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Interstellar - Recensione: la sabbia del tempo

Il film di Christopher Nolan esplora il tempo e l'amore

Il tempo. Da sempre il tempo, e la nostra concezione dello stesso, è al centro delle storie raccontate da Christopher Nolan.

 

In Memento è l'idea fondante del film, montato a ritroso e con un protagonista schiavo della sua condizione che gli impedisce di immagazzinare nuovi ricordi, in The Prestige è uno degli elementi chiave che serve ai protagonisti (e agli spettatori) per scardinare il trucco di Borden, in Inception è uno dei protagonisti della storia, vissuto in maniera diversa da ogni personaggio a seconda del piano onirico in cui si trova. 

 

In Interstellar il tempo torna ad essere protagonista. 

 

 



Costato la bellezza di un milione di dollari al minuto, confezionato magistralmente e interpretato da un Matthew McConaughey in forma smagliante, è ambientato in un non ben definito futuro prossimo con il pianeta Terra diventato ostile, arido e minacciato da una piaga che rovina i raccolti e mette a rischio la sopravvivenza della nostra specie, devastato da una sabbia che avanza inesorabilmente, che tutto copre e tutto impolvera.

 

Il film è un oggetto strano, che si svela e si dipana lentamente, sfilacciando i tempi, accelerando e rallentando, e non è un caso che nella storyline ambientata sul pianeta terra siano la sabbia e un orologio gli "oggetti" fondamentali: la sabbia delle clessidre, prima degli orologi, misurava il tempo. 

 

 



Tutto gira attorno a quello: al tempo che manca, al tempo che scorre in maniera diversa a seconda di dove siamo, quelle ore su un pianeta diverso che diventano anni sulla terra, quegli anni che diventano attimi durante il sonno criogenico necessario per affrontare viaggi simili.

 

E il film stesso è un viaggio: oltre la nostra galassia, ma anche dentro di noi.  

 

È sicuramente un film "enorme", una di quelle pellicole (e scrivo "pellicole" a ragion veduta, dato che Nolan non gira in digitale ma preferisce ancora il vecchio supporto fisico) che ti rimangono dentro dopo la visione, che ti costringono a ragionare e non solo a viverle passivamente; un film omnicomprensivo, che parla di un tema enorme come il futuro della razza umana ma sceglie di farlo attraverso i rapporti personali dei - pochissimi - personaggi, un film che spinge alla risata e al pianto, un film cerebrale ma che, per la prima volta nella filmografia del regista, riesce a non essere gelido pur nell'immensità dello spazio profondo, a non essere freddo là dove il freddo permea tutto quanto, a toccare corde emotive comuni a tutto il mondo.

 

 


 

L'accoglienza è stata duplice: è uno di quei film che ha polarizzato il giudizio del pubblico e lo ha diviso in due, creando una fazione che ha urlato al capolavoro e un'altra che lo definisce imperfetto, impreciso.

 

Secondo me hanno ragione entrambe. 

 

È sicuramente uno dei film più ambiziosi che io abbia mai visto, parlando del circuito mainstrream hollywoodiano, talmente ambizioso da risultare quasi presuntuoso, sborone.  

 

Le mire sono evidenti ed altissime, i richiami sono ai nomi grossi, ai mostri sacri della Settima Arte: Stanley Kubrick, Andreij Tarkovskij, Terrence Malick... ma c'è anche Steven Spielberg, George Lucas, c'è quel gioiellino di Moon di Duncan Jones - che mai smetterò di consigliare - c'è L'uomo dei sogni con il baseball e il rapporto padre/figlio, e ancora, e ancora...

 

 

 

 

C'è davvero tanto, dentro Interstellar.

 

C'è l'umanità con i suoi due sentimenti principali, quei due sentimenti capaci di smuovere i popoli e in grado di portare un uomo ad attraversare un buco nero affrontando un viaggio interstellare, i due sentimenti che da sempre accompagnano la Storia - quella con la S maiuscola - e che causano gli eventi della Storia, quelle due emozioni alla base della sopravvivenza umana, la dicotomia sentimentale per eccellenza: l'egoismo e l'amore.

 

L'egoismo inteso come voglia di sopravvivere nonostante tutto, la necessità di mettere se stessi davanti ad ogni altra cosa, l'urgenza di continuare a vivere anche se il pianeta che ti ospita te lo impedisce. 

 

 

 

 

E l'amore, salvifico, che lotta contro il tempo (rieccolo) e che vince la sfida, quell'amore che vince su tutto, l'amore più puro, immediato, disinteressato, quello che ti fa pensare al bene degli altri prima che al bene personale, quello filiale, quello paterno.

 

Su questi due sentimenti Interstellar racconta una storia bellissima, costantemente in bilico sul filo della decisione tra sé e il mondo, tra la salvezza della propria famiglia e quella delle altre milioni di famiglie, da una parte l'immediatezza di un gesto che fa del bene a me ma condanna tutti gli altri, dall'altra parte un sacrificio personale grazie al quale l'intera umanità continuerà a vivere.

 

Non fosse per un paio di cadute di stile evitabilissime - ma parliamo comunque di un blockbuster, anche se d'autore, e qualche concessione alla dozzinalità da popcorn gliela si concede - sarebbe uno dei film più interessanti del secolo, e forse entrerebbe di prepotenza nel gotha dei "Film Importanti". 

 

 



Se all'uscita dalla sala i paragoni sono con quei mostri di Solaris e 2001: Odissea nello Spazio non è per caso: è vero che non raggiunge quelle vette, ma solo il fatto che ci provi fa riflettere.

 

Visivamente ci regala immagini mai viste prima: le parti del viaggio attorno al buco nero, la pentadimensione temporale, gli altri pianeti candidati a diventare la futura casa dell'umanità sono una meraviglia per gli occhi.

 

E a distanza di anni fa ancora discutere, litigare, sintomo questo che testimonia al di là di tutto che Interstellar è un film vivo e pulsante.

 

Ed è uno di quei film da non perdere, pensato per essere vissuto nell'oscurità della sala cinematografica attorniati da sconosciuti che vivono le nostre stesse emozioni nello stesso momento, come se fossimo nel buio dello spazio infinito, rapiti da una storia che riguarda tutti noi, che va dall'immensamente grande all'immensamente piccolo, che alterna la lotta per la sopravvivenza di una famiglia alla lotta per la sopravvivenza del genere umano. 

 

 



E qualunque sia la fine, ci insegna che non esiste ricompensa personale, non esistono premi se non per interposta persona, che esiste solo la gratitudine universale per una nuova occasione, una nuova speranza, che va al di là dell'individuo e che tocca tutti.

 

Il personaggio di Matthew McConaughey nel film dice che l'uomo non è un guardiano, ma è un esploratore, un pioniere.  

 

Ed è la definizione che meglio descrive Interstellar: esplora.

Pionieristicamente, prova ad andare dove non siamo ancora andati per vedere se ci si può andare.

 

Dire se ci sia riuscito o meno, è un compito affidato a ognuno di noi. 

 

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