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Declinando il sacro assunto dettato da Clint Eastwood in Il buono, il brutto, il cattivo al mondo del Cinema, sembrerebbe lecito suppore che “i film si dividono in due categorie: quelli belli e quelli brutti”.
In realtà, chi mastica quotidianamente metri e metri di pellicola cinematografica, sa bene che la faccenda è decisamente più sfaccettata di così.
[Vedi, in questo mondo ci sono due categorie di film, amico mio...]
I presupposti e le motivazioni che ci spingono ad affrontare la visione di un film possono essere i più disparati: la noia, ad esempio, che ci può muovere verso un titolo randomico pescato dalla home di una piattafoma streaming; la ricerca, lo studio metodico di un autore o corrente cinematografica che plachi la nostra sete di sapere e completezza; la voglia di relax: anche il desiderio di spegnere il cervello di fronte a un film leggero o un comfort movie che sappiamo a memoria può essere la molla che ci spinge alla visione di un determinato titolo.
Ma torniamo al ragionamento iniziale, quello relativo alla questione del merito: i film sono semplicemente “belli o brutti”?
Oppure si può andare più a fondo di così?
Come ripete spesso il nostro Paolo Cellammare nelle puntate del Podcast di CineFacts.it:
“Anche in un film poco riuscito si possono cogliere degli elementi di valore, basta saperli trovare.
Proprio per questo ogni visione - anche quella di una pellicola fortemente disfunzionale - può essere utile ad affinare le proprie capacità di giudizio”
[Potremmo aver parafrasato Paolo, ma il succo è questo].
[No, dai, non può esistere un film dove le antagoniste sono delle pecore carnivore. Oppure sì?]
Quante volte vi è capitato di apprezzare uno o più elementi di un film che però, sull’altro piatto della bilancia, presenta delle carenze innegabili?
Situazioni che si presentano con maggior frequenza quando ci diamo all’esplorazione di titoli sconosciuti, lontano dai consigli dell’amico cinefilo di fiducia o dal giudizio della critica, mossi da semplice curiosità.
Già: la curiosità.
Ce ne eravamo dimenticati quando abbiamo elencato le motivazioni che ci spingono verso un titolo da vedere.
Eppure siamo sicuri che vi sia successo più volte di lanciarvi “alla cieca” in una visione, spinti semplicemente da una sinossi bizzarra.
[Swiss Army Man - Un amico multiuso: Paul Dano, Daniel Radcliffe e cadaveri scurreggioni. Ok.]
Uno pneumatico assassino dotato di poteri psichici?
Una scimmia-ratto il cui morso trasforma gli uomini in zombie che si ubriacano e sco**no come ricci poco prima di essere abbattuti a colpi di Kung Fu da un prete?
“Ma chi è il folle che ha diretto ‘sta roba? Lo devo vedere”.
Un gruppo di amici fuori di testa dediti alla nobile attività del rapimento di cani?
Un pastore di anime che usa il suo potere di trasformarsi in un velociraptor per combattere il male?
“No, questo è troppo, è impossibil…ah”.
Va da sé che produzioni di questo genere abbiano un altissimo tasso di imprevedibilità, tale da rendere la visione simile a una giocata d’azzardo.
Schiacciamo “play” e la roulette incomincia a girare vorticosamente.
Tiriamo la pallina sul piatto e... qualche volta il film “è bello”, qualche volta no.
In alcuni di essi riusciamo a trovare elementi meritori, in altri no.
[Ma cosa cazz...?]
Proprio per sostenere questa massima, vogliamo lanciarvi una sinossi che potrebbe mandare in cortocircuito le vostre antennine cinefile.
Una sinossi, nulla più.
“Teo Sellari è un bonaccione, un uomo semplice e mite, o per usare un termine vicino alla Roma in cui è ambientata la storia: un frescone.
Teo è uno scrittore di professione, il quale ha realizzato un libro sulle streghe da cui verrà tratto un film.
Le streghe di cui parla il libro sono simili alle sirene della mitologia classica: delle donne bellissime capaci di irretire le proprie vittime, per poi consumarle fino alla morte.
Gallio De Dominicis, produttore dell’adattamento del libro di Teo, gli rivela che le streghe esistono veramente e che sia lui che Teo fanno parte di una speciale categoria - se vogliamo, simile agli Auror di Harry Potter - chiamata Disinnescatori, anche se lo scrittore non ne era consapevole.
Il loro compito è quello di ‘disinnescare’ le streghe tirando loro una testata fortissima sul setto nasale per poi trascinarle per sette passi verso nord, così che tutti coloro che hanno assistito alla scena la dimentichino immediatamente, esattamente come Teo stesso aveva scritto nel suo libro.
Teo, inizialmente spaventato e incredulo, accetta poi di seguire il suo destino, allenandosi per diventare un Disinnescatore provetto e aiutando il collega più esperto”
E già così siamo sullo strano forte.
Ma c’è di più.
[Teo si allena nel trascinamento dei 7 passi verso nord]
Potremmo dirvi che questa - semisconosciuta - commedia-fantasy italiana del 2001 è scritta e diretta da Giovanni Veronesi, il regista preferito del nostro Enrico Tribuzio.
Oppure, potremmo anticiparvi che nei panni del protagonista, per la prima volta sul grande schermo, c'è un giovanissimo Teo Mammuccari e che Emanuelle Seigner (Frantic, La nona porta), moglie e musa di Roman Polański, interpreta sua cognata.
E qua lo straniometro incomincia a sfarfallare.
Potremmo poi apporre il carico da 90, dicendovi che nel ruolo del produttore cinematografico/disinnescatore Gallio De Dominicis si muove l’italoamericano Paul Sorvino (Quei bravi ragazzi, Dick Tracy) doppiato dal nostro Giancarlo Giannini.
Se poi aggiungessimo che il Capo Delegazione dei Disinnescatori Europei della sezione Arti e Spettacolo è Gérard Depardieu (che interpreta ovviamente se stesso) a quel punto vi esploderebbe la testa.
[Che maestria nella capocciata abbia il sommo Dépardieu voi non ne avete idea]
Streghe verso nord è una bizzarria rara nel panorama cinematografico italiano recente.
Ma non vi diremo se è “bello” o “brutto”.
nord
Preferiamo lasciare stabilire a voi se all’interno del film esistano degli elementi funzionali o divertenti oppure originali.
Quel che possiamo dirvi è che, all’interno del settimo lungometraggio di Veronesi, ci sono disparità evidenti negli elementi che compongono il cast, Paul Sorvillo in versione Maestro Miyagi che addestra Teo - in sospensorio e canotta dei Chicago Bulls - sulle note della “canzone-inno” delle streghe, Federica Fontana che si prende una craniata in mezzo agli occhi, titoli di testa fatti con le animazioni di Power Point, il “codice dei disinnescatori” che prevede di non dire parolacce (con tanto di breviario utile a evitarle) e di mangiare solo grassi fritti-rifritti, e non solo.
Perché “se non sei abbastanza grosso per trascinare la strega per sette passi in mezzo a una folla che tenta di fermarti, come fai?”
[Sì, esatto: l'inno delle streghe è Torn di Natalie Imbruglia]
Streghe verso Nord - prodotto fra le ultime, estreme, difficoltà di Vittorio Cecchi Gori - è un oggetto strano, talmente bizzarro da renderne la visione un vero e proprio azzardo.
Che dite? Siete abbastanza curiosi da lanciare la pallina sulla roulette?
Rien ne va plus!
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1 commento
Adriano Meis
3 anni fa
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