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Non ci resta che piangere... ma ridiamo ancora oggi!

Accolto tiepidamente dalla critica ma calorosamente dal pubblico, Non ci resta che piangere è oggi divenuto un vero e proprio cult e rimane l’unica occasione in cui i due geni comici di Roberto Benigni e Massimo Troisi si siano potuti esprimere insieme, creando un’alchimia inedita e delle scene ormai entrate nella storia del Cinema italiano

Frittole, quasi 1500: per tutti gli appassionati basterebbe questo esordio per capire che stiamo parlando di Non ci resta che piangere, film scritto, diretto e interpretato a quattro mani da Massimo Troisi e Roberto Benigniuscito in sala il 21 dicembre 1984 e campione d’incassi di quella stagione. 

 

In quegli anni Troisi e Benigni erano non solo due grandi attori del panorama della commedia italiana, ma anche due registi e autori cinematografici molto apprezzati: ognuno con il proprio stile, raccontavano gioie, dolori, idiosincrasie e opinioni della prima generazione italiana, quella dei trentenni, a essere nata e cresciuta fuori dalla guerra. 

Giuseppe Bertolucci, co-sceneggiatore del film, affermò che l’amore reciproco tra Troisi e Benigni li aveva portati a voler unire le loro due antitetiche comicità per creare qualcosa di assolutamente nuovo.

Durante un’intervista congiunta, la giornalista chiese ai due registi come era loro venuto in mente di combinare la comicità contadina con la napoletanità piccolo-borghese: i due, quasi stessero ancora recitando nel film, cominciarono a rispondere ironicamente, giocando con le parole, non prendendosi mai sul serio, ma affermando un’assoluta verità: il segreto del film sta nell’aver fatto tutto insieme.  

 

L’espediente narrativo di ritrovarsi catapultati in un’epoca passata è per gli spettatori contemporanei ormai un classico, anche grazie a molti film proprio degli anni ’80 che hanno formato il nostro immaginario.

 

Come non pensare a Ritorno al futuro, che uscì nelle sale appena l’anno dopo rispetto a Non ci resta che piangere e che condivide con il film italiano il motore narrativo: un salto inconsapevole indietro nel tempo che permetterà ai protagonisti di creare paradossi temporali e di tentare di cambiare il futuro.

 

[Il trailer di Non ci resta che piangere]

 

 

Ricordati che devi morire! 

 

Mario e Saverio, bidello e insegnante nella stessa scuola, sono fermi a un passaggio a livello, che sembra non rialzarsi più.

Stanchi di aspettare, fanno retromarcia e imboccano una strada sconosciuta inoltrandosi nella campagna toscana, nella quale si perderanno. Nella notte, tra pioggia scrosciante, lampi e tuoni - anche qui, il fulmine ha il suo ruolo - approdano a una locanda, per scoprire solo al mattino di essere finiti nel 1400.

Anzi: quasi 1500.  

 

Tutte le ansie e i problemi lasciati nel presente, come le preoccupazioni di Saverio per la sorella Gabriella, vengono momentaneamente accantonati, per tentare di capire come tornare indietro, nel futuro, e come allo stesso tempo sopravvivere in un’epoca non esattamente moderna, in cui basta aprire una finestra al mattino per finire come Remigio, colpito all’addome da una lancia di alcuni scagnozzi incappucciati.

 

Saverio, più intraprendente, è il primo ad adattarsi alla nuova realtà, smettendo di pensare di tornare indietro e vestendo i panni, anche letteralmente, dell’uomo medievale.

Mario, tutto sommato felice della propria vita nel presente, fatica di più e l'incontro con un predicatore e il suo Memento mori non lo aiutano di certo ad ambientarsi.

Saranno però degli incontri fortunati a far cambiare prospettiva ai protagonisti, che si adatteranno alla nuova dimensione storica, tra l’ipotesi di portare invenzioni del mondo contemporaneo nell’appena nato Rinascimento, come ad esempio il gabinetto e l’intero sistema fognario, e l’aiuto concreto ai nuovi amici. Vitellozzo e Parisina diventano la loro nuova quotidianità, in cui non c’è una sorella sofferente da accudire né alunni indisciplinati da tenere a bada. 

 

Sarà proprio il reticente Mario a trovare il proprio posto in quel mondo, grazie all’incontro con Pia, ragazza di buona famiglia in età da marito, alla quale dedica canzoni di “sua composizione” come Yesterday, Bandiera rossa, Nel blu dipinto di blu, fino all’Inno di Mameli.

 

 

[Amanda Sandrelli e Massimo Troisi nei panni di Pia e Mario in Non ci resta che piangere]

 

 

La Storia fa capolino tra Savonarola e Leonardo da Vinci  

 

In una delle sequenze più famose del film Benigni e Troisi si ispirano alla leggendaria coppia di Totò e Peppino e all'esilarante scena della scrittura della lettera in Totò, Peppino... e la malafemmina, espediente comico inventato dai Fratelli Marx in Animal Crackers, nel 1930.

 

Il destinatario della loro missiva è nientepopodimeno che Girolamo Savonarola, predicatore domenicano e futuro governatore della Repubblica Fiorentina post-medicea, per ordine del quale l’amico Vitellozzo è stato imprigionato e del quale implorano la liberazione.  

 

Ne deriva una scena iconica, in cui le due comicità differenti apportano ognuna il proprio retroterra culturale: ancorato alla terra e alla tradizione popolare quello di Benigni, più metafisico, idealista e tragicomico quello di Troisi.

 

 

[Saverio e Mario scrivono la famosa lettera a Savonarola in Non ci resta che piangere]

 

 

Questi aspetti sono riconoscibilissimi anche in altre sequenze memorabili: dal passaggio della dogana dietro pagamento di un dazio, che ha dato origine a una delle citazioni più famose - "Chi siete? Cosa portate? Sì, ma quanti siete? Un fiorino!" - all’immaginifico incontro con Leonardo da Vinci, che diventa l'occasione per giocare bonariamente con il concetto di genio e per sghignazzare con deferenza su come anche i geni, ogni tanto, non riescano a capire le regole elementari di un gioco di carte.   

 

Ma laddove il genio comico raggiunge il suo apice è forse nell’unico vero momento di creazione, tentata ma non riuscita, di un paradosso temporale: fermare la partenza di Cristoforo Colombo, che avrebbe portato alla scoperta delle Americhe.

Siamo infatti nel 1492 e Saverio ha un solo pensiero: l’ex-fidanzato che tanto ha fatto soffrire sua sorella è statunintense, quindi se Colombo non parte l’America non sarà mai scoperta e il ragazzo non potrà mai nascere.  

 

Ecco che più o meno a metà il film da statico si fa dinamico, seguendo il viaggio di Mario e Saverio in questa impresa brancaleonica di sfidare il corso della Storia e cercare di cambiare il destino del mondo, che loro già conoscono e che non li entusiasma particolarmente.  

 

 

[Non ci resta che piangere: Massimo Troisi e Roberto Benigni con Paolo Bonacelli, che veste i panni di Leonardo da Vinci]    

 

 

Arrivederci, Maestro  

 

In Laggiù qualcuno mi ama, docufilm del 2023 di Mario Martone sulla vita e le opere di Massimo Troisi, una piccola parte è dedicata all’analisi della nascita di Non ci resta che piangere, attraverso stralci di interviste e filmati dell’epoca.

 

In uno di essi Troisi riassume perfettamente cosa ha significato questo film, innanzitutto per i due amici che lo hanno creato:  

“Sapevamo già che andavamo a fare una cosa io e lui, perché stiamo bene anche quando ci vediamo per strada o in un ufficio. Ci divertiamo, ridiamo.

Non vedo perché non doveva essere uguale al Cinema. Infatti poi è stato un film probabilmente completamente diverso dai film di Roberto e completamente diverso dai film solo miei.

 

Forse un film che da solo mi sarei vergognato a fare, perché mi sarei vergognato a fare lo spagnolo con la S finale, però spalleggiato da Roberto e dividendo le responsabilità con Roberto, abbiamo avuto il coraggio di farlo, insomma.

Forse nemmeno lui l’avrebbe mai fatto chiaramente da solo”.  

 

Non ci resta che ringraziarli.

 

[a cura di Elena Bonaccorso] 

 

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