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Proxima - Recensione: prima di partire per lo spazio infinito - TIFF 2019

Un film di astronauti che guardano allo spazio come uomini, facendoci entrare nei panni di Major Tom prima che diventi tale 

Nel recente passato della produzione cinematografica le odissee spaziali sembrano essere tornate al centro dell'immaginario dei migliori cineasti. 

 

Dal secchione Interstellar di Christopher Nolan, al drammatico Gravity di Alfonso Cuarón, fino al The Martian di Ridley Scott per approdare all'Ad Astra presentato alla Mostra di Venezia da James Grey, il Cinema sembra proprio essere tornato a guardare alle stelle.

 

Forse perché, esattamente come nel periodo della Guerra Fredda, l'umanità intera, troppo concentrata su questioni importanti ma da un punto di vista estremamente ingenuo e caustico, sembra aver bisogno nuovamente di un punto di vista siderale e come dice Sarah, la protagonista del film interpretata da Eva Green, noi siamo "la generazione di Marte" e da Marte e dalle foto del buco nero dobbiamo guardare ai problemi terreni. 

 

 

 

 

Alice Winocour scrive e dirige Proxima, un dramma impegnato a raccontare la vicenda di un'astronauta e il processo di allenamento che la porterà a fare parte di una spedizione spaziale lunga un anno.

 

Un tortuoso ed estenuante allenamento fisico e un percorso psicologico che la costringeranno a prestare enorme attenzione sia alle piccole cose che caratterizzano la vita sulla terra tanto quanto il proprio rapporto con la figlia e le sue piccole sfide quotidiane in quanto afflitta da molteplici disfunzioni dell'apprendimento.  

 

Proxima si discosta da un tema che, per chi scrive, è il motivo principe che lo porta ad amare i film e le storie basate sul rapporto che il genere umano ha con l'esplorazione spaziale.

 

Difatti, la fascinazione per l'universo e le connessioni che l'essere umano trova esplorandone e svelandone i misteri, riconducendolo inevitabilmente alla sua stessa genesi e a dilemmi più terreni, viene totalmente abbandonata.

 

Il film della Winocour è un dramma terreno, per nulla metafisico e racconta la preparazione fisica di Sarah, generalmente affrontata dagli astronauti in partenza per lo spazio, attraverso un occhio umano, mettendo in gioco le dinamiche e il dualismo delle sfide che la protagonista deve affrontare nel riuscire a realizzare la propria ambizione di partire per lo spazio e quelle della giovane figlia, portata a interfacciarsi con la mortalita' della madre e le piccole battaglie di una vita che sta cominciando e che andrà avanti, per la prima volta, senza la presenza rassicurante e forte della madre. 

 

Eva Green si impegna nel presentarci una donna determinata, eppure fatta di fragilità, insicurezze e la cui razionalità via via lascia spazio a un lato molto umano, quasi in balìa degli istinti affettivi più basilari che, al cospetto della prospettiva di un viaggio oltre il nostro sguardo, diventano più pressanti. 

 

Proxima vuole instaurare un discorso che l'uomo non ha mai davvero esplorato, poiché se la guerra, le carestie e i traumi causati dalle partenze e dalle distanze sono esperienze universali ben conosciute dall'umanità, non si può certo dire altrettanto dei viaggi spaziali, qualcosa nel quale siamo ancora quasi primitivi. 

 

Il film non mostra mai lo Spazio, non si lancia in voli pindarici, evita di addentrarsi nell'astratto o nel poetico e sostanzialmente racconta un dramma, mettendo il rapporto della protagonista con la figlia al centro e condendo la vicenda con la storia, piuttosto ricca, delle donne astronauta - sempre bene ricordare la nostra Samantha Cristoforetti. 

 

Sarah/Eva Green, francese, deve confrontarsi con i suoi compagni di viaggio, interagire con il bonario astronauta russo interpretato da Aleksey Fateev e il veterano space cowboy di Matt Dillon, un po' burbero e un po' maschilista. 

 

Quanto viene portato al pubblico da Proxima è una testimonianza ben documentata, supportata da immagini girate grazie al contributo delle agenzie spaziali internazionali e forse si fa debole proprio nell'affrontare i temi degli umori terrestri con uno sguardo troppo ancorato al suolo, troppo da dramma familiare, troppo provinciale per personaggi che dovrebbero invece poi partire per la nuova frontiera. 

 

 

[Samantha Cristoforetti in una delle sue missioni a bordo della Stazione Spaziale Internazionale]

 

Il fim scritto da Alice Winocour ha cuore e porta effettivamente lo spettatore da qualche parte, ma senza farlo davvero decollare verso la destinazione ultima.

 

Lasciando le romanticherie legate alla nostra gravità e atmosfera in un posto davvero piccolo e peccando di una certa ingenuità nelle battute finali, con un paio di scene che smorzano quello che fino a quel momento era stato il realismo quadrato della narrazione, dando un accenno di qualcosa che forse sarebbe stato più interessante, in parte e con i giusti toni, raccontare.

 

Quella di Proxima è una sceneggiatura che non sa bene se essere un empowerment per la figura della donna nel panorama scientifico, che mette un americano nel mezzo un po' per convenienza e un cartonato di Paolo Nespoli quasi per dovuta e rispettosa citazione verso un grande esponente del panorama spaziale contemporaneo, che racconta un dramma dimenticando un po' cosa significa per l'essere umano andare a esplorare l'universo.  

 

 

 

 

Cosa fa del nostro mondo il nostro mondo? 

Cosa significa affrontare l'idea di partire per un luogo al quale non siamo ancora pronti ad appartenere? 

 

Quale mistero si cela per un essere che ha passato tutta la vita a desiderare un luogo sconosciuto, spingendosi oltre i limiti della conoscienza e della resistenza fisica? 

 

Cosa significa, poi, raggiungere quel luogo, trovarsi davvero tra le stelle e vedere la normalità del mondo scivolare via nel freddo spazio senza atmosfera e senza suono?

Come si trasforma il tema del viaggio quando si parla di andare oltre i limiti dell'atmosfera, della gravità, diventando un uomo protetto da una capsula di latta? 

 

Proxima non risponde a queste domande, diventa un po' ingenuo, rimane legato al suolo come un palloncino che vorrebbe volare alto ma è comunque conscio dei propri limiti e, nel suo essere comunque un buon prodotto, non riesce a diventare un ottimo e accorato film su un essere umano in procinto di diventare un alieno, lasciandosi alle spalle con un razzo un pianeta terra blu, rimanendo impotente. 

 

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