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The Putin interviews - Ovvero: come ho imparato a non preoccuparmi e ad aspettare la fine del mondo

La Storia non passa. Ritorna. The Putin interviews di Oliver Stone lo testimonia 

The Putin interviews è un documentario. 

O, per meglio dire, una miniserie televisiva documentaria.

 

Noi tutti sappiamo che il documentario - non-genere cinematografico neppure ascrivibile alla categoria “film/serie TV” - non interessa a nessuno.

 

Quando scrivo “nessuno” il mio intento non è iperbolico: chiunque sa che il non-genere in questione è utile solo per quelle serate asfittiche, noiose, nelle quali ci sollazziamo - accompagnati da immagini di repertorio e anonime voci narranti - con il ciclo riproduttivo dei cercopitechi o la rivoluzione industriale raccontata da RAI Storia.

 

 

[A proposito di documentari e sesso fra primati, devo dire che ho sempre desiderato il modello ciano-magenta. Capitano! Il tuo spirito mi guida... MALE!]

 

È facile pertanto determinare con assoluta e matematica certezza come queste righe non verranno mai lette da anima viva.

 

Si tratta di semplice logica.

A questo punto, sapendo di rivolgermi a nessuno (eccezion fatta per il sottoscritto), potrei tranquillamente lasciarmi andare ad assurdità sesquipedali, solo per diletto e per il gusto di farlo, dicendo ad esempio che "nei sieri obbligatori (altresì detti “vaccini”, ndr) ci sono nanotecnologie che servono a raccogliere i nostri dati biometrici e, forse, a condizionarli". 

In realtà, nonostante tutto, purtroppo non ho ancora l’autorità per produrmi in ragionamenti così sofisticati, non avendo ancora raggiunto il mio meritato ruolo di europarlamentare.

 

Ma veniamo a noi, torniamo al Cinema, alle serie TV e a The Putin interviews.

 

Il problema, spero vorrete perdonarmi, è che il tema in questione si lega a doppio filo con un’attualità talmente folle da aver “fatto il giro”, trasformandosi così in una realtà fattuale costituita da un mix di grottesco e assurdo.

Di conseguenza è molto complesso scindere l’argomento d’interesse principale dall’attuale guerra di propaganda, fattoidi, o peggio ancora fake news.

 

Per non parlare delle notizie che passano quasi inosservate, riportate da non troppe testate giornalistiche italiane.
Elementi che, se messi assieme, danno vita al concetto di infodemia.

 

La possibilità di misinterpretazione è quindi abbastanza elevata; pertanto, per quanto possibile, cercherò di far valere le ragioni della penna e del raziocinio, sperando che siano sufficienti per fugare dubbi o speculazioni di sorta sullo scrivente.

 

[Il trailer di The Putin interviews]

 

 

La prendo da lontano, lontanissimo.

 

In una recente puntata di uno dei talkshow più seguiti d’Italia, il conduttore ha interrotto il vivacissimo dibattito per sottolineare - cellulare alla mano - come un suo collega/amico lo avesse contattato in quel momento per segnalargli una cosa: in una sua intervista a Silvio Berlusconi del 2015, poi trascritta all’interno di un libro, l’ex Presidente del Consiglio affermava che Vladimir Putin, in quel periodo, si riferiva agli USA come a “i nostri amici americani” o “i nostri alleati americani”.

 

L’anfitrione del salotto televisivo, tra il meravigliato e il ficcante, ha quindi sollecitato una domanda ai suoi ospiti: 

“Se Putin in quel momento stava davvero abbracciando l’Occidente, cosa ha fatto l’America o la NATO per fargli cambiare idea?

Cosa è successo?”

 

A prescindere dalla risposta, più o meno evidente a seconda di come la pensiate e di come interpretate il mondo circostante (e soprattutto poco rilevante in questa sede), c’è un altro quesito che mi è balenato nel gulliver: com’è possibile che questa considerazione televisiva, nel 2022, a fronte della gravità delle contingenze attuali, sia stata smossa da un messaggio su Whatsapp?

 

La stessa identica dinamica era visibile, ed è tutt’ora visibile - direttamente e senza "filtri" - in The Putin interviews, documentario disponibile su Prime Video dove il regista-intervistatore Oliver Stone si meraviglia in prima persona di questo atteggiamento, di queste stesse parole, pronunciate davanti alla sua macchina da presa da “l’ultimo Zar”.

 

 

[Notizie "di prima mano" in diretta]

 

 

Incuriosito, mi sono rivolto al signor Google per un piccolo controllo. 

 

I risultati per la chiave di ricerca “The Putin interviews” sono desolanti.

 

Se si aggiunge “recensione” abbiamo qualche timido miglioramento, anche se, stando a quanto ci mostra il motore di ricerca, il documentario non ha suscitato grande interesse nella stampa italiana, salvo un pugno di analisi di testate cinematografiche e qualche “articolo-megafono” che fa da eco alle polemiche statunitensi sulla “morbidità” delle domande e al presunto “filo-putinismo” di Stone.

 

William Oliver Stone, filmografia alla mano, è sempre stato un autore dedito al racconto di fatti storici, anche attraverso investigazioni e interpretazioni politiche.

Basti pensare a SalvadorPlatoon, Talk Radio, JFK - Un caso ancora aperto, World Trade Center, W., o al suo ultimo film di fiction risalente al 2016, Snowden.

 

L’impegno narrativo e politico di Stone è ancora più evidente se si considerano i suoi lavori come documentarista, visto che nel corso degli anni ha intervistato due volte Fidel Castro, ha presentato il suo ritratto del presidente venezuelano Hugo Chàvez, e ha ri-raccontato la Storia degli USA (con un focus specifico sulla Guerra Fredda) in Oliver Stone - USA, la storia mai raccontata.

 

Tematiche riprese in saggi scritti dal pugno dello stesso regista che, dopo essere stato un reaganiano convinto, da anni è sostenitore del Partito Democratico, tanto da aver supportato pubblicamente le candidature di Barack Obama e di Bernie Sanders per la corsa alla Casa Bianca.

 

[Il trailer ufficiale di Platoon, la testimonianza diretta di Oliver Stone sulla Guerra del Vietnam]

 

 

Completa il quadro politico del signor Stone, credo, la sua presenza in Vietnam come volontario durante la guerra, dove partecipò a diverse azioni, venne ferito due volte e si guadagnò la Bronze Star Medal al valore e la Purple Heart Medal.

 

Esperienza che, successivamente, riversò nel suo Platoon, vincitore di 4 Premi Oscar e dell’Orso d’argento a Berlino per la Migliore Regia.

 

Partiamo dalla fine di The Putin interviews: al termine del ciclo di interviste - diluite in 12 sedute per un totale di 30 ore di girato - Vladimir Putin chiede a Oliver Stone: “È mai stato picchiato?”.

Il regista, visibilmente spiazzato, risponde che sì, certo, in vita sua gli è capitato.

“Bene, si prepari, perché a causa di questa intervista la cosa si ripeterà”.

 

A ben vedere, osservando la reazione media delle testate statunitensi all’uscita del documentario, non si può dire che l’autocrate nato a San Pietroburgo (all’epoca Leningrado) avesse torto.

 

Secondo il Daily Beast il film è “una spudoratamente irresponsabile lettera d’amore a Putin”, la CNN sostenne che The Putin interviews dice “tante cose su Vladimir Putin quante ne dice su Oliver Stone”.

 

 

[A prescindere da giudizi politici, in The Putin interviews si palesa tutta l'abilità registica di Stone. L'autore newyorkese arriva persino a "giocare" con il suo interlocutore, posizionandolo, dirigendolo come un attore per costruire la scena e poi inserendo questi momenti nel montato finale]

 

Il regista di Wall Street, dal canto suo, nicchiò dicendo che: 

“Putin è uno dei leader più importanti al mondo e visto che gli Stati Uniti l’hanno dichiarato un nemico, penso sia importante che gli statunitensi ascoltino quello che ha da dire.

Voglio evitare un ulteriore peggioramento delle relazioni”.

 

Quindi: la verità da che parte sta?

Oliver Stone è un pericolosissimo sobillatore rosso come John Reed, oppure il documentario racconta qualcosa di utile per la contestualizzazione dei fatti del presente e di uno dei suoi principali artefici?

O entrambe le cose?

 

Procediamo con ordine: prima di tutto va detto che il film di Stone, a mio avviso, è stato pensato, girato e montato in maniera assolutamente efficace.

Lo stesso non si può dire - in toto - per la scrittura (delle domande), ma questo lo vedremo fra poco. 

Ad ogni modo, mostrare un’intervista di 4 ore con due persone sedute che parlano per l'80% del montato, poteva portare a un prodotto finale granitico, difficilmente digeribile per lo spettatore.

 

Il regista è stato invece abile nell’utilizzare la sua esperienza professionale per “dare movimento” al film attraverso la sua presenza scenica, ad alcuni momenti - time paradox - umoristici e qualche domanda ben piazzata, a mio avviso scomoda per il ricevente.

 

 

[Una legge del 2013 vieta in Russia qualunque propaganda che inviti all'omosessualità o sostenga il messaggio della libertà per la comunità LGTBQ+]

 

Ci tengo a sottolineare quel “qualche” perché Stone, nonostante i quesiti sulla scarsissima pluralità di espressione a mezzo stampa presente in Russia, sui diritti degli omosessuali (o più in generale sulla comunità LGBTQ+), sulla natura semi-imperiale della sua carica e sull’assenza di un’opposizione politica effettiva, ha omesso - almeno nel montato finale - fatti e nomi importanti come ad esempio quelli di Vladimir Vladimirovich Kara-MurzaAleksandr Val'terovič LitvinenkoAnna Stepanovna Politkovskaja (l'elenco potrebbe continuare, mi rendo conto).

 

Tuttavia, credo, sarebbe bello se magari chi lancia accuse o difende strenuamente determinate posizioni del caso specifico si possa domandare quali fossero le “regole d’ingaggio” accordate per questa intervista.

Parliamo comunque di una serie di colloqui avvenuti all’interno del Cremlino (o nelle residenze personali di Putin) con il leader di una delle principali superpotenze del mondo.

Ex agente sul campo del KGB, oltretutto.

 

Non un ambiente propriamente confortevole, ben diverso da un dibattito pubblico con tanto di moderatori e platea di astanti. 

La questione non è se Oliver Stone sia un traditore, artefice di un panegirico putiniano.

 

Non guardiamo il dito, per favore, ma la Luna.

 

 

[Oliver Stone è davvero un sostenitore di Vladimir Putin? Lo lascio stabilire a voi]

 

The Putin interviews è un contenitore pieno di informazioni interessanti, se si sa ascoltare e osservare con attenzione.

 

Per quanto l’intervistato sia notoriamente un maestro di dissimulazione e padrone della prossemica, in 4 ore di filmati è facile vedere reazioni nervose, sorrisi, sentire risposte stizzite, frasi concilianti e, soprattutto, ascoltare degli scambi - piuttosto indicativi e illuminanti - sulla situazione bellica attuale.

 

Perché in The Putin interviews si parla ovviamente di Donbass, Ucraina, Georgia, Crimea, Afghanistan, Siria; e poi di Guerra Fredda, degli accordi di Minsk, della narrativa de “L’Impero del Male”, delle accuse bilaterali di intromissione nel voto democratico tramite hacking, del Korean Air Lines 007 e dei ripetuti rischi di attacchi/incidenti atomici con conseguente cancellazione della scimmia umana. 

Putin racconta l’avvicinamento della Russia all’Occidente e presenta la sua visione della lotta al terrorismo portata avanti congiuntamente con gli States e l’Europa e dell'avanzamento della NATO in contraddizione dell'accordo verbale (sic!) "Not One Inch".

 

Attraverso il film di Stone ci è possibile ascoltare la sua visione degli statisti russi del passato, da Nikita Chruščëv a Michail Gorbačëv, passando per Borís Nikoláevič Él'cinJosif Stalin (peculiare la sua visione sulla “demonizzazione” del personaggio); un attimo dopo inorridiamo per le dichiarazioni misogine e velatamente omofobe; si può arrivare persino alla risata - ovviamente seguita da una sensazione di disagio, vista l’attualità - nel momento in cui racconta il ciclico riproporsi della propaganda del “pericolo rosso” a ogni elezione negli Stati Uniti.

 

A prescindere dalla percezione - palese - che Stone concordi con la visione di Putin su molti aspetti del passato, specialmente quelli che coinvolgono gli Stati Uniti (come ad esempio le guerre d’esportazione democratica in Medio Oriente o il caso esplosivo di Edward Snowden), continuo a pensare che questo documentario non serva a dirimere colpe o comprendere le parti in maniera empirica e assoluta.

Per il semplice fatto che è impossibile, visto quel groviglio - spesso nefando - che è la Storia dell'Uomo.

 

The Putin interviews è, a mio avviso, un indicatore.

 

Una produzione audiovisiva piena di dettagli, di spunti, di omissioni, di orrori.

 

 

[La rappresentazione dell'idiozia umana firmata Stanley Kubick]

 

Per assurdo la segnalazione peggiore ci arriva tramite il Cinema, grazie a un certo Stanley Kubrick.

 

Nel corso dei colloqui, Stone scopre infatti che l'intervistato non ha mai goduto di una visione de Il dottor Stranamore - Ovvero: come ho imparato a non preoccuparmi e ad amare la bomba.

 

L'occasione è troppo ghiotta. Il regista la coglie.

 

E noi osserviamo, incuriositi, spiando le reazioni del presidente russo.

Le smorfie poco convinte, i sorrisi tirati.

Alla fine, sul tragicomico epilogo del film, con le esplosioni atomiche accompagnate dalle note della malinconica We’ll meet again di Vera Lynn, arriva il commento - indefinibile tramite aggettivazione - di Putin: 

“Ci sono alcuni aspetti di questo film che ci dovrebbero far pensare, nonostante sia una divertente ricostruzione.

Presenta dei motivi di preoccupazione che definirei molto seri.

Questa è una minaccia che esiste realmente: non sono affatto situazioni basate sul nulla.


Il fatto è che da allora non è cambiato quasi niente.

L’unica differenza è che i moderni sistemi d’arma sono diventati più sofisticati, ma l’idea di un’arma finale e l’impossibilità di controllare efficacemente questo genere d’armi è un problema sicuramente esistente ancora oggi, anzi è diventato ancora più grave”

 

 

[Dunque: a cosa serve il Cinema?]

.

Alla luce di quanto sta accadendo, non solo in Ucraina, The Putin interviews non è un semplice documento post-predittivo degli orrori - bellici, mediali, propagandistici e sociali - che si stanno palesando nel mondo; il documentario di Oliver Stone è - anche e soprattutto - una testimonianza, un tassello del mosaico che definisce inesorabilmente la follia collettiva che stiamo vivendo da anni e che ci sta (spero di sbagliarmi) conducendo in terreni molto scivolosi e oscuri.

 

Quella rappresentata e portata avanti da governi, lobbies e singoli individui che - nell’anno di grazia 2022 - si ostinano a perseguire ossessivamente la logica del guadagno, di politiche di potenza e dell’egemonia economica/territoriale ottenuta per mezzo di quell’aberrazione disgustosa chiamata guerra.

 

Coloro che accettano ancora la MAD, che hanno dimenticato il Tenente Colonnello Stanislav Evgrafovič Petrov (grazie sempre), o che più semplicemente ignorano la sua storia, relegandola allo status di leggenda o evento dimenticabile.

 

La lastra di ghiaccio è sottile, idioti scellerati. 

Fermatevi.

 

- The Putin interviews, Oliver Stone, 2017

 

Buonanotte e buona fortuna, amici della notte.

Ricordatevi di evitare la contaminazione dei preziosi fluidi vitali.

 

 

 

 

Nota al lettore: scrivere di un prodotto audiovisivo come The Putin interviews di questi tempi potrebbe essere interpretato come un atto di sensazionalismo o una presa di posizione fra le parti (nessuna nello specifico, siano essi "invasi, invasori o invasati" cit.).

Chi scrive, al contrario, mira a una maggiore consapevolezza comune, acquisibile attraverso la ricerca, lo studio, la documentazione, la visione di qualsiasi contenuto possa alimentarla attraverso il giudizio critico. 

In poche e semplici parole: vogliamo credere alla narrazione del “nuovo Hitler”?

Perfetto, cominciamo con il leggere (mutatis mutandis) anche il Mein Kampf.

 

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Questo articolo è stato scritto da un hater della guerra e, soprattutto, di una certa imbecillità umana.

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2 commenti

menalcoholic

2 anni fa

Grazie delle osservazioni! Ammetto che avevo formulato quelle domande con intento prevalentemente retorico, ma mi trovo a condividere con ciò che mi hai risposto. Dev'essere dura fare il vostro lavoro di questi tempi!

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Adriano Meis

2 anni fa

Ciao! Prima di tutto ti ringrazio per i complimenti.
La tua domanda mi posiziona su un terreno scivoloso: cercherò di destreggiarmi con agilità, evitando fraintendimenti.
La mia volontà di circostanziare il più possibile quanto ho scritto nasce prima di tutto dal desiderio di fornire al lettore ogni elemento possibile (qualora gli mancasse) per farsi un'idea indipendente.
Insomma, è semplice zelo di articolista.
Se poi stai chiedendo se secondo me stiamo vivendo un clima mediatico/informativo da "caccia alle streghe", dove uno dei principali quotidiani nazionali definisce la marcia per la Pace di Perugia-Assisi come un "insulto alle vittime ucraine" (uno dei tanti esempi che potrebbero venirmi in mente)... Sì, lo credo. Ma è un discorso complesso, relativo ad argomenti che esulano da questo articolo e dal Cinema.
Diciamo che sono ben lieto di non aver dovuto analizzare in profondità la situazione geopolitica/bellica attuale: mi sarei trovato in forte difficoltà.

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