#articoli
Until Dawn è un film diretto da David F. Sandberg, ispirato al videogioco survival horror creato da Supermassive Games e distribuito da Sony Computer Entertainment per PlayStation 4.
Da che Cinema è Cinema non è un mistero il fatto che ciak e joypad non siano mai andati particolarmente d'amore e d'accordo.
Quando poi si ha a che fare con un genere assai delicato e potenzialmente pericoloso come l'horror, allora si può ben dire che tra pixel e celluloide non scorra tuttora quasi mai buon sangue, vero?
Pur volendo continuare, anche a distanza di decenni, a concedere il sacrosanto beneficio del dubbio a un piccolo cult qual è stato il suggestivo Silent Hill di Christophe Gans - e rimanendo inoltre disponibili ad aprire un sano confronto a proposito del fenomeno Resident Evil - potremmo tuttavia a lungo scannarci vicendevolmente riguardo alle vere ragioni che hanno portato al misererrimo fallimento - quantomeno critico - di titoli come Alone in the Dark del maramaldo Uwe Boll, dell'anonimo Doom di Andrzej Bartkowiak, del confusionario Mutant Chronicles di Simon Hunter e dell'assai derivativo Dead Rising: Watchtower di Zach Lypovsky.
Pescando dal recente passato anche del molto ruffiano Five Nights at Freddy's di Emma Tammi.
[Il trailer di Until Dawn]
È dunque con questo più che fisiologico timore che cinefili, ma soprattutto videogiocatori di ogni risma e latitudine, hanno accolto tra mille perplessità l'annuncio della temibile trasposizione su grande schermo di Until Dawn: punta di diamante della britannica Supermassive Games divenuta una vera e propria casus belli mediatica sin dal suo rilascio alla corte di PlayStation 4, nel corso di quell'ormai mitologico 2015.
Una paura, almeno per quanto mi riguarda, elevata al quadrato nel momento in cui il controverso nome di David F. Sanberg - che considero uno dei più cocenti fuochi di paglia del panorama di genere contemporaneo - ha iniziato a farsi strada alla guida della chiacchierata e precocemente speculativa trasposizione filmica di Until Dawn, gioco che a dirla tutta appare come il più intrinsecamente "cinematografico" tra i survival horror attualmente in circolazione.
Se dunque, come si suol dire, il buongiorno si vede dal mattino, nonostante l'alto livello di interattività, la densa profusione di elaborate cutscene e le potenzialmente infinite sliding doors offerte da quel solleticante "effetto farfalla" alla base dell'originario algoritmo di gioco, gli snelli e compatti 103 minuti che hanno finito per dar filmico corpo a questo Until Dawn non parevano proprio essere stati forgiati sotto i migliori auspici.
[Ella Rubin e compagnucci di orrorifiche merende pronti a entrare in Quella casa nel bosco che fa da sfondo a Until Dawn]
"Eppur si muove!" disse a quanto pare il buon Galileo rinnegando la sua stessa compiacente abiura dinanzi al giogo dell'inquisizione.
"Eppur funziona!" mi è venuto spontaneo sussurrare, a denti strettissimi e con genuina sorpresa, all'indomani dell'ultimo titolo di coda a chiusura di Until Dawn.
Forse non del tutto e certamente non come avrebbe potuto e dovuto; ma tutto sommato, strano a dirsi quanto a farsi, l'orrorofica opera ultima del furbastro cineasta svedese funziona ben più di quanto il genere e le tutt'altro che rosee premesse avrebbero inizialmemte fatto intendere.
Punto primo: Until Dawn conserva poco o nulla della propria originaria matrice, nonostante sia di fatto il nominale adattamento di un videogioco, al di là del solleticante titolo, di un tenebroso mood dal gusto squisitamente retrò(gaming) e di quella potenzialmente intrigante dinamica del loop temporale che, in tutta sincerità, costitusce l'unica vera fonte d'interesse di questo altrimenti più che modesto carrozzone.
Il film preferisce saggiamente andarsene per proprio cinematografico conto, facendo dunque ben contenti noi che, almeno in questa sede, di film e non di gameplay preferiamo (s)parlare.
Punto secondo: pur incarnando appieno tutti i limiti, le ingenuità e gli abusati cliché del più tipico teen horror a misura di Gen Z, ben infarcito di jumpscare un tanto al chilo e personaggetti piatti quanto una sogliola, è indubbio quanto Until Dawn sia di fatto da annoverarsi fra quanto di meno peggio l'asfittico e poco coraggioso Cinema di genere usa-e-getta ci abbia propinato nel corso degli ultimi tribolati tempacci.
Un tipico esempio, dunque, di prodotto a mio dire "mediocre", ma che proprio in questa sua dichiarata "mediocrità" trova la forza e la comodità di sapersi destreggiare senza colpo ferire, per l'appunto, Fino all'alba di un nuovo promettente giorno.
[Altro giro altre morti, grazie alla clessidra che detta legge in Until Dawn]
La bella Clover (Ella Rubin) e il timido e pertubantemente asfissiante ex fidanzato Max (Michael Cimino solo di nome, ma non certo di fatto), la giovane sensitiva in erba Megan (Ji -young Yoo), la ruvida sciupamaschi Nina (Odessa A'zion, già protagonista dell'interessante reboot di Hellraiser) e il di lei attuale strafottente toy boy Abe (Belmont Cameli) rischieranno seriamente di non vedere quello stramaledetto The Day after Tomorrow, prima che l'oretta e quaranta di Until Dawn abbia letteralmente esaurito il suo ultimo incubotico granello.
Sono infatti loro i cinque personaggi in cerca d'orrore o, piuttosto, della desaparecida Melanie (Maia Mitchell): amata sorella di Clover misteriosamente volatilizzatasi nel nulla giusto un anno addietro durante il solito incauto tour che pare proprio averla condotta sull'orlo di quell'immancabilmente fatidica Wrong Turn.
Ripercorrendo dunque a ritroso i passi di quell'ultimo A Long Weekend che avrebbe preceduto il nefasto The Vanishing della suddetta autostoppistica pulzella, i nostri sconsiderati detective della domenica faranno tappa in una decadente quanto immancabile stazione di servizio, sperduta nel buco dello sfintere del più boschivo Nulla, nella quale un altrettanto immancabile ed equivoco redneck (un Peter Stormare passato agilmente dalla console al grande schermo senza alcuna apparente soluzione di continuità) li indirizzerà verso la tutt'altro che ridente cittadella di Gore - pardon: Glore - Valley dove, a quanto si dice, strane cosucce davero poco raccomandabili parrebbero essere accadute all'indomani di un tragico e non meglio specificato disastro minerario di parecchi decenni prima.
Dunque via a tutto gas nel mezzo di una fitta pioggia che, sorpesa delle sorprese, finirà improvvisamente - e più che mai sovrannaturalmente - per interrompersi giusto al confine di uno speduto appezzamento di terra, al centro del quale, ma guarda un po', si staglia tutta sola soletta nientermeno che Quella casa nel bosco.
Una silenziosa e apparentemente accogliente The Lodge le cui viscere certamente celano ben più che qualche ragnaccio troppo cresciuto o una qualche infingarda perdita d'acqua.
Anche perché - spoiler alert! - nell'incubotico micro-universo entro cui strisciano e si acquattano gli innominabili obbrobri pronti a ghermire a tradimento gli ignari visitatori di Until Dawn, la cara vecchia H2O possiede qualità, per così dire, decisamente esplosive.
Ma questa è tutta un'altra storia...
[Ella Rubin non in splendida cera nel pieno della truculenta odissea di Until Dawn]
Until Dawn è una vera e prorpia dark tale che, così come quella a suo tempo grottescamente narrataci da quel geniaccio di Drew Goddard attraverso il suo delirante e meta-orrorifico cult, costringerà ben presto i nostri avventati locatari a vedersela con un manipolo dei più stereotipati archetipi del secolare Cinema de paura.
Tra efferati assassini mascherati in odor di Jason Voorhees, decrepite stregacce affette dalla medesima raucedine della Elena Markos di Suspiria e ossigenodipendenti quanto il fantasmatico omaccione di Insidious 3 - L'inizio, rachitici mostracchioni nerocriniti figliocci dell'indemoniata Tristana di [REC] e, ultimi ma non ultimi, quei tenebrosi e affamati Wendigo le cui autentiche origini gli incalliti smanettoni da gamepad già ben conoscono.
Alla facciaccia nostra ovviamente!
Dopo essere tuttavia caduti vittime uno dopo l'altro e nei modo più atroci della gustosamente truculenta e, spesse volte, comicamente splatterosa furia omicida degli irrequieti membri di questa ultramondana Armata delle Tenebre, le cavie umane gettate nel mezzo di questo incalzante gioco al massacro che ha per titolo Until Dawn si ritroveranno resettati a ogni violenta dipartita così come (gl)i (im)mortali personaggi di un qualsivoglia videogioco; grazie al continuo ruotare di una misteriosa clessidra a muro che permetterà alla nottata di ripartire all'insegna di insidie di volta in volta sempre diverse, ma comunque cristrallizzate in un apparentemente infinito loop temporale.
Ricomincio da capo, dunque? Ebbene sì, amico caro!
Allora Auguri per la tua morte e che il Signore - o chi per esso - ti assista!
Anche perché diverrà ben presto chiaro come solo 13 restart separino ciascuno dei malcapitati dalla tremenda trasmutazione in un qualcosa che sarebbe meglio non nominare affatto, almeno non prima di essere riusciti in qualche modo a fregare questa mortifera Matrix in modo tale da giungere più o meno tutti sani e salvi alla fine di questa rocambolesca e apparentemente imperitura Night of the Demons.
[Until Dawn: "Wendy! Sono a casa tesoro!"]
Horro o comedy? Questo è il gravoso e ancora irrisolto dilemma alla base di Until Dawn.
Se sia più comodo rifugiarsi nei brividi nudi e crudi oppure ripiegare verso una disimpegnata goliardia, venata di humor nerissimo, così tanto di moda oggigiorno all'interno di prodotti fieramente mainstream quali il vampiresco Abigail di Tyler Gillet e Matt Battinelli-Olpin, l'indiavolato The Monkey dell'ormai stagionato enfant prodige Oz Perkins e, volendo prenderla assai larga, pure l'intera risicata filmografia del maramaldo Christopher B. Landon; ad eccezione del suo ultimo seriosissimo Drop ovviamente!
Malgrado tuttavia il non certo brillante né tantomeno freschissimo script imbastito a quattro mani da Blair Butler e dal navigato veterano del WanVerse Gary Dauberman mostri in più occasioni tutta la propria farraginosità - attraverso la stanca ripetitività e la conclamata illogicità di certe meccaniche e talune ingenue situazioni, rese ancor più precarie da dialoghi spesso al limite dell'imbarazzo e caratterizzazioni attoriali vuote quanto il più massiccio dei buchi neri - va detto e riconosciuto che Until Dawn riesce comunque a dribblare tutto sommato agilmente i giganteschi punti di domanda e le voragini di sceneggiatura - mai opportunamente occultate - che ne affastellano il sottilissimo tessuto narrativo.
Un pregio che, unito alla provvidenziale e lucida scelta di non prendersi mai troppo sul serio, permette alla regia di Sandberg di smarcarsi finalmente dalla piatta e anonima routine da mesteriante nella quale la loffia - seuppur danarosa - esperienza supereroistica in casa DC del dittico di Shazam! lo aveva miseramente condannato.
Raccogliendo quel briciolo di coraggio e talento ancora rimastogli in corpo dal fologrante esordio di Lights Out - quello del pluripremiato formato breve del 2013, ovviamente, mica dell'insipido brodo allungato per volere di Atomic Monster di tre anni dopo - il nuovamente ispirato svedese dal barbuto grugno riesce a conferire a questo Until Dawn, almeno sulla carta, tutta la tenebrosa e suggestiva joie de vivre che un horror a misura di (pre)adolescente dovrebbe teoricamente possedere.
Sacrificando tuttavia il potenziale lato "adulto" di un prodotto che, con qualche asfittico spavento preconfezionato in meno un tantinello di cuore in più avrebbe potuto regalarci ben altre e alte vibes.
[Until Dawn: cinque personaggi in cerca d'orrore e del prossimo buongiorno]
Non è così troppo strano, infatti, giungere alla fine di questo adrenalinico seppur fastidiosamente artificiale e telefonato (video)giocattolone con la subliminale sensazione di aver assistito più che altro a una sorta di lungo spot di un potenziale parcogiochi a tema Until Dawn, sul cui portone d'ingresso non sfigurerebbe di certo una bella insegna al neon recante il sacro motto "Prima moriamo, poi craftiamo!".
Se poi il rischio di verdersi spuntar fuori, nel pieno di una qualsivoglia proiezione, un'orda d'imberbi alfieri della TikTok Generation pronti a sbraitare un sonoro "Monster Jockey!" a ogni immancabile bubusettete d'ordinanza non ci appare più così troppo remoto, sappiate che l'inconscia percezione di trovarsi al cospetto di un rip-off da secondo prezzo nel cestone del discount di quella ben più gloriosa e summenzionata Casa nel bosco inzierà a farsi strada nelle vostre viscere, ben prima dello scoccare del primo fatidico quarto d'ora.
"Potrebbe essere peggio, potrebbe piovere!", volendo citare l'ingobbito Marty Feldman di brooksiana memoria, perché nel corso di questo modesto ma decisamente onesto Until Dawn di pioggia ne scroscerà assai.
Almeno fino a una certa latitudine e con la chiara consapevolezza che la goccia sbagliata al momento sbagliato potrà dare il via a un inaspettato, esageramente grandguignolesco e più che mai spassosissimo bagno di sangue.
___
Until Dawn
Hai bisogno di aspettare "until dawn" per decidere di sostenerci? Va benissimo, ci trovi qui anche domattina!