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Il Cinema elitario e spocchioso non esiste: c'è solo il Cinema

Il cinema spocchioso, elitario, radical chic e che Dio te ne scampi se ti fai piacere un film che non sia sovrapponibile a una sessione di ASMR registrata nel deserto del Nevada durante i test nucleari, ma di cosa stiamo parlando?

Il Cinema spocchioso, elitario, radical chic e che Dio te ne scampi se ti fai piacere un film che non sia sovrapponibile a una sessione di ASMR registrata nel deserto del Nevada durante i test nucleari: ma di cosa stiamo parlando?

 

 

Il Cinema elitario.

Il Cinema di nicchia.

Il Cinema per pochi.

Il Cinema per certe sensibilità.

 

Il Cinema per cinefili.

Il Cinema per intenditori.

Il Cinema per i critici.

Il Cinema per i festival.

 

Di tutte queste diciture scegliete quella che più vi piace e probabilmente vi sentirete arrabbiati o inclusi rispetto al lato della barricata di balsa, difensore di una storia falsa, che avete scelto o che vi rappresenta.

 

Eppure, che vi piaccia o meno, di tutte queste definizioni, di tutti questi appellativi, di tutti questi quadratini, non esiste davvero nulla.

Sono illusioni.

 

Sono costrutti comodi per economia di linguaggio o per convenienza di chi deve scegliere o giustificare una scelta piuttosto che un'altra.

 

Quello che esiste davvero in ognuna di questi contenitori è proprio lui, il protagonista unico e indiscusso: il Cinema.

 

La credenza che il Cinema elitario esista e sia una realtà è una semplificazione binaria di chi non sa riconoscere di avere dei limiti o semplicemente di avere interessi che non sono gli stessi di molti altri.

 

Anche perché, che cos'è il Cinema elitario e di nicchia?

 

 

[Come quella volta che andai a vedere Birdman e risi ancora prima di entrare, perché c'era chi comprava il biglietto pensando fosse un film della DC]

 

Per alcuni, coloro dal commento più facile del grilletto di Harry Callaghan, il cinema elitario è Mulholland Drive, per altri è Il grande Lebowski, per taluni è semplicemente qualsiasi cosa che non includa la spettacolarizzazione di qualunque elemento venga messo sullo schermo, navigando verso l'intrattenimento assoluto.

 

Per altri è qualsiasi film che minacci la loro convinzione, così radicata, di essere eccezionale che si sono costruiti con tanta convinzione a fronte di nulla - blastare un film lodato dalla critica vi rende alternativi e rivoluzionari quanto l'idea di aprire un negozio di svapo e visionari come chi invece vorrebbe aprire un Caccia e Pesca.

 

Giudicare elitario o di nicchia un film solo perché non si sovrappone a quello che voi credete essere interessante non vi rende particolarmente sagaci, non vi rende amici del popolo, non vi rende più acuti o onesti rispetto al vostro pensiero, di altri.

Vi rende al massimo superficiali, tanto quanto chi il Cinema lo chiude in una scatola fatta di storie per pochi - che è poi un "nemico" che per fortuna di molti passa alla Storia in sordina e senza lasciare traccia alcuna del proprio pascolare, salvo nella personale rivisitazione mentale che questi e i loro adepti si fanno della realtà.

 

Il Cinema elitario è una brutta bugia.

 

Esiste solo il Cinema.

Esiste solo quella forma d'espressione utile a veicolare una storia.

 

Quello che ne risulta alla fine, la summa del lavoro congiunto utile a realizzare la visione di un unico autore o di molte menti, è quello che è.

 

 

["It is what it is": ragazzuoli, potete infiocchettare Il Sacrificio del Cervo Sacro come un film spocchioso ed elitario, ma rimane un alpaca con il quale state cercando di farvi un selfie perché va tanto di moda]

 

Nessuno, tranne forse un idiota vero, parte dal giorno zero a scrivere un film d'autore, di nicchia, per pochi, elitario, rivoluzionario.

 

Queste definizioni vengono a volte costrette sull'opera per via di ciò che questa innesca quando arriva al pubblico, alla critica, agli intenditori - qualsiasi cosa voglia dire - al cinefilo, al moviegoer, all'appassionato, al tizio che di mercoledì sera compra un biglietto a caso per un film a caso perché aveva proprio voglia di uscire di casa, e bere una birra al pub per i fatti suoi gli sembrava un po' imbarazzante.

 

Il Cinema d'elite è una bugia di chi crede di potersi creare un solido alibi per quel tardo pomeriggio di fine luglio nel quale si è addormentato russando sonoramente guardando Il petroliere.

 

Il Cinema per intellettuali è il nemico sagomato da una risma di fogli di carta e appeso sul camino di un club di personaggi truci che, cantando canzonette sull'essere unici e speciali come fiocchi di neve, non hanno compreso che avere una personalità non significa reagire all'amore di altri verso qualcosa, ma trovare il proprio. 

 

Dare a Paul Thomas Anderson del ''sopravvalutato'' non ti renderà libero, ma ti farà partire per delle crociate che non finiranno sui libri di Storia se non sotto la sezione dedicata alle forme di analfabetismo funzionale dell'era digitale e alle isterie di massa dei fenomeni dei social media; a questo punto è meglio morire nell'anonimato che costringere i propri discendenti a cambiare cognome. 

 

Il Cinema spocchioso e di nicchia è il cane che ha mangiato i compiti di chi non concepisce che il Cinema asiatico esisteva e veniva celebrato anche prima di Parasitee che trovare In the mood for love un film fantastico, è spocchioso tanto quanto preferire Ranma 1/2 agli Street Sharks.

 

Quindi, volendo consultare il nostro spocchiometro costruito appositamente per questa occasione, da 0 a 10 siamo attorno allo 0.5.

 

 

[Che poi, detto tra noi, se tutti avessero imparato ad amare Ranma 1/2 avremmo meno gente ferma a Panda 1 e Panda 2... per dire, sarebbe tutto più chiaro anche a chi cerca ancora di soffocare i propri desideri nascosti]

 

Il Cinema per pochi è un po' il "non ho tempo" dei paccari, quell'insana voglia di trovare una giustificazione al proprio gusto che in quanto tale, e finché non sfocia nello starnazzare da comico da baretto della piazza, va benissimo così.

 

Arrivato a questo punto mi sento quasi intrappolato in un loop spazio temporale e sono quasi convinto che arriverò a perdere me stesso, poiché ho già provato in diverse occasioni a far capire come gradire un film di puro intrattenimento, tanto quanto il fruire esclusivamente di cinema palesemente difettoso, non renda necessario il doversi giustificare.

 

L'importante è esserne consci e accettare di dover buttare via quella buffonata che è diventata la parola "capolavoro", stuprata dall'abuso continuo da parte di gente in conflitto con il proprio ego. 

 

CAPOLAVORO!

 

No: piace un sacco a te e va bene così.

Anche se è una mezza monnezza o una roba dimenticabile, ma che sicuramente vive di qualcosa che ti lascia divertito, intrattenuto o capace di creare una connessione emotiva nel tuo rapporto con quel prodotto. 

 

Allo stesso modo questo bias del dover difendere a tutti i costi una posizione che nessuno sta attaccando, porta molti a dover travalicare nella reazione a fronte di nessuna azione, e giudicare spocchioso, elitario, di nicchia, quel Cinema che entra negli annali, che entra nelle classifiche, che a memoria storica del mezzo definisce un'era.

 

 

["Allora non hai nessun punto di riferimento Donny, sei come un bambino che entra in un cinema..."]

 

Disonesti.

Corrotti.

Venduti.

Bugiardi.

 

I film migliori e che definiscono il decennio sono quelli che guarda il pubblico, dice l'uomo che parla alla Verità e che possiede la Verità che cammina con lui.

 

Peccato che l'identità di questo individuo, come la sua verità, cambi di bandiera in bandiera.

 

Ogni crociata il suo estremismo. 

Ogni estremismo il suo popolo.

Ogni popolo il suo oppio. 

Ogni oppio il suo fiore. 

 

Ogni fiore ha la sua radice, e questa riconduce sempre al seme del non saper vivere con le libertà altrui e nemmeno con le proprie, marciando verso il "nemico" con il vessillo del gusto popolare e vendicando un diritto al non gradimento messo in discussione da più o meno nessuno. 

 

La disfatta del pensiero.

 

Perché ognuno ha un proprio concetto di pubblico che, guarda caso, aderisce spesso alla propria personalità e al proprio percepito, piuttosto che al reale specchio del mondo.

 

Un problema che va fuori dal cinema e dalla discussione cinematografica, ma che inquina anche questo campo, portando folle di pazzi convinti che siccome il loro sentire del mondo suona bene, allora il mondo è così.

 

 

[Ridi e il mondo prenderà un buongiornissimo kaffè con te, piangi perché quelli che insultano il Cinema asiatico sono gli stessi che condividono una citazione di Old Boy che cita Ella Wheeler Wilcox, e piangerai da solo]

 

Disonesti.

Arroganti. 

Spocchiosi.

Elitari.

 

Ci sarebbe anche da far notare come il pensiero di alcuni, per quanto spinto da un'improbabile ragione, non sia davvero importante.

 

Quello che è importante è l'opera.

Quello che è importante è il Cinema e quello che racconta con indelebile forza sullo schermo.

 

Quello che rimane nel tempo è il film e non il vostro sentire o quello di un gruppo di persone che per 15 minuti ha dato celebrità a una cosa che nemmeno un anno dopo è stata sostituita da altri film, altre opere, altri venti e influenze.

 

Quello che diventa grande Cinema è quello che riesce a resistere al tempo, quello che continua a parlare nonostante il passaggio delle epoche e quello che i tempi li ha incisi con la propria visione, con il saper sviluppare un linguaggio, con il sentire immortale della condizione umana raccontata per immagini.

 

Poco importa che questo sia un dramma, un film d'azione, un thriller, un horror, un fantasy, un found footage, un successo di botteghino o meno.

 

 

[Ciao, sono La tempesta perfetta, uno dei 10 incassi più alti del 2000 e nemmeno mia nonna si ricorda di me]

 

 

Federico Fellini era un regista italiano che per molto tempo, prima di diventare Fellini, ha fatto la fame in un'Italia che sognava di partire e diventare qualcosa.

 

Fellini era italiano e casa sua era l'Italia, eppure è arrivato negli Stati Uniti, in Inghilterra, in Spagna, in Francia, in Giappone, in Cina e il suo Cinema non conosce barriere di linguaggio né di cultura.

Che qualcuno abbia incassato più di lui nella Storia conta quanto il nulla mischiato con il niente... e agitato, non mescolato.

 

David Lynch era un ragazzetto del Montana a cui era stata introdotta l'idea che potesse vivere facendo il pittore, che veniva da una famiglia americana media, e che è stato povero fino a che The Elephant Man non è stato candidato a 8 Oscar, vivendo in una casetta a Los Angeles affittata da un tipo pazzo, non per modo di dire, ma buono.

 

Takeshi Kitano era un ragazzino di una famiglia operaia giapponese, con il padre imbianchino che, per Kitano, potrebbe aver orbitato nella Yakuza.

 

Tre storie.

Tre persone.

Tre registi.

 

Per molti sono tre registi che fanno film spocchiosi, perché c'è un bias cognitivo per il quale bisogna sempre soffiare nello straccio malconcio e portare una barca poggiata sul marciapiede, pretendendo di essere chiamati "capitani".

 

Quando invece bisognerebbe capire che sull'asfalto le barche non navigano, che gli stracci non fanno una vela, che non possiamo tutti essere capitani e che va benissimo fare il mozzo, che non dovete giustificarvi con nessuno e che nessuno vi sta attaccando.

Che se una cosa non la conoscete è colpa vostra e non colpa di chi ne parla e che, per chiarezza, non ne parla per farvi sentire in difetto, ma magari ne parla con la speranza che una cosa così bella possa arrivare a molti altri.

 

Il Cinema elitario è una bugia e se siete convinti che esista forse ne siete proprio voi i primi fautori.

 

Ne siete fautori tanto quanto quelli che il Cinema spocchioso provano a scriverlo di proposito e quando lo trasformano in qualcosa, se va bene, diventano membri di un club privato che non interessa davvero a nessuno e che se attira l'attenzione di qualcuno è solo per pena o perché ogni tanto, anche forzatamente, sei costretto a guardare il bambino che grida cercando attenzione mentre si tuffa a bomba in piscina. 

 

Quello che esiste davvero è solo il Cinema e le sue storie.

 

Il resto sono vestiti, la cui convenienza è spesso una truffa.

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