Nato il 3 ottobre 1967 a Trois-Rivières, in Québec, Denis Villeneuve ha all'attivo 9 lungometraggi diretti in 20 anni di carriera. A parte i primi due (Un 32 Août sur Terre e Maelström) non ne ha più scritti da solo, ma nonostante non sia un autore nel senso letterale del termine appare ovvio come si possa definirlo tale grazie alla sua poetica.
Le scelte che fa quando accetta un film da dirigere si inseriscono perfettamente in un'idea di Cinema che lo vede alle prese con storie dai temi e dai dilemmi etici importanti, personaggi che affrontano contraddizioni e lottano per un'identità, figure femminili forti e centrali.
9 film, ma questa è una Top 8: quale sarà il film mancante secondo la redazione di CineFacts.it? Sarete d'accordo con la classifica?
1 di 8
Posizione 8
Maelström - 2000
Un pesce ci racconta la storia tragica di Bibiane, di quello che ha fatto e che dovrà affrontare. Scritto interamente da Villeneuve, al secondo lungometraggio si intravede già la voglia del regista di narrare vicende umane che toccano la morale e l'etica, le contraddizioni e le decisioni da prendere con se stessi e nei confronti del mondo.
Un dramma familiare, un thriller a scatole cinesi, un dilemma etico e tre interpretazioni fuori dal normale.
Jake Gyllenhaal, Paul Dano e Hugh Jackman si sfidano a chi è più bravo, ma è evidente che la mano di chi li dirige ha parecchi meriti in tutto ciò: il film non si dimentica facilmente, ma non è l'unico di questa Top 8 a lasciare questa sensazione.
Terzo film del regista: tratto da una storia vera, la strage avvenuta nel 1989 al Politecnico di Montréal. Il bianco e nero estetizza la violenza che esplode da una situazione di calma apparente, il sangue diventa un liquido scuro e la messa in scena è glaciale, distante.
Le 14 vittime della follia di uno studente furono solamente donne, non a caso: un altro tratto distintivo di Villeneuve che spicca in mezzo al resto.
Il secondo film hollywoodiano del regista, tratto dal romanzo L'Uomo Duplicato del premio Nobel José Saramago.
Il tema dell'identità sfocia qui nel doppelganger, il professore che vede un altro se stesso in un film è l'occasione per un discorso profondo sulla ricerca di sé e sul potere femminile simboleggiato dagli aracnidi, reali o immaginari, che costellano la pellicola.
I narcos messicani e l'FBI, una giovane agente in mezzo a qualcosa di molto più grande di lei, dove le decisioni da prendere in nome di un bene più grande sono spesso decisioni contro la morale e contro le regole: cosa è giusto fare per fare quello che è giusto? Con la splendida fotografia di Roger Deakins (tre in tutto le collaborazioni tra lui e Villeneuve) una storia violenta nella messa in scena e nel concetto di base.
Due gemelli che cercano di ricostruire la propria identità, una madre che diventa una sconosciuta e un padre da riscoprire.
In un gioco tragico di scoperte e rivelazioni, segreti e promesse, un viaggio fisico e psicologico che non lascia scampo e si apre anche alla ricerca dell'identità di un intero popolo.
Il film che fece conoscere Villeneuve a Hollywood grazie alla nomination come Miglior Film in Lingua Straniera agli Oscar 2011.
L'identità è in Arrival quella dell'umanità intera: la conoscenza, il tempo, la comunicazione come crescita e conoscenza. Il primo passo di Villeneuve nella fantascienza è già un passo enorme, con una protagonista-madre che si trova ad affrontare un problema che riguarda tutti ed uno che riguarda se stessa e, mentre nel film ci si chiede chi siamo e cosa ci rende ciò che siamo, in sala ci si domanda cosa faremmo al suo posto.
Due domande che puntualmente tornano in tutta la filmografia villeneuviana.
Con uno dei pochi sequel della Storia del Cinema che non tradisce l'opera originale, Villeneuve accoglie il discorso del film di Ridley Scott e lo porta nel terzo millennio. La scoperta e la ricerca di sé, la presa di coscienza su ciò che siamo e quello che siamo destinati a essere, una madre "impossibile" e delle figure femminili che sono al centro di tutto in una realtà ricostruita che diviene più reale di quella vera.
Tutti i temi del cinema di Denis Villeneuve si incontrano e si palesano nel suo film più maturo e più costoso, più difficile proprio perché più facile da sbagliare e più esteticamente e formalmente riuscito.
Figlio illegittimo del colonnello Kurtz e del tenente Ripley, folgorato sulla via di Dagobah mentre sul chopper di Zed filavo molto karaschò a 88 miglia orarie verso un Overlook Hotel gestito da HAL9000.
A volte mi travesto da donna per fuggire da Charles Foster Palantine, con il quale suonavo blues in missione per conto della Tyrell Corporation.
Bevo White Russian e mangio torta di ciliegie stando in Silencio, ma non vado a letto presto.
Lavoro in TV, canto nei Dymama, sono il Direttore Editoriale di CineFacts.it e non dico mai la parola "morte".