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Stranger Things 3 - Recensione bipolare: mi è piaciuta, ma non mi è piaciuta

Non riuscendo davvero a capire se mi sia piaciuta o no, viva il bipolarismo

Mi è piaciuta e non mi è piaciuta, quindi non so bene come recensirla. Ho visto due volte la terza stagione di Stranger Things e in entrambe le occasioni quello che ho provato è stato lo stesso: durante la visione delle puntate ero entusiasta, appena finivano le puntate ero irritato. 

 

Ho cercato di capire i motivi dell'entusiasmo e dell'irritazione e proverò ad esporli qui di seguito, ma se qualcuno mi dovesse chiedere se mi sia piaciuta la nuova stagione della serie Netflix non potrei che rispondere che mi è piaciuta molto e non mi è piaciuta affatto.  

Non c'è come uscirne.

 

Non riesco a decidere da che parte stare. 

 

 



Entusiasmo e irritazione si bilanciano, si equilibrano, dove vedo del bello vedo contemporaneamente qualcosa che non va, dove vedo del brutto vedo contemporaneamente qualcosa che funziona bene. 

 

Quindi ecco perché ho deciso di scrivere una recensione bipolare, che tra le altre cose viene incontro ai gusti di ognuno: se vi è piaciuta la stagione 3 di Stranger Things potete leggere solo la recensione entusiasta, trovando magari delle conferme, se invece non vi è piaciuta potete leggere solo la recensione irritata, trovando conferme anche lì. 

Oppure potete fare il contrario e decidere di leggere la recensione opposta al vostro pensiero, o ancora potete leggerle entrambe e scoprire a quale delle due vi sentite più affini. 

 

Io non ho ancora capito se mi sia piaciuta o no, e credo che non lo scoprirò mai. 

  

 

 

Stranger Things 3 mi è piaciuta un sacco! 

 

Non era per niente facile tenere alta l'asticella posta lassù dai Duffers Brothers: la prima stagione di Stranger Things è stata fulminante e in grado di inserirsi al momento giusto in questo Mare Magnum di recupero e riscoperta degli anni '80, con una serie che pescava con le bombe tutto quello che di pop ci ha dato quel decennio nel cinema, nei fumetti, nei telefilm e nei videogiochi. 

 

Un concentrato di nerditude spuntato su Netflix nel periodo perfetto, quando cioè essere nerd non è più motivo di vergogna bensì vanteria. 

 

La seconda stagione fu inevitabilmente meno affascinante: un po' perché non poté sfruttare l'impatto della novità e un po' perché i fratelli Duffer non ebbero per pensarla e scriverla tutto il tempo che poterono dedicare alla prima. 

 

La stagione 3 era quindi attesa al varco sia dai fan che dai detrattori, e sinceramente credo che gli autori abbiano colto nel segno: senza perdere di vista l'humus ormai tipico di Stranger Things che mescola commedia, teen horror, fantascienza e thriller, hanno spostato il racconto facendolo crescere come i suoi giovani protagonisti, aggiungendo ulteriore profondità ad alcuni personaggi e facendoli muovere in continuazione, senza sosta e con davvero pochissimi momenti per riflettere sul da farsi. 

 

Un'intuizione particolarmente riuscita è quella della divisione dei protagonisti.  

 

 



Quando gestita bene è un'idea che funziona sempre perché permette, sia alla regia durante le riprese che allo spettatore durante la visione, di concentrarsi su un gruppo alla volta senza disperdersi con il rischio di lasciare qualcuno indietro. 

 

La stagione 3 di Stranger Things viene quindi divisa in quattro gruppi - che diverranno poi tre: in uno vediamo Dustin, Steve, Erica e Robin; in uno vediamo Hopper e Joyce (ai quali in seguito si aggiungeranno Murray e Alexis); nel terzo gruppo abbiamo Undici, Mike, Max, Lucas e Will e nel quarto Jonathan e Nancy. 

 

Gli ultimi due gruppi si uniranno in corsa, ma per il resto la grande maggioranza della serie resta così suddivisa.

 

La divisione dei gruppi di protagonisti serve agli showrunner anche per dividere i piani di lettura e mescolare i generi nelle stesse puntate, perché il thriller fantascientifico alla base di Stranger Things viene quindi affrontato dai vari punti di vista: c'è quello più scanzonato e che presta il fianco alla teen comedy con i due adolescenti che lavorano in gelateria e i due bambini - menzione d'onore per la figlia d'arte Maya Hawke che interpreta Robin: spero di rivederla spesso da qui in avanti - che spiega la parte cospirazionista e politica della serie; c'è il punto di vista più fantascientifico e a tratti orrorifico grazie alla doppia coppia Undici/Mike e Max/Lucas con Will, che diventa anche più strettamente teen romance per le dinamiche che si creano tra le coppie e tra gli amici di vecchia data che crescono in maniera differente.  

 

 

 


C'è poi il punto di vista meno bambino dei primi due, quello di Nancy e Jonathan giovani adulti alle prese con il mondo del lavoro, che affronta il thriller dal punto di vista dei media e mostra un approccio più da giallo investigativo e infine il punto di vista "dei grandi": Hopper e Joyce, con le loro dinamiche interne, gli intrighi istituzionali, i favori politici e i giochi di potere, lo schema più grande delle cose senza vederle da vicino se non proprio alla fine. 

 

E va sottolineata la chimica tra David Harbour e Winona Ryder, due personaggi nati lontani ma che finiscono con l'essere più vicini di quanto si aspettassero. 

 

Il revival degli anni '80 è immediato anche per la scelta della nazionalità dei cattivi: siamo nel 1985 e i malvagi sono i sovietici, che tentano di riaprire il portale per il Sottosopra e stanno facendo esperimenti proprio nella cittadina di Hawkins, Indiana. 

Nella cinematografia a stelle e strisce i cattivi degli anni '80 erano russi per definizione. 

 

Ovviamente se si parla di 1985 non si può evitare di nominare Ritorno al Futuro, che infatti compare all'interno della serie in un omaggio piuttosto corposo, con tanto di applauso sul finale da parte degli spettatori al cinema.  

 

Dopo le prime due puntate introduttive la serie scorre via velocissima e i momenti di tregua sono davvero pochissimi.  

 

 



Nella stagione 3 Stranger Things decide di palesare ancora più che nelle stagioni scorse i propri riferimenti e i propri modelli cinematografici: il mostruoso Mind Flayer si impadronisce dei corpi degli esseri umani come succedeva ne L'Invasione degli Ultracorpi, si muove e passa attraverso le grate delle porte come Blob - Fluido Mortale e ha la stessa determinazione e lo stesso killer instinct dello xenomorfo di Alien

 

Il budget notevolmente ampliato negli anni si vede tutto: la ricostruzione storica è perfetta nelle scenografie e nei costumi, le scene di massa con le comparse sembrano prese dai filmati di 35 anni fa - non fosse per l'estrema pulizia visiva dovuta all'utilizzo delle cineprese RED Monstro 8K - e le musiche citano tutte impunemente i film di quel periodo, da quelli di John Carpenter ai docufilm di Godfrey Reggio

 

Il plot in sé è se vogliamo semplice, ma efficace: sappiamo già in partenza che i nostri piccoli eroi avranno la meglio ma ci interessa vedere come succederà, non mancano i momenti di tensione e i colpi di scena, soprattutto sul finale dove ci troviamo a dover salutare uno dei protagonisti che abbiamo visto fin dalla prima puntata della stagione 1. 

 

Il pericolo e l'orrore di scoprire che i nostri cari potrebbero essere qualcosa di mostruoso viene mescolato alle incomprensioni e al terrore di perdere la persona amata per colpa della parola sbagliata al momento sbagliato, e personalmente ritengo che la stagione 3 di Stranger Things abbia anche un ulteriore grande merito, qualcosa di cui lamentavo la mancanza non molto tempo fa.  

 

 



Uno dei personaggi principali è dichiaratamente omosessuale, ma la cosa si scopre solo dopo qualche episodio proprio perché la sua preferenza sessuale non è una delle sue caratteristiche principali. 

 

Tra i problemi della Hollywood attuale c'è quello di dipingere i personaggi non eterosessuali quasi come delle macchiette, presentandoci la loro sessualità come il tratto distintivo più importante e non come una delle sue tante sfaccettature, magari nemmeno troppo fondamentale ai fini della storia. 

 

Qui succede - finalmente - il contrario.  

 

 



Il personaggio è tridimensionale, secondo me scritto e interpretato molto bene e nulla lascia presagire il fatto che non sia etero, proprio perché nel plot che lo vede impegnato la cosa non interessa; noi spettatori lo sappiamo, e così anche un altro personaggio, solo quando diventa necessario nella storia, fungendo in questo modo anche da colpo di scena ma senza diventare qualcosa di sensazionalistico. 

 

E sul finale è inevitabile sorridere e cantare assieme ai protagonisti l'immortale The NeverEnding Story di Limahl - brano di cui ho a casa il 45 giri, giusto per sottolineare la mia età più vicina a Hopper che a Dustin - che assume un'importanza inaspettata ed è già diventato il brano culto della serie. 

 

 

 

Stranger Things si avvia quindi alla stagione 4 con un rinnovato gruppetto di giovani eroi la cui vita sta inevitabilmente cambiando e allargandosi, e non sono sicuro che Hawkins sarà ancora l'epicentro delle prossime puntate. 

 

Ma mi auguro che quel sapore risultante dal mescolìo di generi abilmente dosati da Matt e Ross Duffer rimanga quello che è, per tuffarmi nel passato e commuovermi e spaventarmi con la stessa serie, cosa niente affatto semplice. 

 

Questa stagione 3 di Stranger Things mi ha davvero entusiasmato. 

 

 

 

 

Stranger Things 3 non mi è piaciuta per niente. 

 

Ho amato la prima stagione di Stranger Things, ritenendola perfetta per il momento storico che stiamo attraversando e carica di riferimenti e rimandi agli anni '80 senza mai diventare pesante o eccessivamente citazionista in maniera gratuita. 

 

Ho amato meno la seconda stagione perché ritengo si fosse allontanata troppo da quello che era, perdendo un po' la sua identità così forte e inventandosi situazioni che non portavano da nessuna parte, come tutta la parte riguardante le sorelle di Pittsburgh e Chicago di Undici che, in effetti, si chiama "undici" per un motivo che in fin dei conti è sempre rimasto un po' troppo in superficie. 

 

Questa terza stagione cade inesorabilmente nel difetto che non aveva la prima.  

 

 

 

 

Oltre a perdere completamente di vista le situazioni aperte nella stagione 2, come appunto le già citate sorelle del tutto dimenticate, la stagione 3 di Stranger Things replica lo scenario visto nella stagione 1 con la differenza di avere Will all'interno del gruppo. 

 

Will che però è come se non ci fosse, abbandonato dagli sceneggiatori in un limbo dal quale esce solo per avvisare gli altri che il cattivo è vicino o per chiedere loro se vogliano giocare a D&D. 

 

Mike risulta pressoché inutile, se non per preoccuparsi di Undici, Jonathan e Nancy hanno ampiamente fatto il loro percorso e non hanno più nulla da aggiungere, Joyce è imprigionata nel ruolo della mamma spaventata e la cosa certo non aiuta la performance di Winona Ryder e Hopper cambia registro passando dall'essere un papà protettivo a uno psicopatico e da uno sceriffo tutto d'un pezzo a un bambinone immaturo.  

 

 



Le prime due puntate e mezza sono a tratti soporifere, e non si comprende bene come mai si sia scelto di creare delle "puntate introduttive" in una stagione 3: il rapporto tra Hopper e Undici è simpatico, ma non va mai al di là di piccoli sketch già visti e quindi prevedibili, con la ragazzina che vorrebbe il proprio spazio e il padre che non vuole che cresca così in fretta. 

 

La scelta dei cattivi sovietici è coerente con il revival, ma appare essere solo una scusa per allargare il plot: non esistono personaggi memorabili né approfonditi, il cattivone che ricorda Terminator è di una piattezza disarmante così come lo è lo scienziato Alexei, le cui sorti non emozionano più di tanto proprio perché nulla fa per farci empatizzare con lui. 

 

E piatti e prevedibili sono anche il militare di alto grado che ha a che fare con Steve e Robin e "il dottore" che prepara gli strumenti di tortura prendendoli da un borsone e adagiandoli uno alla volta su un carrello metallico. 

 

Ma piatti e schiavi dei cliché sono anche i giornalisti che prendono in giro Nancy e il sindaco Kline, quindi non è questione che riguarda solo i villain.

 

 



Le citazioni di film, videogiochi, telefilm e musica del decennio più edonista del secolo scorso diventano l'ossatura di Stranger Things invece di esserne solo il contorno. 

 

La citazione è simpatica quando resta tale, quando però diventa essa stessa non più citazione ma racconto allora ecco che il vero racconto si denuda.  

E si denuda anche se la suddetta citazione viene reiterata in più modi con il risultato di diventare gratuita e non genuina, se non a volte spudoratamente commerciale. 

 

Il product placement di Coca-cola e della New Coke, con tanto di Lucas che recita il claim pubblicitario, è qualcosa di imbarazzante per quanto sia sfacciato. 

 

Tutta la stagione 3 di Stranger Things è disseminata di inevitabili citazioni che però alla lunga stancano: nel momento in cui il racconto viene ambientato nel 1985 era già scritto che ci sarebbe stato un riferimento a Ritorno al Futuro, e infatti c'è. 

 

Ma oltre ai protagonisti della serie che vedono il film al cinema e ne parlano successivamente dimostrando di aver capito ben poco della storia, non c'è nulla. 

Non è importante che film guardino Steve e Robin in quel momento. 


Ritorno al Futuro è quindi buttato lì, non serve alla storia di Stranger Things e non fa scattare in loro delle idee o delle intuizioni utili a portare avanti il loro destino. 

 

Potevano andare a guardare Cocoon e sarebbe stata la stessa cosa, per loro. 
Ma magari non per noi.


Così però è giocare facile, Duffer brothers.  

 

 



Ci sono dei nuovi personaggi che diventano a tutti gli effetti protagonisti in questa Stranger Things 3, ma a parte Robin che si dimostra essere un personaggio a tutto tondo, interessante, affascinante e divertente, gli altri due risultano essere solamente delle caricature. 

 

Da una parte c'è Erica, la sorellina del già noto Lucas, che nonostante la sua tenera età si rivela di una pedanteria e altezzosità insopportabili, con atteggiamenti e vocabolario adatti allo stereotipo della donna di colore sui quarant'anni, tutta dito in avanti e collo che si muove a destra e sinistra. 

Davvero poco credibile e per niente in grado di evolversi lungo le puntate, è più fastidiosa che divertente, nonostante dia modo a chi interagisce con lei di regalarci delle espressioni molto buffe. 

 

L'altro personaggio-macchietta è Murray, l'amico di Hopper che parla un più che fluente russo e che aiuterà lo sceriffo e Joyce nei rapporti con lo scienziato rapito dai due. 

 

Altro stereotipo dell'americano complottista e paranoico, che si nasconde dal governo e dal mondo vivendo in un vero e proprio covo. 

 

Risulta gentile e ben disposto solo nei confronti di Alexis, mentre con i due protagonisti si rivela irritante, sarcastico e inopportuno, con dei personali tormentoni - la ripetizione per tre volte della stessa parola per interrompere l'interlocutore - che annoiano subito e che incredibilmente... snatura se stesso in una scena fondamentale. 

 

 



Un personaggio simile, dipinto in una maniera simile, che si abbandona a delle leggerezze assurde come gli si vede fare nella scena al Luna Park è personalmente sintomo di mancanza di idee: il destino di alcuni doveva essere quello e agli sceneggiatori è importato poco restare fedeli a ciò che avevano scritto fino a quel momento, decidendo così di far comportare un paranoico nella maniera più ingenua possibile. 

 

Ho gradito ben poco anche tutta la questione che legava Undici al Mind Flayer

 

Se nella prima stagione il legame era descritto bene e aveva un senso, qui la cosa assume dei contorni quasi comici: non si capisce perché il malvagio dovrebbe vederla come la sola e unica minaccia sul Pianeta Terra ed è molto conveniente che Undici possa leggere solo dei selezionatissimi ricordi di Billy. 

 

Oltre ad essere una soluzione di comodo già utilizzata nella stagione 2, e che quindi risulta riciclata alla bisogna, l'idea è quella che ribalterà tutto quanto nel finalone di stagione, facendo redimere il cattivo che deciderà di sacrificarsi nel nome di non si sa bene cosa.  

 

 



Idee già utilizzate, citazioni buttate per fare numero, musiche a un passo dal plagio - qualcuno dica a Philip Glass che alla fine della puntata 6 gli viene copiato uno dei suoi splendidi brani della colonna sonora di Koyaanisqatsi - storia molto prevedibile che non racconta nulla che vada al di là di ciò che si vede, la maggior parte dei rapporti tra i personaggi esile e profonda come una pozzanghera. 

 

E un finale che reitera una volta ancora il copione già visto, senza sorprese e senza colpi di scena. 

 

Questa stagione 3 di Stranger Things mi ha davvero irritato. 

 

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3 commenti

Teo Youssoufian

4 anni fa

guardo qualunque cosa in lingua originale da una vita, non l'ho mai nominata "Undi" ma Undici perché è il nome in italiano… 
e la recensione è in italiano 😉

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Andrea Cavo

4 anni fa

Certo capisco perche sia un po' fuori di testa, hai ragione. A non convincermi é come hanno fatto recitare Harbor, molto sopra le righe per far ridere (cosa che con me non é mai successa).

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Andrew_709

4 anni fa

Hopper ha il trauma regresso di Sarah, per me ci sta che sia così eccessivo.
Per il resto la penso come te!

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