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1937-1999: L'evoluzione dei Classici Disney - Parte I

Scopriamo assieme come sono cambiati i lungometraggi animati della Casa di Burbank nel corso del tempo

I Classici Disney: un’espressione che si carica di significato, ricordi, malinconia, bellezza.

 

Dagli anni ‘30, decennio dei primi lungometraggi animati Disney, fino ai giorni nostri l’infanzia di ogni bambino del mondo non poteva dirsi completa senza l’iniziazione al Cinema Disney, che nel corso del tempo è diventato sinonimo di Cinema d’animazione tout court.

 

Oggi questo risulterebbe essere un giudizio limitativo e offensivo: lo è nei confronti dei capolavori del Cinema d’animazione nipponico che si è affermato con prepotenza nell’ultimo trentennio (da Isao Takahata a Hayao Miyazaki, passando per Mamoru Oshii, Katsuhiro Otomo e Satoshi Kon), ma che in un qualche modo, anche per la complessità delle trame, si rivolgevano a un certo tipo di pubblico adulto ancora prima che a quello fanciullesco.

 

Lo è anche nei confronti della stessa Disney, intesa nella sua accezione più ampia di major tra le più grandi e potenti di sempre.

 

 

 

 

Ai giorni nostri i Classici Disney costituiscono solo una delle tante divisioni in cui è articolata la Walt Disney Company, multinazionale che è riuscita nel corso degli anni a estendere il proprio raggio d’azione su tutti i campi dell’intrattenimento moderno, dall’animazione digitale ai lungometraggi live action, dai parchi a tema alle emittenti televisive.

 

Ma un tempo, in particolare durante gli anni di vita del suo fondatore Walter Elias Disney (1901-1966), la sezione dei cosiddetti Classici (ideati, prodotti e distribuiti dalla Walt Disney Feature Animation secondo un canone ufficiale) rappresentava a tutti gli effetti il più grande contributo che fosse mai stato offerto al Cinema di animazione statunitense e mondiale, nonostante il fenomeno degli “Animated Cartoons” avesse già avuto origine e diffusione sin dai primi anni del XX secolo; basti pensare a celebri personaggi come Popeye e Betty Boop, e ad autori quali McCay e i fratelli Fleischer.

 

La linea storica parte da Biancaneve e i sette nani del 1937 e in questi settant'anni e più si sono alternate epoche storiche e correnti artistiche, che tanto nel Cinema tradizionale quanto in quello di animazione hanno contribuito a definire pagine importanti della Storia della Settima Arte e che, all’interno della stessa Walt Disney Pictures, hanno reso possibile una chiara demarcazione di diverse fasi creative e una conseguente suddivisione critica in ere.

 

Si possono identificare all’interno della casa di produzione cinque grandi macroaree, cinque periodi storici nell'ambito dei quali i lungometraggi realizzati risultano essere accomunati da specifiche caratteristiche, sia a livello di forma che di contenuto, che hanno sempre reso i classici riconoscibili agli occhi del pubblico e che ancora oggi, a posteriori, fanno sì che essi possano essere ricondotti con una certa facilità alla relativa fase storica di appartenenza.

 

 

 

 

La prima fase del ciclo Disney è per definizione quella classica, la cosiddetta epoca d’oro.

 

Si può far coincidere questo primo periodo con la vita e l’opera di papà Walt, che aveva direttamente prodotto tutti i titoli dal 1937 al 1966 (anno della sua scomparsa), supervisionandone la realizzazione in prima persona.

 

Da Pinocchio a Cenerentola, da Peter Pan a La bella addormentata nel bosco, da Alice nel paese delle meraviglie a La spada nella roccia, da Dumbo a La carica dei 101, da Bambi a Lilli e il Vagabondo: ognuna di queste opere è dotata di un’aura magica e di un fascino immortale, che avevano permesso a critica e spettatori dell’epoca di indicare nella figura di Walt Disney il più importante cineasta di tutti i tempi nel cinema d’animazione.

 

L’avvento dei classici Disney si inseriva nel più generico quadro del Cinema narrativo hollywoodiano, che a quel tempo era già al suo apice; i lungometraggi animati targati Disney avevano quindi come prima esigenza quella di rispettare tutte quelle regole e quegli stilemi, definiti appunto classici, che avevano attirato nelle sale americane spettatori di ogni strato sociale e che costituivano il punto di riferimento per ogni addetto ai lavori.

 

Così come implicavano, sul piano meramente contenutistico, storie dall’andamento lineare, personaggi squisitamente stereotipati in cui identificarsi (il principe coraggioso, la bella principessa da salvare, un cattivo da sconfiggere) e l’immancabile lieto fine con il trionfo del bene sul male, intesi nella loro accezione più generica; allo stesso modo, sul piano strettamente tecnico, essi cercavano anche di rispettare il cosiddetto decoupage classico assimilando quindi i principi teorici che governavano ogni aspetto della produzione di un film, dall’uso armonioso delle inquadrature alla regia invisibile, passando per il montaggio analitico.

 

Molte di quelle storie avevano un vero e proprio impianto narrativo fiabesco, in cui l’elemento fantasy, testimoniato dalla presenza di incantesimi, mostri e, soprattutto, di fate e maghi/e (Azzurra in Pinocchio, Smemorina in Cenerentola, Merlino ne La spada nella roccia, Malefica ne La bella addormentata nel bosco, ecc.) ben si sposava con l’esigenza di un buon divertissement infantile, da sempre priorità essenziale nella filosofia disneyana.

 

Nel quadro della Hollywood classica degli anni ’30 e ’40, risulta facile capire come Disney sia stato certamente una delle figure, alla pari di Frank Capra o di Howard Hawks, che più sono riuscite a cogliere e a far loro lo spirito cinematografico del tempo, pur senza mai perdere una certa indole di sperimentazione, non così scontata per l’epoca.

 

Emblematico a questo proposito è il caso dei cinque film collettivi a tecnica mista realizzati consecutivamente dal ’42 al ’48: Saludos Amigos, I tre caballeros, Musica Maesto, Bongo e i tre avventurieri e Lo scrigno delle sette perle; ma anche (e soprattutto) del precedente Fantasia (1940), straordinario terzo lungometraggio che cercava di unire le idee delle avanguardie europee (tedesche, su tutte) con il modello commerciale Made in USA, e in cui la narrazione di ogni singolo episodio era accompagnata da pezzi di musica classica diretti dal Maestro d’orchestra Leopold Stokowski.

 

 

 

 

Il cambiamento della società e della cultura statunitense di inizio anni ’60 si rifletté inevitabilmente anche sul Cinema, e la venuta della televisione nel mercato contribuì a far precipitare in una profonda crisi l’intero sistema hollywoodiano, compreso dunque quello d’animazione (che era il riflesso del cinema narrativo classico).

 

Se per la pellicola tradizionale questo significava un’esigenza di un rapido cambiamento, che sarebbe poi stata bene impersonata dalla generazione di nuovi talentuosi registi della New Hollywood, in casa Disney al contrario, complice anche la tragica scomparsa di Walt nel ‘66, le cose andarono diversamente e un processo di rinnovamento faticò a compiersi.

 

Con l’uscita de Il libro della giungla nel 1967, 19° lungometraggio che può essere considerato quindi come l’ultimo dei Classici in senso stretto, si aprì per la casa di animazione un difficile periodo di crisi, protrattosi per circa un ventennio.

 

Senza la presenza carismatica di Walt Disney, che aveva indirizzato le scelte e le produzioni della major per tutta la sua esistenza, i nuovi animatori e registi sembravano come sperduti, come un gregge senza pastore.

L'incertezza interna si riverserà sullo scarso rendimento commerciale dei film, che nonostante avessero comunque continuato a far breccia nel cuore dei più piccoli (chi non è affezionato a Robin Hood o a Gli Aristogatti?), risultavano qualitativamente inferiori ai classici dei decenni precedenti.

 

In particolare, erano la qualità del disegno e la profondità delle storie a risultare ridimensionate, palesemente lontane dai fasti del passato. 

Questa fase storica viene oggi definita Medioevo Disney.

 

Fu un periodo di transizione difficilmente inquadrabile, che registrò in primis un netto allontanamento degli spettatori, i quali iniziarono a rivolgere la propria attenzione ad altri celebri film d’animazione dell’epoca.

 

Le vicissitudini della casa di Burbank, infatti, si intrecciavano in quel periodo con il lavoro di Don Bluth, assistente e aiuto animatore della Disney a inizio carriera, regista e produttore indipendente nei decenni a seguire.

Negli anni ’80 girò i suoi due film più famosi con la Sullivan Bluth Studios (fondata insieme all’amico Gary Goldman), destinati a riscuotere maggior successo rispetto ai coevi classici Disney: Fievel sbarca in America e Alla ricerca della valle incantata.

 

Il secondo titolo, in particolare, fu un successo strepitoso sia di pubblico che di critica nel vecchio come nel nuovo continente, al punto da generare una miriade di sequel e spin-off, una cosa mai vista nel Cinema d’animazione fino a quel momento; basti pensare che al suo debutto nel 1988 il film di Bluth incassò al botteghino nordamericano una cifra record di 7.526.025 dollari, contro i 4.022.752 di Oliver & Company, 27° Classico Disney uscito al cinema nello stesso anno.

 

Fu certamente uno dei punti più bassi di tutta la storia della Casa del Topo, ben testimoniato appunto dal sorprendente sorpasso che la casa di Burbank dovette subire nel circuito cinematografico prima, e nel mercato Home Video poi. 

 

La debacle servì da scossa decisiva, che fece risvegliare i produttori dal loro torpore creativo e ritrovare lo smalto perduto di un tempo; fu proprio Oliver & Company il titolo che in un certo senso sancì la fine di questo secondo periodo e che allo stesso tempo funse da punto di partenza per il successivo, soprattutto grazie alla sua inusuale abbondanza di pezzi cantati, che gli fece comunque attirare critiche positive.

 

Ritengo la definizione di Medioevo Disney pienamente appropriata, soprattutto per la visione che si ha oggi del Medioevo inteso come periodo della Storia dell’Uomo.

Fu certamente un'epoca funestata da guerre, epidemie, carestie, peste bubbonica, ma anche un momento di profondo cambiamento e rinnovamento sul piano artistico e culturale, che avrebbe preparato il terreno per il magnifico Rinascimento (e tutto ciò che ne è conseguito).

 

Anche per questo oggi, riflettendo sulla fase Disney in questione, molti spettatori non riescono comunque a disdegnare i titoli che ne hanno fatto parte.

Analizzando questo periodo con gli occhi del nuovo secolo, in effetti, si sente comunque l’esigenza di una rivalutazione dettata più che altro dall’affetto che lo spettatore degli anni ’80 e ’90 ha continuato imperterrito a nutrire nei confronti di questi titoli.

 

Dovendo avere invece uno sguardo prettamente critico, la sensazione è che la pur innegabile bellezza di singoli e precisi momenti delle pellicole, come ad esempio la separazione della piccola volpe Red dalla sua anziana padrona in Red & Toby, che resta uno dei momenti più toccanti dunque emotivamente più efficaci nella storia dei Classici, o lo scontro finale all’interno del Big Ben tra Basil e il malvagio Rattigan, che è certamente degno di un moderno film d’azione, sia per spettacolarità che per ambientazione, non riesca comunque a garantire nel loro insieme un livello qualitativo ottimale in confronto ai classici del periodo precedente.

 

Titoli deboli quali Taron e la Pentola Magica e Le avventure di Winnie the Pooh non riuscirono mai a far pienamente breccia nei cuori degli spettatori; e furono per questo dimenticati in fretta.

Detto ciò, nulla vieta che possano comunque essere apprezzati nella loro interezza, anche grazie a un certo fascino vintage che essi conservano.

 

Oggi si tende ad essere benevoli nei loro confronti e a considerare il periodo in questione come intermezzo, piuttosto che come una crisi di idee vera e propria.

Questo è stato possibile anche grazie al giudizio dei millennial, la cui collezione di VHS non ha mai conosciuto discriminazioni temporali.

 

 

 

 

Si tende a far terminare questo periodo nel 1989, con l’uscita al cinema del grande successo de La Sirenetta.

 

Se il periodo precedente era stato ribattezzato “Medioevo Disney”, questo ha segnato a buon merito il Rinascimento della casa d'animazione, dopo le apnee e gli smarrimenti dei decenni bui '70 e '80.

I produttori hanno capito che serviva un cambio di strategia, una svolta radicale sia nelle forme che nei contenuti, per poter riportare in sala gli spettatori e riappropriarsi di nuovo di quella magica aura nella quale la major era stata avvolta per tutti i suoi primi trent'anni di vita.

 

Le mosse vincenti che hanno ridato linfa vitale non sono poche. 

 

1) Le canzoni e la soundtrack

Credo che nessuno si possa scandalizzare se questi film venissero definiti come dei musical animati; una media di cinque-sei canzoni per titolo, che diventano quindi parte attiva della narrazione e non fungono solo da semplice cornice.

Un ritorno alle origini, per certi aspetti, perché c'è da precisare che anche i pezzi musicali di Cenerentola o Biancaneve erano rimasti impressi nella mente, ma è indubbio che qui il passaggio avvenga in un modo ancora più esasperato.

Vennero chiamati autentici giganti del mestiere a comporre musica e testi, da Elton John a Phil Collins, passando per Hans Zimmer, Alan Menken e Tim Rice.

La scelta venne premiata: oltre 20 nomination totali ai Premi Oscar in dieci anni e ben 11 statuette conquistate, contando appunto le categorie di Miglior Canzone Originale e Miglior Colonna Sonora.

L'unico Oscar vinto in carriera da Hans Zimmer fu proprio quello del 1995 per Il Re Leone, ad esempio. 

 

2) Una nuova generazione di talentuosi registi/animatori 

Spiccano gli eclettici e prolifici Ron Clements e John Musker, che resero il disegno meno spigoloso rispetto al passato e maggiormente riconoscibile.

 

3) Le sceneggiature

Nel mettere a punto le sceneggiature, l'aver preso a modello celebri opere preesistenti, conosciute e già apprezzate da una moltitudine di appassionati in tutto il mondo: dalle fiabe di Andersen al mito di Ercole, dalle novelle de Le mille e una notte al ciclo di romanzi di Tarzan, passando per il Notre-Dame de Paris di Victor Hugo.

 

4) I non protagonisti

L'aver dato vita a splendidi personaggi secondari, usati come spalle comiche ed entrati nella memoria collettiva, in alcuni casi anche in maggior misura rispetto ai protagonisti veri e propri: Lumière, il Genio, Mushu, Sebastian, Filottete, Timon e Pumbaa.

 

5) L'universalizzazione e la modernizzazione delle storie 

Un eroe arabo in Aladdin; un'eroina cinese in Mulan, la prima principessa Disney a non essere "salvata" dal principe azzurro di turno (anzi, avviene l’esatto contrario); gli animali non antropomorfizzati protagonisti assoluti per la prima volta, ne Il Re Leone (Bambi non fa testo, visto che in quel caso l'uomo, pur non mostrandosi in modo esplicito, era una presenza decisiva che influenzava comunque la narrazione); una guerriera nativa pellerossa in Pocahontas, primo film che vede personaggi di colore tra i protagonisti.

 

Le risposte di pubblico e critica furono entusiasmanti, in poco tempo la Disney si era ripresa lo scettro di major dominante nel Cinema d’animazione.

 

L’incredibile successo del Rinascimento Disney è testimoniato da due eventi in particolare: la nomination all’Oscar come Miglior Film per La Bella e la Bestia all’edizione 1992, primo lungometraggio d’animazione della Storia a riuscire nell’intento; e il record d'incassi vicino al miliardo di dollari per Il re leone, che divenne il film d’animazione tradizionale di maggior successo economico di sempre.

 

Furono dieci anni incredibili: per coloro nati tra la fine degli anni ’80 e l’inizio dei ’90 titoli quali Aladdin, Il re leone, La sirenetta, Hercules, Il gobbo di Notre Dame o La Bella e la Bestia furono immediatamente riconosciuti come fondamentali per la corretta formazione cinefila di ogni bambino.

 

I progressi tecnologici, inoltre, permisero la realizzazione di alcune straordinarie scene d’azione, impossibili da realizzare fino a qualche decennio prima; esemplare il caso di Mulan, la cui battaglia sulla neve resta una delle sequenze di animazione più spettacolari del decennio, o di Tarzan, per cui l’animatore ricreò al computer le acrobazie di un noto snowboarder freestyle per ricreare quelli stessi movimenti che l’uomo delle scimmie avrebbe compiuto sugli alberi e tra le liane. 

 

Fu proprio Tarzan nel 1999 il titolo fanalino di coda che chiuse trionfalmente il decennio.

 

Dall’uscita successiva, la Disney sarebbe stata costretta a rimettersi totalmente in gioco. 

 

Qui trovi la seconda parte dell’articolo.

Chi lo ha scritto

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38 commenti

susanna susanna

3 anni fa

Grazie mille! come sempre un commento esaustivo e stimolante, la tua passione traspare da ogni singola parola

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Pierluca Parise

3 anni fa

Ciao Susanna, grazie per i complimenti. In verità questa suddivisione in “epoche” è figlia di una vasta letteratura cinematografica, che si è via via consolidata nel corso degli anni. Se mi chiedi un nome e un cognome, o un libro specifico, avrei onestamente difficoltà a rispondere. Per farti un esempio, La Sirenetta è considerato il titolo apripista del periodo “Rinascimento” Disney, esattamente come Easy Rider e Il laureato sono considerati i titoli che hanno dato il via “ufficialmente” alla New Hollywood. Sono cioè suddivisioni che sono frutto di analisi e studio di diversi studiosi e critici del cinema, che hanno portato tutti noi a considerare alcuni punti fermi, principi universalmente accettati nelle discussioni cinematografiche moderne. Credo quindi tu possa far riferimento a diversi manuali universitari di cinema, scritti da autori italiani come da americani,

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Jambo

5 anni fa

Un esempio di scena che possa piacere e divertire più generazioni, andando un secondo fuori tema, viene descritta da Yotobi nel video dedicato a Fantozzi, ossia la scena del pane.

Non son qui per spammare, ma in questo lo spiega benissimo:

https://www.youtube.com/watch?v=6P4vj1egmlg

E credo che alla Disney abbiamo voluto concentrarsi su un aspetto molto simile.

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Ciulia

5 anni fa

Concordo pienamente

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Pierluca Parise

5 anni fa

La tua è una giusta osservazione. Come ho scritto sotto un altro commento, ho scelto di far coincidere il primo periodo con la vita di Walt Disney; credo ci sia un filo rosso (anche simbolico) che unisca in effetti tutti i titoli dal '37 al '66. E per lo stesso motivo penso quindi che la "silver age" possa essere sì considerata come una seconda corrente (dal '50 al '66, più o meno), ma sempre nel più ampio contesto della più generica epoca classica. Nel mio articolo ho messo infatti maggiormente l'accento sul carattere "classico" delle opere, in linea con il cinema tradizionale dell'epoca, piuttosto che su altri fattori; è il tipo di taglio che ho deciso di attribuire all'analisi. E nemmeno a farlo apposta, la morte di Disney ha coinciso davvero con la fine definitiva del cinema narrativo hollywoodiano classico dei decenni precedenti (quindi il parallelismo cade a fagiolo) e, ovviamente, è stata un evento spartiacque all'interno della stessa major. Da qui anche la decisione di considerare come "Medioevo" il periodo tra il 1970 e il 1989, cioè quello immediatamente successivo alla morte di Walt, necessario per elaborare la perdita del punto di riferimento di una compagnia intera :)
Comunque grazie!

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Sara Genovesi

5 anni fa

Grazie! Viva il lupo 😉

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Pierluca Parise

5 anni fa

Anche a me piace molto, in generale; è un tipo di esercizio che cerco di fare con le singole filmografie dei registi.

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Pierluca Parise

5 anni fa

Troppo gentile, ti ringrazio. E in bocca al lupo per la tesi ;)

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James Flint

5 anni fa

Io lo guardai solo perché sapevo che nella colonna sonora c era la musica di max Pezzali.. 😂😂

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James Flint

5 anni fa

Ti ripeto.. Viene da un brutto periodo per la Disney, quindi anche se bellissimo non ha la rilevanza delle migliori epoche. Per quanto mi riguarda, red e Toby è molto conosciuto invece. (personalmente mi piace molto, tra l altro). Il re leone, invece, viene da un periodo d oro per la Disney. Film minore potrebbe essere Oliver & Co, che effettivamente non è così rinomato.

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