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Swallow, diretto e sceneggiato da Carlo Mirabella-Davis qui al suo debutto cinematografico presentato al Sundance Film Festival, si potrebbe definire un vero e proprio gioiello perfettamente confezionato e denso di messaggi.
Hunter (una meravigliosa Haley Bennett) è la moglie perfetta di Richie (Austin Stowell), giovane ereditiero della grande azienda di famiglia: il suo unico scopo nella vita è quello di compiacere suo marito e la famiglia di lui diventando un'esemplare compagna, un'amante, una casalinga e anche una madre.
Hunter ce la mette tutta per mostrare quanto sia felice e grata della vita che ha, ma presto una sua consuetudine a dir poco singolare dimostrerà il contrario.
[Trailer ufficiale di Swallow]
Tra una faccenda di casa e un giochino sullo smartphone Hunter si concederà il lusso di fare qualcosa che sia solo per lei e che comporti un certo coraggio: ingoiare - e successivamente espellere - degli oggetti, per poi conservarli come trofei.
Swallow è una storia ricca di sottotesti: la questione più superficiale, attorno cui si dipana la pellicola, è quella dell'instabilità mentale tradotta qui in disturbo alimentare.
In questo caso si parla di quello denominato pica - o picacismo, o allotriofagia - che comporta l'ingerimento prolungato nel tempo di sostanze non commestibili: carta, terra, cenere, lana, capelli, gesso, ghiaccio, fino a oggetti di ogni tipo.
[Il primo oggetto pericoloso ingoiato da Hunter]
Se nei bambini fino ai 2 anni di età non si tratta di una patologia - poiché naturale, a quell'età, tentare di ingerire piccoli oggetti - successivamente la condizione si accompagna di solito ad altri tipi di disturbi mentali, in particolar modo autismo e schizofrenia.
Si tratta di una patologia che può sorgere anche durante il periodo della gravidanza - come nel caso della nostra protagonista - ma in Swallow appare evidente sin dai primi minuti che sarebbe pressoché riduttivo relegare tutto a un problema psicologico.
[Hunter osserva con desiderio il terriccio del suo giardino]
Swallow si apre con delle inquadrature dalle simmetrie e dalle cromaticità impeccabili.
Hunter è l'emblema della donna degli anni '50: un'ineccepibile messa in piega, i vestiti color pastello en pendant con l'arredamento, persino i piatti per suo marito hanno la stessa estetica di quelli di uno chef stellato, ma in questa danza dell'equilibrio vacilliamo non appena le immagini della preparazione di un agnello al sangue vengono alternate con quelle della sua macellazione.
Durante una cena per festeggiare il cambio di testimone dal businessman senior al suo rampollo, tutti brindano e applaudono felici, compresa Hunter: senza di lei suo marito non sarebbe arrivato dove si trova ora.
Ma gli occhi di Hunter sono vuoti, la loro espressività non corrisponde ai suoi ampi sorrisi.
[Una delle prime inquadrature di Swallow]
L'apparente amore e accettazione da parte del marito e dei suoceri sono in realtà una facciata che occulta, semmai, sentimenti di possessione, sopportazione e snobismo.
Hunter non è altro che un accessorio di Richie e in quanto tale non importa quali siano le sue esperienze, le sue emozioni, i suoi desideri.
Nessuno è interessato a quello che ha da dire e quando prova a mettersi al centro dell'attenzione viene immediatamente rimessa al suo posto e confinata in un angolo.
[Hunter prova a raccontare un aneddoto, ma viene interrotta con noncuranza da suo suocero: è qui il primo trigger di Swallow]
La sua è una non-esistenza, scandita da una costante ricerca di approvazione e paura di sbagliare.
D'altronde, tra un bacio e un sorriso, il suo consorte e la relativa famiglia non perdono mai l'occasione di sottolineare alcuni suoi difetti o di fare arroganti stoccate sulla sua vita senza Richie e il suo denaro: praticamente insignificante.
C'è, tuttavia, una cosa di lei a cui tutti sono interessati: il futuro erede che le sta crescendo in grembo.
Tutti, tranne lei.
Da accessorio, dunque, a strumento di procreazione.
In un contesto in cui Hunter non ha più un io che non agisca in funzione del marito, si aggrappa con forza a qualcosa che sia esclusivamente dedicato a se stessa, un piccolo segreto che la faccia sentire importante.
“I'm proud of myself.
I did some unexpected.”
[Sono fiera di me stessa, ho fatto qualcosa di imprevisto]
Ingoiare oggetti è l'unica cosa che riesca a farla sentire viva e a ricordarle che può ancora avere il controllo del proprio corpo.
Mirabella-Davis ha dichiarato di aver attinto per Swallow alla storia vera di sua nonna, una casalinga degli anni '50 intrappolata in un matrimonio infelice che aveva sviluppato dei “rituali di controllo” per riuscire a sopravvivere, tra cui quello di lavarsi compulsivamente le mani.
Ma il lavaggio delle mani non è una pratica così cinematografica e, colpito da una foto che mostrava oggetti estratti dallo stomaco di una persona affetta da pica, il regista ha deciso di approfondire una condizione poco conosciuta.
In seguito, la nonna venne chiusa in un istituto dal nonno e sottoposta a elettroshock e lobotomia.
Un destino simile a quello che sarebbe toccato anche a Hunter se l'autore non avesse scelto, in questo caso, di donare alla sua protagonista una forza maggiore e un aiuto - che, magari, sua nonna non ebbe - e di riconsegnarle il possesso del proprio corpo e della propria vita.
Secondo Mirabella-Davis, sua nonna era stata punita per non essere la moglie e la madre che la sua famiglia e la società del tempo si aspettavano.
Seppur sia passato più di mezzo secolo, alcuni schemi sembrano rimasti invariati, tanto sono fissati nell'impostazione mentale di una società
ancora troppo ancorata ai dettami del patriarcato e al presupposto che la donna debba sempre dovere qualcosa a qualcuno.
[Il lavoro sulle cromie in Swallow è mirabile]
Frutto di ciò che era stato imposto con violenza a sua madre e vittima di una vita che ha passivamente accettato, ingoiare oggetti è il metodo con cui Hunter in Swallow cerca di rimettersi in contatto con se stessa, il suo rituale di controllo.
Un rituale a dir poco rischioso - e possibilmente fatale - ma che le permette di compiere un percorso di riappropriazione e consapevolezza di sé.
Il suo arco si riflette anche nelle scelte estetiche del film.
Si inizia, infatti, con un'atmosfera artefatta, dove ogni cosa è così perfetta da sembrare uscita da un catalogo o una pubblicità ma, insieme alla ribellione di Hunter, si fa strada man mano un realismo sempre più aspro: cambiano i colori, la pettinatura e i vestiti, si perdono le simmetrie e da un mondo ovattato color pastello veniamo catapultati in uno molto più verosimile.
Ma se tutto si “ingrigisce”, la gravosità della situazione di Hunter inizia ad affievolirsi perché la rigidezza della vita che l'aspetta e l'ormai inevitabile impatto con il suo passato avrà comunque più senso della non-vita in cui era ingabbiata.
Swallow è un'opera altamente interessante su più piani.
Ha un'estetica curata nei minimi dettagli, grazie all'ottimo lavoro fatto con le scenografie, i costumi e la fotografia: una vera delizia per gli amanti dell'utilizzo dei colori nella cinematografia.
[Haley Bennett è la protagonista assoluta e perfetta di Swallow]
Altro elemento notevole è il sonoro, in alcuni punti intenzionalmente amplificato per trasmettere le sensazioni provate da Hunter durante la cerimonia della deglutizione.
Sul piano contenutistico, inoltre, Swallow offre più livelli di lettura: innanzitutto presenta un'affascinante panoramica su un disturbo probabilmente mai visto prima d'ora sullo schermo e, soprattutto, si scaglia con forza contro alcuni aspetti della società in cui viviamo.
Lo sfrenato capitalismo rappresentato da Richie e la sua famiglia, che considera i sentimenti delle persone una variabile da eliminare prima che possa in qualche modo incrinare il proprio schema basato sul cinismo.
La filosofia che la madre di Richie cerca di insegnare a Hunter si basa sull'aforisma “Fake it till you make it”, ovvero Fingi fino a quando non lo ottieni.
Sacrifica il tuo equilibrio mentale e spirituale pur di vivere nel lusso.
[Hunter ha sempre uno sguardo vuoto con suo marito Richie]
In ultima analisi, c'è ancora una questione a essere indagata e condannata in Swallow, forse la più importante: il controllo patriarcale sul corpo femminile.
Gli anni sono passati, molte lotte sono state vinte, ma non tutti i diritti sono stati conquistati.
In qualche modo la donna non è ancora “autorizzata” ad avere un pieno controllo del proprio corpo e per rendersene conto basta riflettere sul tanto dibattuto tema dell'aborto.
Swallow tocca l'argomento con eleganza, ricollegandolo all'intero percorso della protagonista, similmente a un altro buon film del 2020, il pluripremiato Mai raramente a volte sempre di Eliza Hittman.
Si sfiora anche la problematica della violenza sulle donne, intesa come strumento di controllo.
Come Hunter controlla se stessa attraverso l'ingerimento di oggetti, l'uomo controlla la donna attraverso l'abuso.
Abuso, dunque, non come frutto di un irrefrenabile istinto animale recondito nell'uomo - con cui spesso, incredibilmente, si vorrebbero giustificare certe azioni - ma come dimostrazione di superiorità dell'uomo a se stesso, un modo per avere il pieno controllo.
Per sentirsi Dio.
Probabilmente la tensione accumulata nella prima parte del film si dissolve un po' troppo velocemente nella seconda, che rischia di essere un po' autoesplicativa, ma Swallow rimane un ottimo e originale esordio cinematografico che ci fa attendere con trepidazione i prossimi progetti di Mirabella-Davis.