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M3GAN 2.0 è un film di Gerard Johnstone con Allison Williams e Violet McGraw, sequel del fortunato horror sci-fi prodotto da Blumhouse e Atomic Monsters.
Com’è che si dice?
“Morto un papa se ne fa un altro”, giusto?
Ma che succede se a lasciarci le penne - seppur per il beve e illusorio spazio di di un "The End" - è la Terminator in gonnella più tosta, sfacciata e pericolosa della recentissima Settima Arte?
[Il trailer di M3GAN 2.0]
Basterebbe chiederlo a quel gran simpaticone di Gerard Johnstone, che con l’ultimo sibillino frame del già cultissimo M3GAN aveva messo bene in chiaro quanto la sua robotica creaturina fosse un osso (di titanio) parecchio duro. O, se preferite, una bella (cyber)gatta da pelare.
Un saggio, non rammento chi, disse a suo tempo che "squadra che vince non si cambia".
Piuttosto, viste le circostanze, sarebbe forse meglio raddoppiarla o, perché no, pure triplicarla. Più che di una M3GAN 2.0 sarebbe infatti d'uopo parlare di un sequel al cubo, perché stavolta la fantomatica minaccia verrà opportunamente ripartita fra una vecchia ma sempre agguerrita conoscenza, un'ancora più letale new entry e, udite udite, nientepopodimeno che il temibile circuito stampato di una fotocopiatrice anni '80!
Ma state tranquilli amici cari, perché su quest'ultimo bislacco punto avrò certamente modo di ritornare più avanti.
[Allison Williams alle prese con il nuovo provvisorio outfit di M3GAN 2.0]
Per ora basti dire che, com'era logico aspettarsi, M3GAN 2.0 riapre le danze da dove tutto si era solo apparentemente concluso.
Il film parte infatti dalla vittoria per il rotto delle cuffiette bluetooth della piccola Cady (Violet McGraw) e della di lei tecnodipendente zietta Gemma (Allison Williams) nei confronti della letale furia distruttiva scatenata dalla gelosissima androide (con le snodatissime movenze di Amie Donald) che da il titolo a quest'ormai ben avviato oltre che ufficialmente battezzato franchise.
Tolto di mezzo il tecnologico oggetto del misfatto - non senza un inevitabile polverone mediatico e parecchi cadaveri sul groppone - le nostre due fortificate eroine si ritrovano ora a dover fare i conti con la propria quotidiana vitaccia; la prima dilettandosi con le più toste e miste fra le arti della self defense e la seconda tentando di coniugare il difficile ruolo di genitrice surrogata con l'altrettanto ardua targhetta di Chief Operator della propria boccheggiante start up di ingegneria robotica, gestita assieme ai colleghi di smanettevoli merende Cole (Brian Jordan Alvarez) e Tess (Jean Van Epps).
Mentre tuttavia la nostra Stephanie Jobs dei quartieri bassi, ancora fresca del trauma vissiuto appena due anneti addietro, sembra ormai convintamente avviata verso un accanito endorsement all'imminente regolamentazione in materia d'intelligenza artificale su spinta del di lei nuovo filantropico compagno (Aristotle Athari), ecco che il primo vero inghippo alla base di M3GAN 2.0 giungerà a sfondarle letteralmente la porta con pistole e distintivo ben spianati.
[Chi non muore si rivede e si riveste di tutto punto in M3GAN 2.0]
Sarà infatti uno stereotipatissimo agente dell'FBI con il baffuto grugno di Tim Sharp a renderle noto come il potentissimo nonché segretissimo prototipo militare di un rivoluzionario androide da combattimento conosciuto con il nome in codice di Amelia (incarnata dal conturbante sex appeal da autome fatale di Ivanna Sakhno) pare essere sfuggito al serrato controllo governativo durante una disastrosa missione di beta testing in terra straniera; acquisendo sufficiente pericolosa autocoscienza da eliminare uno dopo l'altro i propri occulti creatori e tentare, come fu per il topesco Prof. in compagnia del tonto Mignolo, di conquistare il mondo.
Intuendo dunque che di mezzo ci potrebbe forse essere lo zampino di una losca fuga di progetti relativi alla propria fu disgraziata creatura - forse per sudaticcia mano di un laido magnate dei microchip (Jamaine Clement) di sua vecchia conoscenza - la nostra impavida Gemma, assisitita dalla skillata nipotina e dai fidati compagni di algoritmo, si ritroverà suo mlagrado costretta a dar seguito alla vecchia massima secondo la quale "il nemico del mio nemico è mio amico".
Stringendo un nuovo improbabile patto di reciproco soccorso proprio con colei che si pensava ormai estinta e che invece, manco a dirlo, in un film intitolato M3GAN 2.0 parrebbe proprio essere viva e digitalmente vegeta.
[Ivanna Sakhno fa letteralmente girare la testa agli uomini in M3GAN 2.0]
Rimasta per l'appunto a vegetare, seppur sempre all'erta, nei meandri della Matrix in attesa di un opportuno riscatto, la nostra Artifice Girl si offirà, in cambio di un corpicino nuovo di zecca, di mettere a disposizione le proprie quantistiche capacità nella ricerca e, si spera, efficace eliminazione della nuova temibile Black Widow che tanto terrore e distruzione pare seminare in ogni disgraziato cantone di questo oggetto filmico non meglio identificato; trasformandosi per l'occasione in una novella Alita dal facile Ju Jitsu e dallo sfottò sempre pronto, destinata a imbarcarsi in una più che mai rocabolesca quanto letterale Mission: Impossible.
Ma dunque, alla fin della fiera, cosa c'entra il microprocessore senziente di un'attempata fotocopiatrice potenzialmente assassina con la debordante trama di M3GAN 2.0?
Molto più di quel che dovrebbe e molto meno di quanto vi aspettereste.
Sono tuttavia essenzialmente due le ovvietà che balzano immediatamente agli occhi una volta trascorse le quasi due ore di questo M3GAN 2.0.
Innanzitutto la spessa e intricata maglia di citazioni, omaggi e furbeschi ammiccamenti che uno scaltro nonché indubbiamente cinefilo nerd come Gerard Johnstone utilizza quale traballante impalcatura di un'opera che, diciamoci la verità, facendo propria la medesima filosofia manierista di Ready Player One vive quasi esclusivamente sulle spalle dei giganti più o meno nobili che l'hanno preceduta.
[Alita - L'angelo della battaglia o M3GAN 2.0? A voi l'ardua sentenza]
Partendo dall'ingombrante e già più volte evocata robotica ombra di un intramontabile nemicoamico come il T-800 di cameroniana memoria, la narrazione si fa strada a spallate tra le retrofuturistiche vibes in salsa anni '80 del seminale Tron e il tecnofeticismo di fine scorso millennio che da un gioiellino come Ghost in the Shell ci traghetta, fra uno scossone e l'altro, attraverso l'inevitabile estetica cyberpunk de Il tagliaerbe di Brett Leonard.
Senza tuttavia lesinare pure un'incursione nel sempreverde disinteresse per le tre asimoviane Sacre Leggi della Robotica, ben tematizzato a suo tempo da un blockbusterinI quali Coluss: The Forbidden Project, Generazione Proteus e ben più che mediocre Universal Soldier: The Return.
Si vorrebbe addirittura scomodare lo sfregiato Chucky e la sua irrivente sposa, tirando in ballo persino le co-dipendenti querelle tra mecha e orga già viste riviste e straviste nel ben più centrato Upgrade di Leigh Whannell così come nel recente Atlas di Brad Payton.
Nel caso ve lo steste chiedendo stavolta non ci facciamo ovviamente mancare all'appello neppure quella Morte in diretta che l'auto-sguardo dello Strange Days di Kathryn Bigelow e il dimenticato Anon di Adrew Niccol ci avevano rispettivamente apparecchiato su di un grande e piccolo schermo d'argento.
Sarebbe quantomeno cosa bella, buona e giusta spendere qualche sillaba e spezzare qualche lancia in favore dell'indubbianente solida regia del caro Gerard e della fotografia assai tosta di Toby Oliver.
Anche se, costa davvero caro doverlo ammetere, l'incipiente involuzione della computer grafica irreversibilmente avviatasi nel corso dell'ultimo decennio pare ormai destinata a non arrestarsi nemmeno in questa tutto sommato disimpegnata sede; nella quale tuttavia il rischio di sconfinare negli infingardi terreni del cinecomic pare sempre in agguato dietro ogni filmico cantone.
D'altronde il passo da M3GAN 2.0 a M3GAN: Age of Ultron è più breve di quel che si potrebbe pensare, vero?
La seconda ovvietà è quanto M3GAN 2.0 sia a tutti gli effetti un film dichiaratamente e (in)consapevolmente tanto - troppo - schizofrenico.
Un giocattolone indubbiamente appetibile e tutto sommato intrattenente, seppur in piena e conclamata crisi d'identità: così ossessionato dal voler coniugare le proprie molteplici e spesso ossimoriche anime da non riuscire a prendere una posizione chiara, netta e soprattutto onesta se non nel corso dell'ultima adrenalinica e debordante mezz'ora.
È appunto nel suo terzo atto - una sorta di vero e proprio film nel film - che M3GAN 2.0, dopo aver fiaccamente tergiversato per l'intera durata di un Esorciccio, pare finalmente declamare con fierezza e serenità la popria autentica natura di divertissement ad alto tasso di botte, sudore, goliardico umorismo da TikTok Generation, qualche sana gocciolina di sangue e parecchie pallottole disperse sul campo; offrendoci quantomeno la soddifazione di ammirare, seppur per il brevissimo tempo di una tardiva patch, quello che avremmo voluto e soprattuto dovuto vedere sin dall'inizio.
Chi è dunque il vero villain di M3GAN 2.0?
Difficile a dirsi, soprattutto all'interno di un racconto nel quale schieramenti, toni e registri cambiano di continuo con la medesima rapidità di un download a banda larga; rendendo di fatto impossibile empatizzare fino in fondo con personaggi più bidimensionali di un pop up che, a cominciare dalla nostra androidica Regina Rossa dagli occhioni (termici) da cerbiatto, paiono stavolta più simili a un NPC di Titanfall che a veri e propri personaggi.
[Pensavamo fosse M3GAN 2.0 e invece, guarda un po', forse è proprio La sposa di Chucky!]
Il modo forse più opportuno per inquadrare un'opera come M3GAN 2.0 - nonché il restyling caratteriale più che fisico della sua stessa robotica co-protagonista - sta tutto in quella curiosa "teoria della graffetta" più volte scomodata e mai putroppo realmente approfonodita.
La transizione da pura e semplice forza distruttiva volta al raggiungimento di un determinato obiettivo verso una dimensione decisamente più "umana", se non addirittura affettiva risulta potenzialmente solleticante nella teoria ma difficilmente corente della pratica della messa in scena.
Detto ciò va tuttavia riconosciuto il merito al buon Johnstone e ai compagnucci di produttive merende Jason Blum e James Wan per aver saputo creare - nel bene o nel male se ne potrà a lungo discutere - una nuova icona dell'intrattenimento 3.0, capace certamente di intercettare i gusti decisamente meno esigenti e dichiaratamente più spensierati di quella già disillusa Gen Z per la quale tutto appare ogni giorno nuovo e sorprendete; tanto nella vita quanto e soprattutto nel bulimico universo audiovisivo.
Un'icona, quella cementata da questo M3GAN 2.0, potenzialmente destinata a generare un'onda lunga sulla quale ben altri - e forse alti - topoi avranno in futuro modo di nascere, crescere e cinematograficamente espandersi o, semmai, disperdersi.
[Inforcate il joypad e tuffatevi nel cine-gameplay di M3GAN 2.0]
Un'icona espansa dunque, così come l'universo videoludico che essa stessa ha ben dimostrato a più riprese di voler esplicitamente citare e (ri)apparecchiare dinnazi ai nostri occhi occhi.
Un'icona, va detto, il cui vero e unico problema a questo punto sta tutto nel comprendere realmente di quale pasta sia fatta: action? Thiller? Fantascienza?
Oppure, come direbbe il buon Luigi Pirandello, Uno, nessuno e centomila?
"Io ti vedo!" sussurra la nostra M3GAN 2.0 a una comprensibilmente allibita Gemma in un'insolita e forse fittizia esternazione di empatico affetto ironicamente rubacchiata, strano ma vero, all'ascetica saggezza dei ciclopici e azzurrognoli Na'vi di Avatar.
Anch'io ti ho vista, mia cara dolce M3GAN 2.0! È solo che, almeno per quanto mi guarda, tolta una tua più che evidente voglia di redenzione, stavolta non ho davvero compreso cosa diamine hai voluto dirmi nel corso dei tuoi altalenanti e davvero troppo eterogenei 119 minuti.
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