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Pasolini, Lanthimos e il sesso morboso - Cinerama 05

Disamina di una rappresentazione non convenzionale

[Attenzione: alcuni contenuti potrebbero non essere adatti a un pubblico di minori]

 

Uno strano asse quello tra Yorgos Lanthimos e Pier Paolo Pasolini, accomunati da una disincantata, e morbosa, visione del sesso.

 

In una prospettiva ideale potremmo considerare il sesso come una suprema espressione di vitalità, dotata tanto di finalità riproduttive quanto di connotati ludici, almeno secondo un approccio tradizionalista.

Nella realtà, è però evidente come ciò sia semplicistico, se non addirittura errato.

 

Ad esempio, il sesso, storicamente, si è spesso strettamente legato al potere, del quale è diventato in certi casi diretta emanazione.

 

Un sesso inteso come un qualcosa in grado di consolidare i rapporti di forza preesistenti, da molteplici punti di vista, sociali, politici o economici che siano, e capace di perdere tutte le sue sfumature primigenie.

 

In una prospettiva anti-vitalistica potremmo, superficialmente, considerare anche diverse parafilie, dalle più innocue alle più deprecabili, ma tale approccio sarebbe legato a una visione classica, eteronormata e connessa a certe dottrine religiose, che mal si sposerebbe con i progressi delle scienze.

 

Cercheremo, quindi, di non addentrarci in considerazioni di carattere psicologico e sessuologico, rifuggendo da facili giudizi morali, ahimè già troppo comuni.

 

Fatte queste dovute precisazioni, passiamo al comparto cinematografico, iniziando con quel geniaccio di Pier Paolo Pasolini.

 

 

[Pier Paolo Pasolini]

 

Il sesso, per l'intellettuale bolognese, è sempre stato una componente centrale, sia nella sua complessa esperienza biografica che nella produzione artistica.

 

Dichiaratamente omosessuale, egli fu al centro di numerose polemiche, e processi, sia in merito alle proprie controverse attività sessuali, che spesso coinvolgevano minorenni, sia riguardo le proprie opere.

 

In un caso come il suo, scindere l'uomo dall'artista sarebbe errato.

 

Il tradizionale approccio critico, tipicamente novecentesco ma in grado di sopravvivere ancora oggi, si è sempre schierato a favore di questa divisione, che però si è dimostrata, a più riprese, fatalmente fuorviante.

 

Nel corso degli anni, sono infatti emerse numerose figure esemplari, segnate da una marcata sovrapposizione tra privato e pubblico.

Per quanto concerne la Settima Arte, in Italia è stato il caso, oltre a Pasolini, di Luchino Visconti, anch'egli omosessuale.

 

Mai come nei loro due casi il privato è divenuto pubblico e politico, ed ha finito per giocare un ruolo fondamentale nel loro corpus artistico, che risulterebbe monco se decidessimo di ignorare tale aspetto.

 

 

[Luchino Visconti con Helmut Berger]

 

Concentriamoci ora, però, sull'ultima fase della filmografia pasoliniana, per compiere un'analisi concreta.

 

Il sesso, per il regista, aveva già avuto grande rilevanza negli anni Sessanta, basti pensare allo pseudo-documentario Comizi d'amore e a Edipo Re, ma nel '68 Pasolini giunge a un bivio, così come l'Italia intera.

 

Egli, pur essendo stato iscritto al PCI, si oppone aspramente alle istanze studentesche, e monta ben presto una feroce polemica.

 

Gli studenti rivoluzionari sono bollati, in tempi non sospetti, come "dei borghesi […] profondamente conformisti", e una critica viene lanciata anche al ceto borghese della generazione precedente, quella dei padri dei contestatori, che aveva tranquillamente convissuto, se non collaborato, col regime fascista.

 

La tanto esaltata Rivoluzione Sessuale verrà poi amaramente commentata da Pasolini poco prima di morire, nel 1975, con parole tremendamente attuali:

 

"La libertà sessuale […] è in realtà una convenzione, un obbligo, […] una caratteristica irrinunciabile della qualità di vita del consumatore.

Insomma, la falsa liberalizzazione del benessere ha creato una situazione […] insana…".

  

Inevitabilmente tale presa di posizione, opposta alla linea comunista, si riversa nelle sue pellicole.

 

Le dicotomie si esasperano, gli scontri si acuiscono, e il sesso diventa oggetto sempre più esasperato delle sue riflessioni, che raggiungono due fasi parossistiche, che vedremo in seguito.

 

 

[Frame da Comizi d'amore]

 

Sull'onda del fervore crescente, Pasolini lancia già nel 1968 Teorema, che analizza, in modo tagliente, il ruolo del sesso nel disfacimento di una famiglia borghese, tanto economicamente stabile quanto psicologicamente instabile.

 

Tralasciando Medea, poco rilevante ai fini del nostro discorso, nel 1969 è la volta del controverso, e poco noto, Porcile.

 

Il film, diviso in due segmenti, mira a denunciare la cattiva influenza dei genitori sui figli, in una prospettiva, ancora una volta, decisamente antiborghese.

 

Il primo episodio, di nostro interesse, racconta la storia di Julien, giovane tedesco assuefatto dal conformismo della sua famiglia, borghese e benpensante.

La sua è una vita agiata e tranquilla, fatta però di implicite repressioni, perpetrate soprattutto dal padre.

 

Unica, perversa, valvola di sfogo diventa la zoofilia, nei confronti dei maiali, tristi simboli del decadimento della sua esistenza.

 

La sua penosa parabola, durante la quale rifiuterà di sposarsi, lo condurrà a un atto estremo, quando, nell'epilogo, egli si farà divorare proprio da quei maiali.

 

 

[Porcile]

 

Ma è nel 1971 che Pasolini giunge a un punto di svolta, con l'uscita de Il Decameron, primo tassello della Trilogia della Vita.

 

In questo trittico, il regista, che agisce anche come sceneggiatore, si pone ancora una volta in posizione antitetica rispetto al sesso cosiddetto "liberato", che in realtà risulta incatenato da una serie di rigidissime convenzioni.

 

Egli vuole rappresentare una sessualità veramente libera, vitalistica tanto quanto edonistica, capace di superare i diffusi pregiudizi e di mostrarsi nella sua semplicità, come primordiale espressione dell'istinto umano.

 

Per farlo, individua tre opere letterarie di primissimo piano, il Decameron di Giovanni Boccaccio, I racconti di Canterbury di Geoffrey Chaucer e Le mille e una notte, per due ragioni principali: la loro rilevanza artistica e la loro collocazione spazio-temporale.

 

Sono infatti proposte tre ambientazioni fortemente simboliche, quasi utopiche, in grado di rappresentare alla perfezione dei tempi e dei luoghi associati a un'idea di sessualità liberata: la Napoli e l'Inghilterra dell'età precomunale e l'Oriente, rappresentato in senso lato.

 

 

[Pasolini che, ne Il Decameron, interpreta un allievo di Giotto]

 

Ne Il Decameron, in particolare, Pasolini mutua da Boccaccio un'atmosfera giocosa e sessualmente disinvolta, e la infarcisce di parecchie sequenze esplicite, tra cui un famoso nudo maschile, per di più mostrato dal punto di vista di una suora, in soggettiva.

 

All'uscita il film ottiene una grandissimo successo al botteghino, soprattutto per il notevole contenuto erotico, ma si attira diverse critiche da parte dell'intellighenzia comunista, che accusa Pasolini di aver confezionato una pellicola apolitica.

 

Il regista risponde però a tono, sostenendo come la politica sia presente proprio in quel "cazzo […] sullo schermo".

 

Tale scelta, decisamente sorprendente per l'epoca visto l'abbattimento del super-freudiano tabù sul nudo maschile, risulta infatti fortemente politicizzata, ma in senso apartitico.

 

Nella sua trilogia Pasolini non vuole creare un'opera di propaganda, ma, piuttosto, scardinare le rigide limitazioni sulla rappresentazione del sesso.

 

I suoi film diventano impegnati, in una prospettiva di ampio respiro, proprio perché rifiutano l'autocensura, proprio perché superano esplicitamente le convenzioni borghesi del tempo, che sembravano già aver soffocato la presunta Rivoluzione Sessuale.

 

 

[Il Decameron]

 

I racconti di Canterbury, pellicola uscita nel 1972, si pone invece in una posizione ambigua all'interno della trilogia, anticipando, per certi versi, il secondo momento parossistico, quello segnato dall'uscita di Salò o le 120 giornate di Sodoma.

 

Pasolini abbandona i toni leggeri del primo capitolo, e mostra una sessualità che, in certi frangenti, sembra tornare sotto l'ombra del potere, sia politico che religioso.

 

Significativa è una delle novelle presentate, quella del diavolo, che mostra un impianto iniziale basato su uno schema di duplice voyeurismo.

 

Un uomo, seguito da un'altra misteriosa figura, spia infatti alcune coppie di omosessuali, ma non per piacere.

Egli si rivela, infatti, essere un aiutante del vescovo, al quale denuncia, per denaro, i reati di sodomia.

 

Gli inquisitori si recano quindi da due coppie: la prima, composta da un vecchio pederasta e un giovane ragazzo, evita la pena dopo aver corrotto le guardie, mentre un uomo della seconda viene condannato al rogo, dopo aver scoperto la complicità del partner, in quanto sprovvisto di denaro sufficiente.

 

Le altre novelle selezionate, e rimaneggiate, non presentano vicende altrettanto significative, ma i toni sono comunque, in generale, più oscuri e pesanti rispetto alla fervida utopia del primo capitolo del trittico.

 

 

[Ninetto Davoli, alias Perkin il festaiolo, in una sequenza onirica a sfondo sessuale]

 

Il progetto della trilogia, completata nel 1974, si arena però ben presto.

 

Sul modello de Il Decameron sorge infatti uno scabroso filone di pellicole d'exploitation, i "decamerotici", che si basano anch'essi sulle novelle boccaccesche (per poter superare indenni la censura) ma che si avvicinano alla mera pornografia, tradendo in toto l'impianto teorico di Pasolini.

 

Il regista capisce ormai come la sessualità sia ormai diventata, proprio dopo il Sessantotto, un oggetto commerciale, e nel 1975 prende atto di come i suoi propositi, in merito alla trilogia, siano totalmente falliti, pur non rinnegando le sue azioni.

 

Si riserva comunque il "diritto di […] continuare a provocare", in particolare con il suo nuovo progetto, rimasto incompiuto, la Trilogia della Morte, contraltare in negativo della prima.

 

Il solo capitolo realizzato, Salò o le 120 giornate di Sodoma, mostra però chiaramente le idee di Pasolini, e rappresenta il secondo culmine della sua riflessione sul sesso, che ora diventa profondamente morboso e considerato come "obbligo e bruttezza".

 

Culmine molto più estremo rispetto al primo parossismo, il che rende la pellicola una delle più controverse del regista, se non del Cinema tutto.

Nell'analisi di quest'opera, punto centrale nel discorso su Pasolini, abbonderò di citazioni, per fornire nella maniera più oggettiva possibile la visione dell'autore.

 

Nel film, ispirato a un romanzo incompiuto del marchese de Sade, le vicende vengono collocate nella Repubblica di Salò, emblema del decadimento politico e morale, e la sessualità torna sotto il controllo opprimente, ed esplicito, del potere, "quel potere che trasforma gli individui in oggetti".

 

Tale contesto è fortemente metaforico, "simbolo" di un "potere arcaico", in quanto rimanda anche al nero avvento del neocapitalismo, odiato da Pasolini a tal punto da essere definito una "nuova forma di fascismo".

 

 

[Vittime e Signori a confronto]

 

Il tutto rende Salò... una pellicola dal marcatissimo taglio politico, che riversa la propria anima nella disillusa concezione del sesso.

 

Sesso inteso come "una metafora del rapporto del potere con chi gli è sottoposto", un potere che viene anche definito come "anarchico" in quanto completamente arbitrario nelle sue emanazioni, vista, per l'appunto, la sua totale libertà di azione.

 

L'atmosfera generale della pellicola si evince già dalla prima battuta, pronunciata da uno dei quattro Signori: "tutto è buono quando è eccessivo".

 

Nelle primi minuti è subito chiarita la natura decisamente innovativa del prodotto filmico, visto il completo sdoganamento del nudo integrale, per esempio nella sequenza della selezione delle diciotto vittime.

 

Di lì in avanti si aprirà poi una spirale di perversioni sempre più estreme, già esplicitate durante la lettura del regolamento sulla prigionia. 

Vittime e carnefici, infatti, "si accoppieranno incestuosamente, adulterinamente e sodomicamente".

 

Il terribile soggiorno è presentato allo spettatore diviso in quattro segmenti, quello dell'Antinferno e tre successivi Gironi.

 

 

[Il grottesco matrimonio tra due vittime]

 

Il primo Girone, quello "delle manie", è introdotto da una tagliente parodia di un salottino borghese.

 

La signora Vaccari, una delle quattro Megere, racconta infatti ai presenti le sue insolite avventure erotiche, e il tutto è confezionate in modo palesemente antitetico, visto l'utilizzo di un lessico forbito e l'accompagnamento musicale di un pianoforte

 

Il secondo Girone, quello "della merda", vede invece al timone delle narrazioni la signora Maggi.

 

La scabrosità, come suggerisce il nome del girone, aumenta, e le scene disturbanti non si contano.

Si passa da una serie di sequenza sulla coprofagia, tra cui un grottesco pranzo di nozze, a un concorso per il "deretano più bello".

 

Il terzo, ed ultimo, Girone, quello "del sangue", ci porta alla degenerazione massima.

 

Le pratiche estreme sfociano infatti nella tortura e nel sadomasochismo, toccando addirittura la necrofilia, arrivando poi all'ambiguo finale.

 

 

[Il concorso per il "deretano più bello"]

 

Una visione sicuramente estenuante, quella di Salò..., mitigata solo dalla volontà del regista di rendere impossibile una connessione empatica tra spettatore e vittime, appesantita però dall'istintivo raffronto con la Trilogia della vita.

 

Sfidando la morale comune nella scelta delle tematiche e delle immagini, Pasolini sembra dirci, citando le parole di uno dei Signori, che i gusti, "per barocchi che essi siano" sono "tutti rispettabili", almeno fino a un certo punto, non senza una certa autoreferenzialità biografica.

 

Chissà cosa ci avrebbe riservato il secondo capitolo del secondo trittico, Porno-Teo-Kolossal, con la sua Milano neocapitalistica travasata nell'immagine biblica di Gomorra, città del peccato.

 

 

[Una delle tante sequenze bizzarre, ed estreme, di Salò...]

 

Attraversiamo ora l'Adriatico, per finire in terra ellenica, ai piedi di uno dei cineasti più sorprendenti del panorama contemporaneo, Yorgos Lanthimos.

 

Il regista greco, che ha all'attivo sette lungometraggi, ha infatti saputo creare uno stile personalissimo, tanto dal punto di vista visivo quanto da quello contenutistico, riuscendo a varcare le Colonne d'Ercole per affermarsi anche Oltreoceano.

 

Delle sue ultime cinque pellicole, le più celebri, quattro sono proiettate in società distopiche, e anche la quinta, La favorita, sembra lambita da tale caratteristica.

 

La sua peculiare impronta stilistica è imperniata su uno straniamento di matrice brechtiana, in grado di rifuggire da una semplice immedesimazione, e sulla recitazione simil-epica dei suoi attori, che spesso rendono i personaggi quasi consci della loro natura finzionale.

 

Gli ultimi undici anni della sua produzione, iniziati con Kynodontas, hanno visto due sostanziali evoluzioni.

 

La prima dal punto di vista visivo, con un progressivo accentuarsi degli artifici tecnici stranianti, esasperati ne Il sacrificio del cervo sacro, la seconda dal punto di vista diegetico, con graduale condensazione (non riduzione) dell'elemento distopico.

 

Nei mondi inquietanti delle sue opere, sceneggiate a quattro mani con Efthymis Filippou, eccetto l’ultima, il sesso riveste una certa importanza.

Il come esso sia rappresentato ci dà una chiara idea dello stile, e delle idee, del regista.

 

 

[Yorgos Lanthimos]

 

Come detto, cinque saranno le pellicole prese in considerazione.

 

La prima è Kynodontas, uscita nel 2009 e vincitrice del premio Un Certain Regard al Festival del Cinema di Cannes.

 

È raccontata la singolare, e grottesca, storia di un'agiata famiglia greca di cinque componenti.

 

Tre figli sono infatti segregati in casa dai genitori, che li hanno educati su come sia dannoso varcare le mura della proprietà, quasi proponendo una strana versione de L'angelo sterminatore di Luis Buñuel, con il quale condivide un forte antiborghesismo, comune anche a Pasolini.

 

L'atmosfera è surreale, e i genitori giungono a trasfigurare il significato di parole e oggetti, intessendo una fittissima rete di menzogne, costruendo un microcosmo a sé stante.

 

È così che una "fica" diventa una "lampada" e un gatto un terribile mostro assassino, in grado di uccidere il quarto figlio, allontanatosi da casa prima delle vicende narrate.

 

Il sesso trova, in termini di tempo, poco spazio nella pellicola, ma quando lo fa la sua forza è dirompente, in negativo.

 

 

[Il padre che inscena di essere stato colpito dal temibile Gatto]

 

Gli amplessi tra i coniugi sono tremendamente meccanici e freddi, e fungono quasi da valvola di sfogo per l'enorme peso del loro castello di falsità.

 

Simile è il rapporto tra l'unico figlio maschio e Christine, donna alla quale è ammesso entrare in casa, con rigide regole, solo per placare gli istinti sessuali del giovane uomo.

 

Un giorno, però, la donna interagisce con una delle due figlie, la maggiore, proponendo un singolare scambio: un cunnilingus per un cerchietto per capelli.

La ragazza, ignara del significato del gesto, accetta senza remore, ottenendo così la sua ricompensa.

 

La stessa dinamica viene riproposta una seconda volta, ma in questo caso Christine cede alla giovane due VHS, che, successivamente, turberanno i delicatissimi equilibri della famiglia, nella quale ogni forma d'arte è proibita.

 

Il tutto verrà poi traslato al rapporto tra le due sorelle, arrivando all'incesto, con la maggiore che arriverà, nel frattempo, a maturare un'amara consapevolezza sulla propria situazione.

 

 

[Angeliki Papoulia e Mary Tsori interpretano le due sorelle]

 

Secondo e quarto film, Alps, del 2011, e Il sacrificio del cervo sacro, del 2017, presentano invece una ridotta presenza del tema sessuale, sia in termini quantitativi che qualitativi.

 

Alps, forse il meno riuscito dei cinque, è focalizzato infatti sull'elaborazione del lutto, presentando le vicende di un gruppo di persone che, a pagamento, interpretano le parti di uomini e donne recentemente scomparsi.

 

Una forte riflessione meta-cinematografica, che tanto deve alla lezione brechtiana, in cui il sesso, ancora una volta, è privato di ogni emozione, di ogni spinta vitalistica.

 

Anzi, nel caso di un vedovo inglese, esso diventa elemento sì per scacciare la morte, ma ancor di più per allontanarsi dalla realtà, dalla vita.

 

I corpi della moglie-attrice e dell'uomo sono pesanti, si muovono come ingranaggi, e le frasi che la donna deve ripetere (seguendo il copione) rendono l'amplesso ancora più artificioso.

 

Lanthimos sceglie poi di mostrare senza filtri le fasi preliminari dei rapporti sessuali, totalmente svuotate di pathos, e il suo occhio priva le azioni di ogni carica emotiva tradizionale, rendendole decisamente stranianti.

 

 

[Ariane Labed in Alps]

 

Allo stesso modo è rappresentato, ne Il sacrificio del cervo sacro, il rapporto (veramente) coniugale tra uno stimato chirurgo e la moglie, nel letto della loro lussuosa casa.

 

La donna, interpretato da Nicole Kidman, si stende infatti rigidamente sul letto, quasi fosse in sala operatoria, aspettando l'intervento, tutt'altro che passionale, del marito, impersonato da Colin Farrel.

 

Anche in questo caso il contesto è borghese, e anche in questo caso il sesso può essere considerato in due modi, o come mero sfogo di istinti o come forzato rito di coppia.

 

Diverso è il caso di The Lobster, pellicola che inaugura il periodo americano del regista, nel 2015.

 

È assente la componente antiborghese, ma rimane prominente l'elemento distopico, vista l'ambientazione in una società nella quale non è permesso non avere un partner, pena la trasformazione in animali.

 

Nell'hotel nel quale sono condotti i single la masturbazione è severamente vietata, e le cameriere vengono inviate nelle varie stanze solamente per eccitare gli ospiti, lasciandoli frustrati.

 

Emblematica è la scena in cui una cameriera, interpretata da Ariane Labed, moglie di Lanthimos, entra nella stanza del protagonista, David, per svolgere il suo compito, ovvero provocargli un'erezione.

 

Altra scena attinente alla nostra analisi è quella del rapporto sessuale tra David e una misteriosa donna senza cuore, Angeliki Papoulia, attrice già presente nelle due pellicole greche sopracitate.

 

Per l'ennesima volta la sequenza è fredda e asettica, ma viene giustificata dal contesto dell'azione, quello dell'albergo finalizzato, per l'appunto, alla creazione di coppie.

 

 

[Colin Farrel ne Il sacrificio del cervo sacro]

 

Come ultima pellicola abbiamo La favorita, che ha portato il regista alla definitiva consacrazione, raccogliendo ben 10 candidature ai Premi Oscar.

 

Il film, qui recensito, è ambientato nella corte reale inglese del primo Settecento, e racconta le vicende di un terzetto tutto al femminile.

 

La triade è composta dalla Regina Anna, interpretata da una superba Olivia Colman, premiata con l'Oscar, dalla sua fidata consigliera (e amante) Sarah, impersonata da Rachel Weisz, e dalla nobile decaduta Abigail, Emma Stone.

 

Tra le tre si innesca rapidamente un complicato triangolo relazionale, fatto di sotterfugi politici e di mosse sempre ben calibrate.

 

Nelle prime fasi del film vediamo Abigail, cugina di Sarah, giungere a corte, ormai caduta in disgrazia a causa delle rovinose scelte del padre.

Lì viene assunta come sguattera, ma ben presto, grazie ad una serie di astuzie, riesce ad entrare nei favori della Regina, scoprendo il rapporto amorosa tra questa e Sarah, alias Lady Marlborough.

 

La giovane viene promossa, divenendo cameriera personale della Regina, e inizia a diventare sempre più ambiziosa, determinata a compiere una vertiginosa scalata sociale.

 

Ciò si rende possibile grazie all'inizio di una relazione sessuale tra lei e la Regina Anna, tanto potente quanto emotivamente instabile, che inizierà ad affezionarsi seriamente alla nuova amante.

 

 

[Emma Stone e Olivia Colman in La favorita]

 

Nel dipanarsi della trama, Abigail riesce ad assicurarsi il ruolo di Sarah, che verrà cacciata da corte, riuscendo anche a sposare il barone Samuel Masham, o meglio, i suoi titoli nobiliari.

 

Sia il rapporto con Samuel che quello con la Regina sono, agli occhi dello spettatore, totalmente artefatti, e guidati dalle sole ambizioni della protagonista.

 

È così che il sesso diventa, per Abigail, solo un mezzo per un fine, che però, a differenza delle altre pellicole di Lanthimos, non è rappresentato in modo così a-passionale.

 

Se il rapporto tra la Regina Anna e Sarah conservava dei tratti autentici, pur considerando come quest'ultima approfittasse della debolezza della sovrana, lo stesso sembra valere, almeno in apparenza, anche in relazione alla nuova arrivata, alla nuova favorita.

 

Lo spettatore comprende però come la passionalità, superficiale, del rapporto tra Abigail e la Regina strida nettamente con i reali sentimenti della giovane, che emergono dagli sguardi e dalle sue ciniche macchinazioni, soprattutto grazie alle scelte stilistiche del regista.

 

Il tutto non resterà comunque impunito, e, sul finale, la crudeltà di Abigail verso uno dei conigli della monarca, quei conigli, renderà la situazione chiara anche alla diretta interessata.

 

 

[Lanthimos sul set con Rachel Weisz]

 

Considerando Yorgos Lanthimos siamo quindi di fronte a una caratterizzazione decisamente particolare della sessualità, meccanica e vuota nelle prime quattro pellicole, e al servizio del potere ne La favorita.

 

Forse questa strana rappresentazione del sesso può rappresentare un flebile collegamento tra i due registi, ma è bene considerare come le opere di Pasolini siano comunque figlie di un apparato teorico ben più ampio e ben più approfondito, che spesso ha riflettuto esclusivamente su tale tema.

 

Lanthimos, essendo noto esclusivamente come uomo di cinema, opta piuttosto per scelte stilistiche, e recitative, più ardite, rendendo tutto sommato chiare le sue intenzioni, perlomeno per quanto riguarda la sessualità, che comunque non è assurta a componente centrale della sua produzione.

 

Ciò che è certo è che entrambe le loro visioni in materia, per motivi disparati, siano marcatamente disincantate, caratterizzate da uno sguardo al limite del morboso, forse più in maniera contenutistica per Pier Paolo Pasolini e più formale per Yorgos Lanthimos.

 

Ringrazio Mattia Gritti per aver proposto l'argomento, e anche voi per averne proposti molti validissimi, e vi ricordo del sondaggio che ogni due settimane, sul gruppo Facebook Cinefactsers!, determina la tematica della prossima puntata della rubrica.

 

Cinerama Out.

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