seth Rogen), il nuovo capo dei Continental Studios, fittizia major hollywoodiana ormai in declino.

Matt è entrato nel mondo del Cinema spinto dall’amore per la Settima Arte, formandosi con le opere di artisti quali Martin Scorsese o Steven Spielberg.

 

Il suo sogno è quello di andare a braccetto con i creativi più talentuosi di Hollywood, realizzando opere immortali che possano salvare il Cinema e riportare l’esperienza in sala al centro dell’attenzione, ma per sua grande sfortuna Hollywood è una costosissima arca preda delle correnti di un diluvio senza fine.

 

[Il trailer di The Studio]

 

 

L’industria è capitanata da eccentrici e il proprietario dei Continental Studios, così come il resto della città, vuole fare soldi producendo tentpole basati su qualsiasi proprietà intellettuale capiti a tiro: il mondo dello spettacolo è quasi liceale nelle sue logiche sociali e sa essere vile, superficiale; l’unico modo per oliare l’ingranaggio è uccidere qualsiasi intento artistico e seguire la corrente. 

 

The Studio è una satira sul mondo di Hollywood la cui riuscita non poteva che essere affidata a due outsider come Seth Rogen e Evan Goldberg, autori della regia di tutti e nove gli episodi che compongono la serie.

I due sono entrati a Hollywood dalla porta sul retro travestiti da camerieri, come succede nei film.

La critica ha demolito e screditato per anni i loro stoner movie, nonostante opere come Suxbad - Tre menti sopra il pelo e Strafumati siano diventate di culto.

 

Rogen e Goldberg hanno prodotto film come 40 anni vergine, 50 e 50, Cattivi cicini e The Disaster Artist; in televisione hanno lasciato un segno con serie come Preacher e The Boys, senza contare Platonic per la stessa AppleTV+.

Rogen ha recitato per Steven Spielberg in The Fabelmans e per Danny Boyle in Steve Jobs

 

Credo fermamente che The Studio sia davvero ben riuscita perché non nasce da presupposti fallati: non è l’opera critica di due nepo baby cresciuti a Hollywood; non è il delirio di un comico inacidito verso il sistema che lo ha lasciato fuori dai giochi ed esercita una patetica vendetta e non è neppure una risata autoindulgente che perdona un po’ tutti e non colpevolizza nessuno.

The Studio è invece un racconto che non risparmia alcun colpo verso chi muove le fila di Hollywood, coinvolgendo direttamente i protagonisti dell’industria.

 

Nella serie, oltre a personaggi ricorrenti interpretati da Catherine O’Hara, Bryan Cranston e Kathryn Hahn, si prestano a interpretare se stessi attori, registi e produttori e per menzionarne alcuni troviamo Ice Cube, Ted Sarandos (CEO di Netflix), Martin Scorsese, Ron Howard, Olivia Wilde, Anthony Mackie, Paul Dano, Adam Scott, Zoe Kravitz e molti altri. 

 

The Studios non vuole fingere nulla e non vuole nemmeno essere troppo clemente con il sistema Hollywood, perché molti dei personaggi che si prestano a prendere parte alla satira di Rogen e Goldberg lo fanno spesso in ruoli cinici, antipatici, superficiali, ridicoli ma, come sa ogni buon comico, sono protetti un po’ dalla figura peggiore di tutte affidata proprio a Seth Rogen. 

Matt Remick, il protagonista a capo dei Continental Studios, è patetico.

 

Inizialmente ci viene presentato come un personaggio innamorato davvero del Cinema e voglioso di prendere le redini di Hollywood per invertire la rotta.

Tuttavia, una volta fagocitato dai meccanismi dell’industria, vengono a galla tutti i costi da pagare per essere il re il che spesso significa essere nudo, invisibile quando Hollywood vince e parafulmine delle peggiori conseguenze.

 

Matt ama gli artisti, ma le sue intrusioni lo rendono antipatico; un po’ come il Michael Scott di The Office vorrebbe essere amato, celebrato e rispettato ma ogni suo maldestro tentativo lo rende irritante, petulante e un po’ patetico. 

 

 

[Seth Rogen in The Studio]

 

 

Episodio dopo episodio Matt Remick cerca di avere a che fare con i peggiori ingranaggi della macchina dei sogni che un tempo era Hollywood, facendosi schiacciare e masticare dalle dinamiche più assurde e superficiali del sistema, per poi venir risputato ogni volta che cerca gloria, fama e ammirazione.  

 

Se volete cercare una sorta di associazione con altre serie TV basate su concept simili The Studio per me non è del tutto accostabile a Boris.

Forse è un po’ più simile a BoJack Horseman, per come racconta le dinamiche dell’industria del Cinema, ma senza lo scoglio dell’antipatia suscitata dal suo protagonista: Hollywood qui è al centro e Matt Remick è il nostro eroe che, ogni singola volta, viene quasi fantozzianamente ridicolizzato.  

 

The Studio espone i nervi scoperti della Hollywood di oggi e, stando alle dichiarazioni dello stesso Seth Rogen, la prima stesura era molto più pessimista.

Hollywood è un organismo mutevole il cui bioritmo si può ridefinire nel giro di pochi giorni, difatti sembra sia stato proprio il fenomeno Barbenheimer a costringere i creatori a riscrivere parte dello show, perché Hollywood tutta è cambiata da quel momento in avanti. 

Questo slittamento ha portato gli eccentrici capi dell’industria del Cinema a investire in IP assurde convinti di emulare il successo di Barbie con una nuova corsa all’oro, spinti da malriposte convinzioni riguardo il potere delle proprietà intellettuali e dei marchi.

 

Al tempo stesso altri sono diventati più coraggiosi e per un periodo le produzioni più autoriali, ardite e dal minutaggio importante come Oppenheimer si sono presentate al pubblico. 

 

 

[Catherine O'Hara e Steve Rogen in The Studio]

 

 

Al tempo stesso di episodio in episodio si avvicendano dinamiche surreali che possiamo riconoscere facilmente, anche se la serie non ha paura di menzionare direttamente i bersagli della sua satira.

 

Un regista come Martin Scorsese è in costante lotta con gli studios e vive tra celebrazioni e tradimenti; registi, attori e produttori di varia natura sono eccentrici, viziati, vanesi e disconnessi dalla realtà del pubblico a cui si rivolgono; le idee vengono riciclate continuamente e senza vergogna alla ricerca di incassi facili; le produzioni si perdono in assurde riflessioni su quello che la gente può recepire come offensivo e non; lavorare con gli autori affermati significa subire la sudditanza del loro ruolo, cercando un modo per intercettare e disinnescare sparate artistiche indigeste; le stagioni dei premi sono un circo di egomaniaci, falsi modesti e una vetrina dove la Settima Arte è quasi ai margini e più in generale Hollywood è l’ombra di quello che il Cinema dovrebbe essere o rappresentare. 

 

The Studio frulla il povero Matt in questo ambiente nevrotico grazie a una scrittura pulita, mai troppo sopra le righe o inutilmente petulante nel suo fare satira.

La televisione è diventata più raffinata del Cinema, The Studio lo ricorda e lo subisce dentro e fuori la finzione e, difatti, contrariamente a certe commedie che vediamo in sala, ogni episodio ha qualcosa che diventa un tormentone o una battuta da ricordare.

Le produzioni di Matt raccontate negli episodi hanno trailer, poster, protagonisti importanti, temi oggetto di satira ma, soprattutto, sono qualcosa che lo spettatore mitizza. 

 

Tutto questo senza perdere di vista la forma al servizio della sostanza, perché se Seth Rogen e Evan Goldberg non hanno mai esercitato incredibili regie nelle loro produzioni, con AppleTV+ e con l’esperienza maturata su altri set hanno la possibilità di mettere in scena una serie che a mio avviso formalmente è magnifica.

 

Gli episodi intervallano lunghi piani sequenza magistralmente giostrati e l’intento è simile a quello di Birdman di Alejandro González Iñárritu, ovvero trasmettere allo spettatore la frenesia delle scene, soprattutto quando gli episodi si snodano lungo uno specifico lasso di tempo. 

 

 

[Il cast principale di The Studio]

 

L'episodio 2, Il piano sequenza, racconta l’avventura di Matt sul set di un film da lui prodotto e sul quale devono girare un'ultima scena… in piano sequenza: ovviamente la presenza di Matt sarà abbastanza distruttiva e nulla di quello che è presente in sceneggiatura o in ripresa è superfluo, ma lavora per veicolare gli elementi di commedia e fare satira della figura del produttore. 

 

Devo dire che The Studio mi ha davvero stupito.

Non mi aspettavo che Rogen e Goldberg sarebbero riusciti nell’impresa di produrre e girare una commedia così ben gestita in produzione, misurata nella scrittura e ben studiata nei concept dei singoli episodi.

The Studio è sostanzialmente una sitcom 2.0 e portando avanti una sorta di narrazione episodica riesce a farsi voler bene nel suo coinvolgere Hollywood in un roasting mai velenoso, ma sempre molto puntuale e che negli ultimi due episodi esplode. 

 

Lo show guidato da Rogen non vuole essere unicamente una satira del sistema Hollywood, ma anche una lettera d’amore verso l’esperienza cinematografica e il Cinema stesso, quello che gli statunitensi chiamano “movies”. 

The Studio con i Continental Studios e il personaggio di Matt Remick racconta la disperata situazione delle major: Warner Bros., Paramount, MGM e via discorrendo erano titani dell’industria che oggi, tristemente, si sono ingabbiati in situazioni apparentemente senza uscita e dalle quali cercano di divincolarsi goffamente, perché se prima guidavano il tempo ora lo subiscono.

 

The Studio fa comicità del tragicomico tentativo di rimettersi in piedi e navigare una nuova Hollywood asserragliata dai nuovi titani, quelli della Silicon Valley, e da un presente che vede un pubblico sempre più disilluso verso l’esperienza cinematografica; un po’ per colpa anche di situazioni create dalle stesse ed è per questo che il povero Matt è comicamente fautore delle sue sventure e risulta per noi così divertente assistere ai suoi tentativi di cavarsene fuori. 

 

 

[Seth Rogen e Ted Sarandos in The Studio: "Perché alle premiazioni ti ringraziano tutti?" "Sono obbligati a farlo perché lo faccio mettere sul contratto"]

 

 

Se Tom Cruise incalza il pubblico con “see you at the movies” appeso a un aereo, Seth Rogen con The Studio rende omaggio alla caduta di Hollywood raccontando in commedia le sue colpe, i suoi difetti, il suo romanticismo, un po’ come fanno i Fratelli Coen in Ave, Cesare! e, un po’ à la Ed Wood (di Tim Burton), ricamando sui suoi fallimenti con disillusa esaltazione. 

 

A margine: da apprezzare come anche i registi meno in vista, i più giovani e meno conosciuti dal grande pubblico, siano presenti in The Studio, evitando la spiacevole abitudine di invitare alla festa solo ed esclusivamente re e regine del ballo.

Il Cinema è TUTTO, alto e basso, pop e autoriale, di genere e non, di nicchia o per le masse. 

 

Per quanto mi riguarda The Studio si prende il podio delle serie comedy dedicate a Hollywood o all’industria dell’intrattenimento.

Riesce a scavalcare Boris, Extras e Episodes.

Forse l’unico ostacolo per il pubblico generalista è dato da alcune dinamiche che, per chi non segue Hollywood, saranno un po’ aliene - seppur comprensibili nell’economia della costruzione della commedia e del contesto - tuttavia la riuscita di The Studio è data anche dal suo voler evitare di prendere il concept come pretesto per realizzare l’ennesima serie TV comica rassicurante e armata degli stessi temi visti e rivisti all’infinito, abbandonando il contesto per raccontare la sfera personale dei protagonisti. 

The Studio è per me, ad oggi, uno degli show televisivi più belli disponibili sulle piattaforme e un motivo in più per provare AppleTV+, qualora non l'aveste ancora fatto.

 

Senza contare che tornerà con una seconda stagione già confermata!

___

 

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