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Final Destination: guida pratica su cosa (non) fare quando a volerci morti è la Morte stessa

Un'analisi della divertentissima saga slasher 

Quella di Final Destination è inequivocabilmente una saga slasher.

Un nutrito gruppo di personaggi che viene decimato da (sempre più fantasiosi) attacchi mortali; un(a) protagonista che fin dall'inizio si configura come the last one standing (siamo di fronte alla classica Final Girl? Mettiamoci un asterisco, ci torneremo più avanti); la gradualità del processo di riconoscimento della minaccia; un villain responsabile della dipartita di personaggi a noi - più o meno - cari. 

 

Ma mai villain fu più intangibile, evanescente, fuggevole (e pressoché invincibile) di quello con cui ci troviamo a farei conti nei cinque film che dal 2000 al 2011 hanno dato vita alla saga di Final Destination. 

 

La Morte qui si guadagna di diritto la maiuscola, non tanto per una forma reverenziale di rispetto misto a timore, ma perché diventa un vero e proprio personaggio, instancabile persecutrice di coloro che le sono scampati grazie alla forza (benigna?) di una visione premonitrice.

 

 

[Noi come la professoressa Lewton (Final Destination) di fronte all'ennesima esplosione di arti umani]

 

 

"I believe that there's a sort of force, an unseen malevolent presence that's all around us every day.

And it determines when we live and die.

And some people call this force the devil.

You know, but I think that whole religious thing is...

So I prefer to call it Death itself." 

 

"Credo esista una specie di forza, una presenza maligna invisibile che aleggia sempre intorno a noi.

Una forza che decide quando viviamo e quando moriamo.

Alcuni pensano si tratti del diavolo.

Ma io lascerei da parte la religione...

Preferisco definirla come la Morte stessa."

 

Cinque film, cinque incidenti, cinque corse contro l'ineluttabilità della morte, con una chiusura circolare e inaspettata, dal sapore definitivo.

 

La struttura dei film è presto detta.

In un contesto quotidiano o comunque assolutamente "innocuo" un/a prescelto/a ha una visione che preannuncia un terribile incidente; insieme a un gruppo più o meno aleatorio di comprimari, questo personaggio si allontana scampando all'incidente (che puntualmente avviene); poco tempo dopo strani incidenti mortali secondari cominciano a colpire i sopravvissuti all'incidente primario, facendo intuire uno schema ben preciso attraverso cui la Morte sembra volere recuperare il lavoro arretrato.

 

La plausibilità degli incidenti si trasforma in modo inversamente proporzionale alla spettacolarità e acrobatismo degli stessi: dal "sobrio" incidente aereo al rocambolesco crollo del ponte incontriamo tronchi che rompono parabrezza, corpi tranciati dalla ferraglia di un ottovolante e letali pneumatici vaganti, in un crescendo che - un po' come nel caso della saga dell'Enigmista - diventa una sifda creativa all'ultimo sangue per la morte più assurda, ingegnosa e - a volte, in un qualche perverso modo - divertente.

 

L'effetto di fastidio che talvolta risulta dall'assurdità della sequela di smembramenti, perforazioni e schiacciamenti è mitigato dall'estrema autoironia, per mezzo della quale Final Destination non commette mai l'errore di sopravvalutare la tragicità socialmente intrinseca nei concetti di morte e destino.

 

 

[Il "sobrio" incidente iniziale di Final Destination, nel momento in cui lo vediamo dall'esterno dell'azione, quando avviene nella realtà e non nella visione]

 

Il tempo che i film in media si prendono per mettere in scena la visione dell'incidente e la prima fuga dalla Morte (e tutto il pre e post) si attesta attorno ai venti minuti, con una significativa durata molto più ridotta nel quarto film (per molti versi il più "meccanico" e meno ispirato), in cui poco oltre gli 11 minuti dall'inizio partono i tamarrissimi titoli di testa, a separare la visione scatenante - che diventa quindi quasi un'appendice data per scontata - dal corpo delle assurde morti (unico caso in tutto il franchise).

 

L'incidente viene visto nei dettagli - sia dal protagonista che dagli spettatori - solamente nella visione: si evita la ridondanza per necessità narrativa, perché il punto di osservazione privilegiato lo si ha solo nel momento in cui l'incidente viene vissuto in prima persona, quindi esclusivamente nel presagio.

Nella visione, tutta una serie di dettagli apparentemente insignificanti dei momenti prima dell'incidente agisce come controprova della veridicità della stessa: sì, sta succedendo esattamente quanto si è già visto prima di risvegliarsi dalla visione, quindi anche l'incidente avverrà per davvero.

 

Questa sorta di checklist è un espediente ricorrente nelle narrazioni di loop o viaggi temporali e verrà recuperata, tra gli altri, da Auguri per la tua morte (Christopher Landon, 2017), per mettere in scena il continuo risveglio sempre uguale della protagonista.

 

Nota di merito per l'ossessività con cui tornano, diverse per ogni film, alcune canzoni che fungono sia da segnale sia da continuo promemoria della Morte che ci è alle calcagna (penso, tra le altre, a Turn Around, Look at Me in Final Destination 3, dal testo quanto mai allusivo: "There is someone walking behind you/Turn around, look at me/There is someone watching your footsteps/Turn around, look at me").

 

Viene mostrata chiaramente la morte di tutti coloro che in seguito scenderanno dall'aereo, usciranno dal circuito, si fermeranno all'inizio del ponte, ecc., coloro che andranno a formare il gruppo di elezione del Tristo Mietitore, tornato a rimediare là dove aveva fallito.

 

Con l'eccezione dell'atipico quarto capitolo, la ricchezza di particolari delle morti all'interno della visione aumenta gradualmente, costituendo già parte di quella spettacolarizzazione della fine che ritroviamo più dilatata, focalizzata ed estesa nel resto del corpo dei film.

L'incidente "vero", quello che avviene senza un gruppetto di "fortunati" scampati al disastro, lo si vede invece in lontananza, dai margini; noi siamo spettatori esterni alla tragedia e così anche i personaggi che si sono salvati, seppur ben presto si scopriranno quanto mai protagonisti.

 

Se nel primo film la successione degli eventi è in grado di sorprendere, in tutti i sequel essa diventa scheletro su cui si possono sì innestare scarti, ma in cui il tracciato rimane ben saldo e visibile.

Il meccanismo narrativo di Final Destination ha spesso il sopravvento sullo sviluppo del materiale stesso: un'idea così forte porta all'errata convinzione che sia sufficiente di per sé per portarsi a casa il risultato.

 

Come accennato in precedenza, relegare alla scena pre-titoli di testa l'incidente esplicita nel quarto film l'ovvia prevedibilità del tutto: viene mostrato perché altrimenti il film non avrebbe narrativamente senso, ma il modo adottato per mostrarlo tradisce la sua natura di incombenza da togliersi di torno, ovvio incipit da cui mai ci si potrà smarcare.

 

 

[William Bludworth - il becchino impersonato da Tony Todd - spiega a Clear e Alex tutto ciò che c'è da sapere sulla Morte e la sua linea d'azione in Final Destination]


L'elemento di scarto principale è costituito dalla modalità delle morti, quindi non il cosa, ma il come.

 

Il come più "divertente" si ha quando la modalità prescelta è quella del contrappasso, come nei casi delle ragazze popolari e vanitose Ashley e Ashlyn, che muoiono bruciate nei lettini abbronzanti, e del nerboruto Lewis, che muore con il cranio spiaccicato dagli attrezzi con cui si era solito allenarsi (Final Destination 3).

 

Anche la scoperta che l'ordine degli incidenti derivati dipende dall'ordine in cui i personaggi avrebbero dovuto morire nell'incidente originario è un continuo riciclo dal primo film, riportato invariato nei seguenti, così come quella del "salto" al malcapitato seguente compiuto dalla Morte quando qualcuno viene salvato.

Le idee sono poche, valide, ma reiterate allo sfinimento. 

 

Basti pensare anche solo alla ripetizione dello strumento della visione all'interno di uno stesso film: nel terzo e nel quarto capitolo i personaggi protagonisti esperiscono una seconda visione che anticipia un incidente che avverrà di lì a poco, e che vive solo in quanto esubero di spettacolarità, non dando mai effettivo modo di impedirne l'avverarsi.

 

I segnali diventano le evidenze della fine incombente che bisogna essere in grado di cogliere.

Sono i protagonisti dei cinque film a essere i depositari di questo dono sciamanico ed è la misteriosa figura del becchino William Bludworth (!), impersonato da Tony Todd e ricorrente nella saga, a introdurre il tema della decifrazione dell'avanzare e del manovrare della Morte, della possibilità di aprire, grazie alla visione, delle crepe nel suo piano precostituito - fatto di ogni singola azione e scelta da noi compiuta - della sua costruzione di un nuovo piano riparatore.

 

La scelta di Tony Todd, attore afroamericano assurto alla fama per la sua interpretazione di Candyman nel film omonimo, riconduce il personaggio alla linea di discendenza orrorifica che attribuisce alla pelle nera connotati soprannaturali/conoscenza del soprannaturale, in contrapposizione alla scientificità e alla razionalità del bianco.  

 

"What you have to realize is that we're all just a mouse that a cat has by the tail.

Every single move we make, from the mundane to the monumental, the red light that we stop at or run, the people we have sex with or want with us, the airplanes that we ride or walk out of...

It's all part of Death's sadistic design leading to the grave."

 

"Quello che dovete capire è che siamo tutti solo dei topi tenuti per la coda da un gatto.

Ogni singola mossa che facciamo, da quella banale a quella epocale, il semaforo rosso a cui ci fermiamo o acceleriamo, le persone con cui facciamo sesso o desideriamo avere con noi, gli aeroplani su cui viaggiamo o da cui scendiamo... 

Fa tutto parte del disegno sadico della Morte che ci porterà alla tomba." 

  

 

[Un tranquillissimo Alex si appresta a salire sul famigerato volo 180 per Parigi in Final Destination]


Nel primo film, che ha il gravoso compito di raccontare per la prima volta quello che solo in seguito diventerà un sentiero ben noto, la costruzione della tensione pre-incidente viene fondata sulla superstizione di Alex, il nostro primo protagonista.

 

Nell'ideale scenario in cui un film viene visto senza saperne assolutamente nulla, non fatico a immaginare la stupefatta reazione dello spettatore che per la prima volta si trova di fronte alla sequela di segni inquietanti e frasi presaghe, adrenaliniche visioni e raccapriccianti disastri.

Ogni frase getta un'ombra sul viaggio che aspetta Alex; sulla sua ansia per l'aereo si coostruisce il climax che porta all'incidente: non ci sarebbe niente di particolarmente sospetto, di minaccioso, ma ognuno di questi singoli elementi lo diventa - eccome - per lo spettatore... perché lo sono per Alex, attraverso i cui occhi leggiamo ciò che accade.

 

Un tema che ritorna è quello della "colpa" di chi ha avuto la visione.

L'aura soprannaturale della premonizione condanna gli (s)fortunati indovini a un assurdo mix di gratitudine e sospetto da parte sia degli altri sopravvissuti, sia delle autorità e degli "esterni", ai cui occhi esiste uno sconclusionato rapporto di causa-effetto tra visione e incidente.

Per lo spettatore è quasi assurdo che questa strana equazione abbia luogo: come è possibile squadrare con diffidenza l'individuo grazie al quale delle persone  si sono salvate da un incidente mortale?

E quando la catena degli incidenti secondari prende piede, come è possibile designare come papabile responsabile proprio chi ha in precedenza risparmiato da un nefasto destino coloro che ora stanno morendo?

 

Nel caso del primo film la narrazione legittima il sospetto diegetico (non il nostro, che mai sussiste, in quanto siamo consapevoli della reale natura degli eventi): Alex - che deve capire i meccanismi della Morte - si ritrova ad agire in modo quantomeno equivoco, alimentando il terrore irrazionale e insondabile post-traumatico dei sopravvissuti, e non solo.

 

 

[Il culmine della morte di Tod in Final Destination]


La morte di Tod nel primo film ha la grande responsabilità di farci capire come funziona (e come funzionerà) il meccanismo da Cinema delle attrazioni di Final Destination.

 

Vediamo - per la prima volta - le modalità adottate dal villain di questa saga slasher sui generis, la moltitudine di potenzialità messe in campo - che si configurano quasi come "tentativi" della Morte stessa, o comunque tasselli concorrenti all'esito finale - per uccidere i malcapitati. 

Le diverse strade che la Morte può percorrere agiscono come detonatori di suspense, e nelle morti più "belle" fanno da cifra di divertita tensione: quale elemento - o quale concatenazione di elementi - sarà la causa dell'eliminazione della vittima di turno dall'elenco dei "rimasti"?

 

Spesso non si riesce ad allontanare il pensiero che i personaggi siano degli sciocchi maldestri e impacciati, che sbattono e inciampano su qualsiasi cosa nemmeno ci trovassimo in una commedia slapstick: ma non sono loro a innescare con la loro sbadataggine i meccanismi di morte, bensì la Morte stessa, come una grande burattinaia che ci tiene in sua balìa.

Siamo circondati da mille insidie e ogni luogo in cui ci muoviamo, che sia di lavoro, di svago o parte della quotidianità, è ricco di pericoli in potenza: in questa saga la Morte non fa che "attivarli", in qualche modo gli fa prendere vita, manovrandoli, portando lo spettatore, nonostante il lato soprannaturale dei film, a riflettere sulla casualità della vita.

 

Il bagno funziona alla perfezione come primo setting, pieno di possibilità e oggetti insidiosi pronti all'uso narrativo: il vento che chiude la finestra, la perdita d'acqua, il rasoio, le forbicine, la corrente, il doccino.

Gli spostamenti improvvisi e i ripensamenti last minute del ragazzo contribuiscono ad accrescere la suspense, così come il montaggio alternato tra Tod e Alex, che coglie il primo indizio - il primo "segnale" - proprio un istante prima che una transizione ci porti da Tod che scivola e finisce impiccato.

Il ritirarsi - immediatamente dopo - della perdita d'acqua responsabile della caduta ha le sembianze dell'arma che viene nascosta dopo che ha compiuto il suo dovere.

 

Se l'acqua è quindi l'elemento mortifero principale, gli altri sopra elencati hanno un ruolo collaterale; anzi, la forbicina per i peli del naso - che ci fa tremare per un lunghissimo istante - diventa a un certo punto una possibile via di salvezza.

 

 

[Come biasimare la poca serenità con cui Tim affronta la visita dal dentista in Final Destination 2?]


Gli autori del film sembrano aver capito come questa tipologia ansiogena di costruzione della morte - che riempie il setting prescelto di "trappole" con il compito di confondere le aspettative dello spettatore - sia una carta vincente, in quanto tutti i capitoli ne fanno uso - principalmente accanto alla morte improvvisa e alla morte "action".

 

Esemplare in tal senso è la morte di Tim in Final Destination 2.

 

L'idea più efficace di questa scena è la decisione di costruirla tutta sull'indefinitezza della vittima seguente: Nora e Tim - madre e figlio - erano in macchina insieme nel momento dell'incidente autostradale iniziale, quindi non si può avere la certezza di chi sia morto prima e, di conseguenza, di chi sia ora il turno di lasciarci.

Noi sappiamo che il segnale che Kimberly (la protagonista) ha individuato sono i piccioni, e che quindi la morte di Nora o di Tim sarà causata da questi.

Ma in che modo?

 

Un espediente simile viene impiegato in Final Destination 4, quando si capisce che il segnale è l'acqua.

Nella visione dell'incidente Hunt e Janet morivano praticamente insieme, ma adesso non si sa a chi tocchi ed entrambi si trovano in luoghi dove l'acqua fa da padrona: la piscina e l'autolavaggio.

Nick e Lori si dividono per andare ad avvertire e salvare gli amici, la suspense che si crea è palpabile e dà vita a quella che a mio avviso è la sequenza migliore del film.

 

Il segnale dell'acqua veniva dato tra l'altro dall'insegna di Clear Rivers Water, chiarissimo riferimento al personaggio dei film precedenti: il citazionistico richiamo continuo agli altri film della saga, attraverso rimandi palesi o easter egg, è una pratica rodata e onnipresente.

 

Tornando a Final Destination 2, la scena ha luogo dal dentista, con Nora in sala d'attesa e Tim nello studio: pericoli su entrambi i fronti continuano a sommarsi, con i piccioni implicati da entrambe le parti, anche se con uno sbilanciamento della costruzione della tensione e del timore spettatoriale su Tim.

Quando quest'ultimo si salva da quella che ormai davamo per morte certa per soffocamento ci ritroviamo spiazzati, bloccati in una carica tensiva non portata a compimento, con i due che escono da quello che consideravamo ormai luogo deputato alla morte, apparentemente fuori pericolo.

 

Ma l'arrivo scomposto di Kim e Thomas (il co-protagonista del secondo film) "provoca" infine l'assurda morte del ragazzo, attraverso un meccanismo che è una variazione sul tema di quello proprio delle narrazioni sui viaggi nel tempo, che prevede che proprio la consapevolezza che una cosa andrà in un determinato modo - e le nostre azioni deliberate per impedirla o modificarla - fa sì che quell'evento abbia luogo.

 

Come se sia sempre e comunque destino che ciò accada, che "debba andare così".

 

 

[Wendy sotto shock appena dopo aver avuto la seconda visione in Final Destination 3: la Morte è sempre lì ad attenderci al varco, quando siamo certi di averla fatta franca]



I piccioni ci offrono il gancio per parlare finalmente dei segnali, che danno ai protagonisti la (illusoria?) possibilità di battere sul tempo la Morte: estrinsecazioni benigne del fato (o sadici mezzucci dell'incorporeo villain per dilettarsi ancor di più e mettere pepe al suo "recupero crediti"), essi prendono diverse forme di film in film.

 

La modalità più classica di manifestazione dei segnali si ha come apparizione allucinatoria relegata al singolo personaggio: gli autobus che, in due momenti diversi (e con due esiti diversi) vedono Alex e Clear riflessi nel vetro (Final Destination), i piccioni visti da Kimberly (Final Destination 2).

 

Un altro modo in cui si danno i segnali è l'impronta fisica, il segno palpabile di qualcosa: lo strappo di giornale recante il nome di Tod (Final Destination), l'ombra dei ganci vista da Rory che mette in guardia sulla morte di Nora in ascensore (Final Destination 2), il vetro della foto di Olivia che si spacca esattamente sull'occhio, origine della sua morte (Final Destination 5).

 

Vengono impiegate anche delle brevi visioni: Kimberly che continua a vedere l'annegamento di una persona che poi scoprirà essere lei stessa (Final Destination 2), quelle che ha continuamente Nick in Final Destination 4, che sono il mezzo piuttosto bruttarello che il quarto film utilizza per sfruttare e ostentare la tecnologia in tre dimensioni.

 

Per finire (come accennato in precedenza) di particolare interesse è l'utilizzo di una visione vera e propria, che assume i connotati della - e va a sommarsi alla - grande visione che dà inizio al film: in Final Destination 3 Wendy vede la propria morte senza avere alcun modo per impedirla.

 

Questo espediente viene impiegato per accrescere la tensione che la presenza di tutti e tre i sopravvissuti del film nella stessa metropolitana, mesi dopo che tutto sembrava finito, già riesce a stabilire nello spettatore.

 

Lo statuto di visione (così come nel caso delle visioni iniziali di tutti i film, anche se una volta visto il primo conosciamo ormai il procedimento) è chiarito solo in un secondo momento, quando si ha il "risveglio" del protagonista e il suo ritorno alla realtà: qui l'effetto sorpresa è ancora maggiore proprio perché è la prima volta che il medesimo "trucco" che fa iniziare i film viene adoperato alla sua fine.

 

 

[Una delle foto scattate da Wendy, nello specifico quella che prevede la sua morte: il segnale è il volto "mosso" di Jason, accanto a lei (Final Destination 3)]

 

I segnali diventano gradualmente appannaggio collettivo e non più individuale: segno distintivo e netto di questo scivolamento è lo strumento che usa Final Destination 3, ovvero le fotografie.

 

Il terzo capitolo è quello delle famigerate montagne russe. 

Wendy, Jason, Carrie e Kevin si recano al Luna Park per festeggiare la fine dell'ultimo anno di High School e stare tutti insieme per l'ultima volta prima dell'enorme cambiamento che il College rappresenterà per le loro vite.

 

Prima della visione, dell'incidente e del salvataggio all'ultimo minuto di un gruppo di compagni di scuola, Wendy scatta una serie di foto; alcune in posa, altre venute male, sovraesposte o mosse, le foto torneranno nel corso del film come degli enigmi da interpretare, come quelle immagini sulla Settimana Enigmistica in cui bisogna trovare gli elementi chiave per capire cosa sia successo.

O come i ricchissimi setting di alcune morti che abbiamo trattato in precedenza, dove c'è l'imbarazzo della scelta su cosa focalizzare la propria preoccupata attenzione.

 

Non sono chiari indizi su come il personaggio morirà - come d'altronde non lo sono mai nemmeno le altre tipologie di segnali - ma qui si aggiunge la difficoltà ulteriore di riuscire a individuare tra una molteplicità confusionaria di elementi il fattore principale in grado di mettere in guardia sulle modalità adottate dalla Morte. 

 

Ovviamente le fotografie sono sempre delle immagini abbastanza sibilline, altrimenti dove starebbe il macabro divertimento?

 

Le tempistiche per capire come moriranno i personaggi si allungano in potenza in modo esponenziale in quanto tutti gli indizi, i segnali - le foto - sono disponibili fin dal principio e, una volta compreso che in esse è contenuta la previsione sulla modalità di morte, ci si può adoperare per mettersi in guardia e armarsi contro l'inafferrabile nemico.

Il segnale si fa inoltre collettivo nella misura in cui chiunque può fruire delle fotografie, esaminarle e dire la propria (anche se il dominio di questo "vantaggio investigativo" rimarrà narrativamente appannaggio di Wendy e Kevin, i personaggi centrali).

 

La regia rende ascrivibili al regno dei segnali - in questo caso ad esclusivo favore dello spettatore - anche gli oggetti diegetici che circondano, copiosi e in grande varietà, i malcapitati.

Cambi di fuoco improvvisi, zoom premonitori, inquadrature eccessivamente lunghe su porzioni del profilmico apparentemente di secondaria importanza: la macchina da presa concorre nel posizionarci in un punto di osservazione ultra-privilegiato sugli eventi, investendoci del ruolo di beneficiari esclusivi di determinate anticipazioni potenzialmente salvifiche di cui - ahimé - non abbiamo purtroppo modo di avvertire nessuno, essendo parte del regime extra-diegetico.

 

Ovviamente molti di questi avvertimenti risultano "invisibili" anche per lo spettatore: l'evidenza e la poca sottigliezza con cui vengono mostrati talvolta non basta a spingerci ad appuntarceli mentalmente, solo le visioni successive dei film ci permettono di notarli in tutta la loro limpidezza.

Se già si sa cosa avviene è più facile annotare tutte le suggestioni registiche e di messa in scena che portano al momento clou della morte.

 

Questi segnali non permettono mai, davvero e definitivamente, di salvare i personaggi: si riesce a evitare la morte immediata ma senza intaccare la catena di eventi che comunque porterà fino a lì, si riesce a "saltare" uno sventurato specifico nell'ordine di morte, ma solo temporaneamente o, più semplicemente, conoscere in anticipo come avverrà la morte non rende in grado di fermarla.

 

 

[Thomas e Kimberly negli istanti precedenti la morte degli amici della ragazza e il suo salvataggio ad opera dell'affascinante agente (Final Destination 2)]

 

Una differenza che discosta Final Destination dalle strutture tradizionali dello slasher classico è l'apparente casualità del protagonista.

 

La scelta del sesso del(la) protagonista si allontana dagli automatismi che hanno portato alla centralità della figura della Final Girl, per configurarsi come elezione casuale del portatore della visione.

La questione - sicuramente inusuale per un film di questo tipo - sarebbe quindi da indagare a livello produttivo, di marketing: perché tre film su cinque hanno dei "Final Boy"?

 

Il primo, il quarto e il quinto capitolo vedono infatti Alex, Nick e Sam come protagonisti, mentre il secondo e il terzo rispettivamente Kimberly e Wendy.

Si può tuttavia affermare che in tutti i casi il/la protagonista sia accompagnato/a in qualche misura da un "aiutante", come nella tradizione della fiaba.

 

Se per Nick e Sam (lasciamo - per ora - da parte il caso particolare di Alex) l'aiutante in questione è la compagna (Lori e Molly), per Kimberly e Wendy si tratta di una controparte maschile (la complementarità sessuale viene mantenuta in ogni film) che non costituisce tuttavia la metà di una coppia eteronormata.

 

Final Destination 2 è l'unico film in cui coloro che si salvano dall'incidente sono tutti sconosciuti, e per quanto riguarda Kimberly l'aiutante è proprio uno sconosciuto: Thomas, l'agente di polizia che si trova coinvolto nel disastro.

Figura dell'autorità, Thomas si avvicina sempre più emotivamente a Kimberly, fino a un finale che allude - ma allude e basta, senza nemmeno lo sbrodolante suggello del bacio - alla formazione della coppia.

 

Fun fact totalmente slegato da ciò di cui stiamo parlando, ma che proprio per la natura di fun fact troverebbe difficile collocazione in qualunque punto di questo articolo - ma non per questo mi convince nel rinunciare a mettervene a parte.

Kimberly e Thomas sono gli unici tra coloro che sono fuggiti alla Morte nell'intera saga a essere ancora canonicamente vivi.

Il film finisce con un colpo di scena come tutti gli altri ma è l'unico caso in cui lo sfortunato destino si abbatte su personaggi secondari, di cui ci interessa molto relativamente.

 

Anche se nella versione interattiva "Choose Your Fate" del DVD di Final Destination 3 - che possiedo e con cui al tempo mi divertii molto - si scopre che non solo i due non sono poi diventati effettivamente una coppia, ma che dopo essersi rincontrati casualmente sono morti in un - ennesimo - incidente.

Il produttore esecutivo Craig Perry ha confermato che, nonostante si tratti di una versione alternativa, il destino di Kim e Thomas è proprio questo.

 

La cosa ha molto senso, considerando lo spirito del franchise e l'impossibilità di fregare la Morte, e la modalità di comunicazione del decesso nel film seguente è simile a quella attraverso cui si scopre della morte di Alex - sopravvissuto alla fine del primo film - nel capitolo successivo.

 

Tuttavia, tenendo in considerazione solo ed esclusivamente la narrazione delle versioni ufficiali dei film, i due sono gli unici ad essersi fatti beffe della cattivona incappucciata.

 

 

[Wendy e Kevin si confrontano sulle famigerate foto-segnali in Final Destination 3]


Nel caso di Wendy, le coppie vengono attivamente spezzate dall'incidente.

 

Wendy e Kevin si separano dai rispettivi partner (Jason e Carrie) per una questione di scelta dei posti sulle montagne russe, e sono proprio questi ultimi a decidere di rimanere sull'ottovolante nonostante tutto e lasciarci (subito) le penne.

Sopravvivono e diventano protagonisti due metà delle diverse coppie: non diventeranno mai una coppia a loro volta, anche se è evidente che nasca un legame insperato tra di loro, "grazie" alle terribili vicende che li hanno visti riluttanti protagonisti, sancendo un'unione amicale (simile a quella tra Kimberly e Thomas) che avrà però vita breve.

 

Non solo le loro strade si divideranno a causa delle scelte post-High School, ma il loro futuro duramente conquistato nella battaglia con la Morte verrà presto stroncato dall'incidente finale, mesi dopo quello che ha dato origine al film, che andrà a disilludere il falso lieto fine. 

Sarà Kevin, inizialmente, a indagare e a convincere Wendy del pericolo, ma saranno poi le foto scattate dalla ragazza a diventare la pista principale, e diventerà lei la portatrice primaria dell'avanzamento narrativo. 

 

Il caso più particolare è però quello di Alex e Clear, in Final Destination.

 

Alex è il primo protagonista dell'intera saga, che ha quindi inizio all'insegna del punto di vista diegetico maschile sugli eventi.

Superstizioso, inerentemente buono, forse poco deciso e in principio poco assertivo, sostanzialmente corpo neutro pronto ad accogliere la caratterizzazione standard dell'eroe della storia.

 

Quando viene dato per pazzo delirante - e anzi (scelta narrativa utilizzata solo in questo primo film) addirittura creduto colpevole, non si sa come - colei che per prima crede indefessa alla veridicità della visione e alla concretezza del pericolo imminente è Clear Rivers (interpretata da Ali Larter, che qualcuno si ricorderà per il ruolo plurale nella serie TV Heroes).

 

 

[Clear Rivers è co-protagonista del primo film della saga: in Final Destination 2 la ritroviamo in un ospedale psichiatrico in cui ha deciso di rifugiarsi per proteggersi dalla Morte, dove la vediamo con tutti i suoi ritagli di giornale sullo stile della caccia all'assassino]

 

Ancora più superstiziosa di Alex, Clear è lo stereotipo della ragazza timida e intelligente, colei che rimane in disparte fino ad avere l'occasione di dimostrare la pasta di cui è fatta; è mascolina, la vediamo alle prese con attrezzi, nell'atto di performare un'attività manuale (ma creativa).

 

Lei è l'"aiutante" di Alex, fino a quando - nel passaggio dal primo al secondo film - gli equilibri vacillano e il rapporto si inverte.

Alex indaga, "studia", andandosi a conformare con i segni distintivi della Final Girl, ma mano a mano che la narrazione di Final Destination progredisce Clear va ad assumere una posizione a lui complementare, dividendo il fardello della responsabilità derivante dalla conoscenza: il dramma della consapevolezza individuale ed eremitica del protagonista viene condivisa con un altro personaggio e, qui come negli altri film della saga, solo alla fine dagli ultimi superstiti, che la disperata volontà di salvarsi rende disposti a credere in un fantomatico piano soprannaturale della Morte stessa.

 

Alex e Clear diventano per molti versi co-protagonisti, fino ad arrivare, come accennato, a un ribaltamento totale di ruoli.

 

Final Destination termina con un finale ambiguo, in cui Clear è inequivocabilmente ancora viva, mentre il destino di Alex è lasciato nell'incertezza. 

Se ciò non bastasse, in Final Destination 2 viene rivelata la morte di Alex, avvenuta in seguito alle vicende del primo film; Clear impone la sua centralità diventando un ponte tra primo e secondo film, unico caso nell'intera saga (fatta eccezione per il caso particolare dell'ultimo film, di cui parleremo a breve).

 

Clear si fa anello di congiunzione e assume il ruolo che in Final Destination era appannaggio del becchino Bludworth, la voce pazza della verità, rinchiusasi per propria scelta in un ospedale psichiatrico nella speranza che le pareti imbottite la proteggano dalla Morte che ancora le sta dando la caccia.

In questo senso Kimberly viene quindi affiancata nel secondo film da due aiutanti, Thomas e Clear stessa: l'agente investigatore del secondo capitolo è quindi un trio. 

 

La staffetta del protagonismo appare in conclusione evidente nella "vittoria" narrativa di Clear, che diventa di diritto la prima Final Girl del franchise, forte del vanto di essere sopravvissuta ai titoli di coda della sua prima apparizione.

 

 

[Ashley e Ashlyn si preparano a morire in Final Destination 3]

 

Inutile dire che tutti i comprimari vengono pescati a piene mani dal calderone dei personaggi tipici dello slasher, le cui dinamiche psicologiche cedono il passo alla loro funzionalità nel portare avanti la trama.

 

A protagonisti e co-protagonisti/aiutanti si affiancano infatti delle figurine scartabili, che assumono le fattezze di cliché viventi, dai nomi spesso citazionisticamente evocativi di punte di diamante del Cinema horror e non: Alex Browning - Tod Browning, Billy Hitchcock - Alfred Hitchcock, Valerie Lewton - Val Lewton, Larry Murnau - Friedrich Wilhelm Murnau, Nora e Tim Carpenter - John Carpenter, Lewis Romero - George A. Romero, Janet Cunningham - Sean S. Cunningham, e molti altri. 

 

Final Destination e Final Destination 3 sono gli unici film della saga a essere strettamente legati al contesto scolastico e, di conseguenza, ricalcano maggiormente la tipica rigida suddivisione dei caratteri che caterve di film e serie TV ci hanno abituati a riconoscere.

 

Ad esempio.

 

L'etichetta della ragazza popolare è bipartita: se nel primo film abbiamo Blake e Christa, nel terzo troviamo Ashley e Ashlyn (la cui co-dipendenza viene richiamata dall'assonanza dei nomi).

Tuttavia, se le due Ash del capitolo delle montagne russe diventano effettivi personaggi con il relativo momento di (letale) gloria - con una delle morti più famose dell'intera saga, quella nei lettini abbronzanti - Blake e Christa ci lasciano appena dopo averci segnalato il loro status di reginette della scuola, rimanendo sull'aereo nonostante la visione di Alex.

 

In questo film il loro ruolo viene assunto da Terry, la ragazza del bullo-ragazzo popolare Carter. 

La figura del bullo non trova uno stretto corrispettivo nel terzo film, dove è invece presente lo sportivo, l'atleta Lewis (nella saga i personaggi afroamericani presenti, le classiche "prime vittime" dell'horror, resistono sempre quasi fino all'ultimo). 

 

Lo sfigato/buffone nel primo film è Billy (Seann William Scott, lo Stifler di American Pie), a cui potremmo associare nel terzo capitolo Frankie, il ripetente molestatore.

Erin e Ian (Final Destination 3) sono i goth, gli outsider che estremizzano il ruolo di Clear nel primo capitolo.

 

Tod, l'amico di Alex nel primo film, si sdoppia nel terzo in Kevin e Julie, amico e sorella di Wendy.

 

Gli altri capitoli della saga offrono personaggi stereotipati allo stesso modo, che coprono tutto lo spettro dei possibili atteggiamenti nei confronti della vita e delle possibili reazioni e modalità di gestione del trauma e della sopravvivenza post-incidente: dal menefreghismo spavaldo e facilone di Eugene (Final Destination 2) e Hunt (Final Destination 4) al cauto scetticismo tinto di terrore di Nora (Final Destination 2) e Candice (Final Destination 5).

 

 

[Nick e Lori cercano di scampare alla Morte in Final Destination 4]


Gli ultimi due capitoli della saga sembrano staccarsi dal corpo abbastanza omogeneo dei primi tre, che hanno l'aspetto e l'anima di tre variazioni sullo stesso tema.

 

Non che 4 e 5 rivoluzionino nulla, anzi; tuttavia si sente che il passo è cambiato, nel bene e nel male. 

Final Destination 4 (anche noto come The Final Destination 3D, la difformità del capitolo è segnalata anche nel titolo stesso) parte con l'incidente al circuito automobilistico.

 

Visione e incidente costituiscono una sorta di prologo, confinati a scene pre-titoli di testa; quando partono questi ultimi si ha una sfilata 3D un po' kitsch di alcune delle morti dei film precedenti, che anticipano le bruttissime visioni di Nick, il protagonista, che costituiscono avvertimenti circa le morti dei sopravvissuti.

Per la prima volta nella saga il protagonista viene attivamente ritenuto un salvatore mai guardato con sospetto, il che ci fa storcere un po' il naso ripensando alla diffidenza e alla perplessità con cui venivano guardate Kimberly e Wendy nel secondo e terzo capitolo.

 

Nick è il primo protagonista maschio dopo Alex.

Alex era normale non venisse creduto, perché era la prima volta che un simile avvenimento soprannaturale aveva luogo (ma lo era davvero?), Nick è il primo uomo ad avere la visione dopo che le modalità di Final Destination sono divenute cose note all'interno della diegesi stessa, e viene creduto.

 

Nel film vengono esplicitate e giustificate alcune contraddizioni degli altri film, ad esempio: 

"Some say the chain can be broken.

Like if you were to intervene into someone's death... that would end it.

But others say unless the chain is broken completely, then you're just chainging the batting order, and sooner or later... you're up."  

 

"Alcuni dicono che la catena può essere spezzata.

Che impedendo la morte di qualcuno ci si possa ritenere al sicuro.

Ma altri dicono che a meno che la catena non venga spezzata completamente, beh, vuol dire che si è solo riusciti a cambiare l'ordine delle morti e che presto o tardi... toccherà a te."

 

Un interessante spunto di questo capitolo è la mini-riflessione meta offertaci dalla scena al cinema, in cui Lori e Janet si "godono" un film in 3D: la detonazione della bomba nel film corrisponde all'esplosione all'interno del cinema che uccide Janet.

Film che, tra l'altro, si intitola Love Lays Dying, nella tradizione allusiva di molti riferimenti della saga.

 

Le due amiche hanno uno scambio molto brillante, che aprirebbe tutta una serie di riflessioni sui generi cinematografici e i pregiudizi sulle preferenze spettatoriali connesse al gender:

"Are you sure you don't wanna come to the movie? It's in 3D." 

"'Love Lays Dying'? Yeah, I think I'll be alright, sounds like a chick flick."

 

"Sei sicura che non vuoi venire a vedere il film? È in 3D."

"'L'amore giace in fin di vita'? Sì, credo possa piacermi, sembra essere un film per donne"

 

 

[I poveri Sam e Molly sul volo 180 per Parigi in Final Destination 5: il cerchio si chiude]

 

 

Nel 2011 la saga si conclude con Final Destination 5.  

 

L'incidente di turno è il pirotecnico crollo del ponte, mentre i nostri protagonisti si trovano sul pullman che li avrebbe dovuti condurre al loro business retreat.

La solita visione è segnata da un importante scarto: il protagonista, Sam, non è l'ultimo a morire.

Vediamo la sua ragazza Molly che lo vede morire e poi termina la visione: l'ordine non è quindi il solito.

 

Collegata a questo elemento è un'altra peculiarità di questo capitolo: Peter, amico e capo di Sam, diventa a un certo punto una sorta di villain accanto alla Morte, in quanto cerca disperatamente di uccidere Molly per far sì che lei prenda il suo posto nel sadico piano mortale.

 

Ma l'inaspettata ed efficace idea di Final Destination 5 è quella che lo rende potenziale capitolo finale perfetto: la sua natura di prequel.

 

Il film termina infatti ricollegandosi al primo: Sam e Molly sono sul volo 180 diretti a Parigi, dove Sam dovrebbe iniziare un nuovo lavoro (a cui si rimanda in diversi punti del film, ma senza che ciò riesca a neutralizzare la sorpresa finale).

I due testimoniano la lite tra Alex e Carter del primo film, lite che avrebbe portato loro e pochi altri a scendere dall'aereo; lui e Molly rimangono ai loro posti, sentendo poi una hostess parlare di un ragazzo che ha avuto la visione di un incidente.

 

Sam impallidisce: è una storia che conosce bene, ma ormai è troppo tardi.

Anche lui e Molly non sono riusciti a scampare alla Morte.

 

La falsa natura di apripista dell'incidente del volo 180, svelata proprio da quest'ultimo capitolo, ci fa dubitare che anche l'incidente sul ponte sia stato il primo in assoluto in cui la Morte ha agito come ha agito.

Forse la storia si ripete sempre uguale e i cinque film che abbiamo visto sono solo cinque esempi delle manovre della Morte; la conoscenza o meno dei meccanismi è riconducibile solo a contingenze geografiche e temporali. 

 

Se questo idealmente potrebbe dare il via a infiniti seguiti, da un certo punto di vista conclude circolarmente la saga mettendo saggiamente un (potenziale) punto: si ritorna là dove siamo partiti, su quel volo dove per la prima volta, in quanto spettatori, abbiamo vissuto vicariamente una visione.

 

Il sapore di "capitolo finale" si ha anche a causa del montaggio che conclude il film: in un quadro nel quadro (che sembra proprio uno schermo cinematografico) vediamo una scena con alcune delle morti dei film precedenti. 

 

Dal 2011 la saga ha taciuto, tranquilla nel cimitero dei franchise conclusi, con una lapide che recita un più che degno epitaffio.

Proprio ultimamente, tuttavia, sembrano esserci alcuni sommovimenti, ribollii, che ci fanno temer-ehm-sperare in un Final Destination 6, a quanto pare futuro Original per HBO Max prodotto da Jon Watts, regista degli Spider-Man con Tom Holland. 

 

Noi aspettiamo, tanto abbiamo imparato che dalla signora incappucciata - e dai revival di saghe morte e sepolte - non è possibile scappare.

 

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