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Yi Yi - e uno... e due...: l'orchestra dei sentimenti e la ricerca della verità

Il regista taiwanese Edward Yang dirige un'epopea familiare sul cerchio della vita

Nonostante Yi Yi – E uno… e due... (2000) di Edward Yang abbia vinto il premio per la miglior regia al 53º Festival del Cinema di Cannes e figuri sempre tra i primi posti nelle classifiche della critica - all’ottavo posto nella lista dei 100 migliori film del 21° secolo redatta dalla BBC, ventiseiesimo per la medesima classifica del Guardian, tra i trenta film chiave del primo decennio del nuovo millennio per Sight&Sound – non gode di grande popolarità negli ambienti cinefili.

 

Probabilmente perché non rientra nel cosiddetto Cinema degli Eccessi, che sia questo un eccesso di violenza, quello del cosiddetto cinema disturbante tanto parodiato quanto amato, un eccesso di contemplazione o un eccesso di manierismo.

 

 

 

Edward Yang dichiarò che gli sarebbe piaciuto che il pubblico alla fine del film, sentisse di aver trascorso il proprio tempo con un amico piuttosto che essere percepito come un autore.

 

Ed è tutto qui il punto: la pellicola di Edward Yang è in stato di grazia, delicata e impalpabile, in cui la bellezza è tutta racchiusa in uno scrigno di piccoli gesti, custodita dalle abili mani del regista che non si vedono ma ci sono.

 

La trama gira intorno all’ingegnere Nj Jian (Nien-Jen Wu) e alla sua famiglia: è tutto un pot-pourri di genitori, figli, cognati, amanti.

Ogni membro si trova a dover raccontare le proprie giornate alla nonna in coma per favorirne un ipotetico risveglio; in realtà la donna in coma è un mezzo per i protagonisti per dar voce alle paturnie mai tradotte in parole.

 

 



I personaggi si muovono in un contesto urbano ripetitivo, industrializzato, alienante, mai bello e nemmeno brutto, sostanzialmente banale.

 

Il boom economico vissuto a Taipei negli anni ’80 ha portato Edward Yang a rivisitare in salsa asiatica il rapporto tra soggetto e paesaggio tipico del cinema di Michelangelo Antonioni, autore nostrano a cui il regista taiwanese si è fortemente ispirato.

 

Non a caso anche Edward Yang pone la lente d’ingrandimento sulla borghesia.

 

Nonostante l’opera sia influenzata dalla sua ambientazione il messaggio suggeritoci è di natura universale, fuori dal tempo e dallo spazio. 

 

Taipei, punto focale su cui convergono influenze americane, giapponesi e cinesi, può essere anche una qualsiasi metropoli dove si incrociano più culture, dove alla produzione di massa segue la necessità di una rivisitazione dell’identità individuale.

La metropoli è la grande gabbia in cui si muovono le persone alla costante ricerca di se stesse. 

 

 



Yi Yi vuol dire “uno, uno” ed equivale al nostro "e uno, e due", espressione usata dai musicisti per dare il tempo di un brano oltre a riferirsi al cerchio infinito della vita in senso taoistico.

 

Se l’esistenza è un brano orchestrale ogni personaggio nel micro-cosmo creato da Edward Yang funge da strumento; l’unicità dell’individuo è componente indispensabile nell’armonia dell’universo.

 

La colonna sonora un ruolo importantissimo nella pellicola, ci sono brani jazz ma perlopiù si tratta di musica classica suonati da Kaili Peng, moglie del regista, rendendo i pochi momenti di assoluto silenzio ancor più estranianti. 

 

Il ritmo stesso della vita è scandito da eventi che si reiterano, di genitore in figlio; matrimonio, nascita, funerali, primi amori che si ripetono quasi uguali, ma in realtà sempre diversi, infinite variazioni sul tema per infinite persone e infiniti giorni.

 

"È strano... Perché abbiamo paura delle prime volte? Ogni giorno è una prima volta.

Ogni mattina è una novità.

Non ho mai visto ripetersi lo stesso giorno. Noi non abbiamo paura di alzarci la mattina.

Perché?"

 

Questa illuminazione proviene da Ota (Isseai Ogata), il visionario programmatore giapponese con cui Nj Jian si troverà a fare affari e che sarà l'amico che lo spingerà a svegliarsi dal suo torpore.

 

 

 

 

L’azienda in cui lavora Nj Jian è sull’orlo del fallimento, al presidente piace solo circondarsi da donne, a nessuno interessa più evolversi.

 

Ota ha una visione futuristica dei videogiochi: nel momento in cui vediamo la cognata di Nj incinta fare un’ecografia sentiamo la voce dell’assistente del programmatore nipponico raccontare delle potenzialità dei videogiochi, di creature robotiche evolute fino a diventare esseri viventi.

 

Una poetica sovrapposizione di eventi che sottolinea il legame tra umano e macchina e le possibilità che queste due realtà confluiscano l’una nell’altra, come due rivoli nello stesso fiume.

 

L’azienda però preferisce rivolgersi alla Ato, compagnia cinese nata perlopiù per imitare quella di Ota e che si occupa di videogiochi più commerciali e meno costosi, per assicurarsi introiti.

Questa scelta da parte dei suoi colleghi spingerà Nj a lasciare il lavoro.

 

Edward Yang stesso prima di dedicarsi al cinema era un ingegnere elettronico, nato a Taiwan ma vissuto a Seattle per la quasi totalità della sua vita, abbastanza da aver sentito la necessità di inserire nel quadro familiare di Yi Yi - e uno... e due... dei personaggi che rappresentassero le sue velleità e le sue delusioni verso l’ingegneria.

 

Scopriamo inoltre che Nj ha scelto la facoltà di ingegneria per accontentare la sua ex fidanzata Sherry (Kelly Ko), la donna che più ha amato ma da cui è stato anche più oppresso, privato dei suoi desideri e esortato ad abbandonare la passione per la musica, in quanto una passione non remunerativa. 

 

 



I due si rincontrano dopo trent’anni, il sentimento sembra non essere scomparso nonostante i rispettivi matrimoni, ma quando scappano per fuga d’amore in Giappone Nj si rende nuovamente conto che non si può riciclare un amore finito, che le situazioni si assomigliano, ma non restano mai uguali.

 

Nj e la sua ex fidanzata seguono un processo catartico, si confessano reciprocamente le incomprensioni passate, ripercorrono anche i momenti felici della loro relazione.

 

Momenti che assomigliano terribilmente a quelli vissuti da Lin-Lin (Adriene Lin), la figlia di Nj, che sta vivendo il suo primo amore.

 

La ragazza, che vive nell’ombra di un’amica brillante violoncellista e disinibita con gli uomini, riesce a suscitare l’interesse proprio in un ex ragazzo della compagna. 

 

Ancora una volta gli eventi sullo schermo si sovrappongono e, mentre ascoltiamo la conversazione intrisa di ricordi adolescenziali tra Nj e Sherry, vediamo Lin-Lin tenere per mano il suo primo ragazzo e imparare ad accettare il lato più dolce e quello più amaro della vita.

 

 



Yang sfrutta la divergenza di visioni nella giovane coppia per esprimere la sua idea di Cinema. 

 

"La vita è un misto di felicitá e amarezza. I film sono così realistici! Per questo li adoro."

"Ma a cosa servono i film? Vivi la vita stando a casa!"

"Mio zio dice: col cinema la vita di un uomo si è triplicata"

"Cioé... Che significa?"

"... Che i film rendono il doppio di ciò che potremmo vivere. Ad esempio non uccidiamo nessuno ma sappiamo cosa significa assassinare. È questo il bello dei film"

"Cos'è buono per me? Se la vita fa schifo perché viverla? Se ci mostreremo gentili, riceveremo altrettanto. Chi ha bisogno di uccidere?"

"È solo un esempio. Ci sono altre cose. Lo zio disse anche: non ci sono né nuvole, né alberi... Privi di bellezza. E così siamo noi. È una frase che mi ha colpito. Ha cambiato il mio modo di vedere le cose"

"Così sembra tragica. Non dovrebe essere più allegra?"  

 

Come Lin-Lin subirà l’improvviso abbandono del findanzato così Sherry verrà abbandonata di nuovo da Nj.

La donna pagherà il prezzo della scelta di rincorrere il lusso e il denaro, tornando al suo matrimonio disperato senza via di fuga nell’amore.

 

Non si tratta però dell’unico matrimonio basato su delle bugie: lo stesso matrimonio di Nj con Min-Min (Elaine Jin) spingerà la donna a una fuga, breve ma significativa, nelle braccia rincuoranti della religione, alla ricerca del senso della vita, per colmare quel vuoto esistenziale che la ripetitiva vita familiare e l’insoddisfacente vita coniugale le hanno lasciato.

 

Anche il matrimonio di Ah-Di (Hsi-Sheng Chen), fratello di Min-Min, è frutto di incoscienza e imposto dalle convenzioni sociali: sua moglie è incinta e il matrimonio è forzato.

L’uomo, costantemente nei guai con creditori e usurai, cerca continuamente l’intimità e l’appoggio di una sua compagna di scuola nonché fidanzata storica.

 

 

 


Così come due cariche elettriche di cariche opposte si attraggono fino a ricongiungersi di colpo in un tuono, anche l’uomo e la donna si attraggono a vicenda sempre più. 

 

Così come un fulmine, 400 milioni di anni fa, ha generato il primo amminoacido dando origine alla vita sulla terra, anche l’uomo e la donna, nella rumorosa e conflittuale tempesta di sentimenti, generano l’umanità e la perpetuano.

 

In una delle scene più poetiche del film Yang Yang (Johnatan Chang), il figlio minore di Nj, acquista questa consapevolezza.

 

 

 

 

Nel continuo gioco-forza con le ragazzine della stessa età il bambino inizia a provare attrazione verso una di loro.

 

Durante la proiezione di un documentario sui tuoni a scuola scorge la figura di lei stagliarsi di profilo davanti allo schermo. 

È lei il polo di segno opposto di cui parla il documentario.

 

Yi Yi - e uno… e due... più che un film sulle declinazioni dell’amore è un’opera sulla parzialità della verità.

Ognuno ha le proprie possibilità, le proprie ragioni, agisce seguendo una strada perché le altre gli sono precluse alla vista.

 

Ce lo spiega ancora una volta Yang Yang, che pare una naturale evoluzione dei piccoli protagonisti di Buon Giorno di Yasujiro Ozu sulla base della poetica di François Truffaut per cui

“I bambini recano con sé automaticamente un senso di poesia”.

 

 



La vitalità del pensiero critico di Yang Yang ha radici nella sua purezza, la sua visione delle cose non è corrotta da altri interessi.

 

"Papá tu non vedi ciò che vedo io e viceversa. Come posso sapere ciò che vedi?"

"Bella domanda, non ci ho mai pensato. Per questo ci serve una macchina fotografica. Non vuoi imparare a usarla?"

"Papá noi conosciamo solo metá della veritá?"

"Cosa? Non ti seguo?"

"Posso solo vedere ciò che ho davanti, non dietro. Quindi conosco soltando metá della veritá, no?"

 

 

 


Yang Yang decide quindi di fotografare le nuche delle persone in modo da mostrare cosa c’è dietro, dove gli occhi non possono guardare.

 

I suoi soggetti vengono derisi ma il bambino continua imperterrito nella sua azione della diffusione della verità nella sua interezza. 

Al funerale della nonna ribadisce che vuole fare della sua ricerca un mestiere.

 

"Nonna, mi dispiace. Avevo intenzione di parlarti.

Credo che tu sappia giá ciò che ho da dirti, altrimenti non mi diresti di ascoltare sempre.

Tutti dicono che sei andata via, ma tu non mi hai detto dove. Forse credi che sia un luogo che io possa conoscere ma io non so molte cose, nonna.

 

Sai cosa voglio fare da grande?

Voglio dire agli altri ciò che non sanno, mostrare delle cose che non conoscono. Sará divertente.

Magari un giorno scoprirò dove sei.

Se ce la facessi dici che potrei dirlo a tutti e farli venire da te?

Nonna... Mi manchi, soprattutto quando guardo il mio nuovo cuginetto che non ha ancora un nome. Mi ricorda quando dicevi di sentirti vecchia.

Ora vorrei dirgli che anche io mi sento vecchio"

 

È questa frase a sancire il finale di Yi Yi - e uno… e due e a sottolineare la ciclicità della vita, concetto chiave di tutto il film.

 

Tutti siamo piccoli, cresciamo e diventiamo vecchi rispetto a qualcun altro.

Collezioniamo verità parziali e ci spostiamo alla ricerca di un senso per cui valga la pena esistere.   

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