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Cinefili per moda o per volontà?

Una riflessione su due modi di dirsi ''cinefili'', nata dall’insofferenza per uno dei due

La più bella definizione di cinefilo che abbia mai letto vedrebbe questo individuo come amante dell'intera esperienza della fruizione cinematografica, delle sue componenti, dei gesti, e della sfera emotiva che si crea attorno.

 

Si parte dal rendersi conto che le scritte fitte poste nella parte inferiore delle locandine e quelle dei titoli di coda sono quelle che fanno la differenza, e si arriva a voler comprendere quale posizione ogni film che si vede ricopra in un'ipotetica linea temporale che va dai fratelli Lumière al Festival del Cinema di Cannes 2019.

 

La conoscenza rivela contestualmente la propria ignoranza.

È probabilmente il primo principio di tutta la filosofia occidentale.   

 

 



L'ignoranza non rivela nessuna conoscenza, invece, tantomeno quella rivolta a se stessa.

 

L'ignoranza, per così dire, non può credersi mai tale.

 

Questa inclinazione al difetto - al ritardo, per meglio dire: il sentirsi mai giunti, arrivati, completi, adeguati, "i primi", non denota un fastidioso ricorso alla falsa modestia, desideroso invece della riconferma dell'altro che, nella prassi di queste dinamiche, dovrebbe rassicurare chi la adotta del suo apparentemente insindacabile valore; no: quell'impulso ha una finalità e una dignità diverse, ma solo se è intimo e non comunicato.  

 

La conferma del proprio valore giungerà, se mai, da se stessi.

Ha valore non il dire di sentirsi in difetto, ma agire coerentemente con questo intimo pensiero, impegnandosi perché esso vada nella direzione di uno sbiadimento certo mai completato, ma progressivo. 

 

 

 

 

Questo accade quando si vive a contatto con individui che si prendono a modello nei confronti dei quali si sente di poter imparare. 

 

Ma si trattava di conoscenza... 

L'impulso a conoscere porta ad aprire sprazzi di ignoranza proporzionalmente sempre più vasti.

 

La cinefilia non è quindi acquisizione di conoscenze più di quanto sia acquisizione di non conoscenze.

 

Volendo io difendere la posizione di Cinema come momento di arricchimento di singole anime assieme - questo dopotutto succede in sala: l'esperienza collettiva di menti singole - ritengo la figura del cinefilo come naturalmente orientata alla condivisione della sua natura con gli altri.   

 

 



Il contatto costante con le competenze altrui segna il sorgere di quei modelli di cui dicevo, e quindi la sensazione di sentirsi in difetto.

 

Lo stesso fa, più in generale, l'approccio alla Storia del Cinema, alla filmografia degli autori e qualunque operazione di ricerca personale sull'argomento.

Più si conosce più si è consapevoli di ciò che non si conosce.

 

Al crescere dell'intimo senso di ignoranza, e vengo al cuore di questo articolo, si delineano le risposte possibili che definiscono l'idea personale su cosa sia l’esperienza cinematografica e con esse due tipi di cinefili; o forse uno, e la sua degenerazione:

 

1) l’accumulazione bulimica ipercomunicata di film;

2) la costruzione di un personale approccio sempre più selettivo rivolto specificamente a ciò che si scopre man mano essere maggiormente arricchente per sé.   

 

Ritengo più interessante il secondo approccio e con esso l’arrivare a definire con sempre maggiore precisione che cosa si ami, piuttosto che fare esperienza transitoria di ogni stimolo e presto rigettarla per sostituzione (un'esperienza bulimica, appunto).  

 

 



Definire il proprio gusto, educarlo, significa necessariamente imbattersi in porzioni di cinema che non si amano e nei confronti delle quali andrà difesa l’antipatia.

 

Sapere definire cosa non si apprezza è il primo sintomo di stare possedendo una conoscenza più approfondita di un argomento.

Il litigio, la difesa non della propria opinione su un film quanto invece della propria opinione sul proprio gusto sono necessarie in questo campo.  

 

Quando difendiamo il nostro film preferito da un attacco ritengo infatti che quello che ci importa davvero non sia di difendere l'oggettivo valore di un'opera - la sua grammatica - ma piuttosto il nostro gusto e la nostra personale definizione che di lui - del gusto - stiamo piano piano costruendoci.

 

Infarciamo il nostro commento di giudizi tecnici, ma è il piacere che abbiamo provato durante la fruizione ciò di cui ci interessa, in verità, difenderne la legittimità. 

 

L’aggressività mostrata quando un film simbolo di quel nostro gusto viene deprezzato, specie se da coloro di cui ci dicevamo estimatori delle loro opinioni e giudizi, rivela l’importanza capitale che ha per noi conoscere con sempre maggior precisione che cosa amiamo maggiormente; e poco sotto tenterò di spiegare quali sono le nostre aspirazioni in tutto ciò. 

 

 

Nel cinema esiste l'oggettività, ma la soggettività ci pare essere più importante.

 

 



Non è scontato conoscere tali ragioni, e di solito queste si limitano ad essere sentite ma non definite.

 

Se così è risulta evidente che ci si trovi ogni volta in un contesto potentemente emozionale.

 

Non sto parlando dopotutto di un contesto di critica cinematografica tecnica, ma dei momenti di condivisione interpersonale, dei suggerimenti e della semplice espressione di opinioni. 

 

In tutto questo, l'atteggiamento del cacciatore a caccia di trofei o dello sportivo che accumula nuovi record personali non si sposa con la definizione di amante di ogni sfaccettatura che riguardi l'esperienza cinematografica; insomma, la quantità di film visti non conta nulla quando si parla di capacità di parlare agli altri di cinema. 

 

Si può essere davvero comunicativi e convincenti solo se si parla soltanto di ciò che si ama/odia. 

 

Ogni recensione, presentazione, dichiarazione e articolo che riguardino un film deve avere presente questo come primo accorgimento: la decisiva differenza fra l'informare di aver visto un determinato film e informare di avere amato (o odiato) un determinato film.

 

La sana cinefilia è l'accumulo di emozioni ed insegnamenti, non di trofei. 

 

 

 

 

Ignoranza e inesperienza non stanno nella mancanza - quantitativa - di titoli visti, ma nella mancanza - qualitativa - di un'idea di come sia composto il proprio gusto; nel non essersi mai allenati a rispondere alla domanda “cosa mi/non mi piace, e perché?”. 

 

E veniamo alle motivazioni di questo... articolo sulle motivazioni: il fine utopistico di un cinefilo a mio avviso non dovrebbe essere completate la visione di tutti i film della Storia del Cinema, ma di acquisire una sensibilità tale da giungere a fruire soltanto di quelle pellicole che lo arricchiranno di un piacere sempre più grande e conforme alla fase della vita in cui si trova.

 

Ci sono gusti di gelato che non ho mai assaggiato in vita mia, mentre ne incontro alcuni per la prima volta che so apprezzerò, e ci azzecco, e l’esperienza di mangiare un gelato è sempre migliorata: sto cominciando a diventare un esperto.

 

Esempio ironico e parossistico, ma il punto è che ora so cosa mi piace e perché - e fare questo con i film è molto più semplice che farlo con i gusti alimentari, perché abbiamo più parole per descrivere le caratteristiche degli oggetti del primo mondo rispetto al secondo. 

 

 

 

 

A misurarsi, dunque, non possono essere il numero di film visti, ma la quantità media di soddisfazione complessiva derivata dalla visione di tutto ciò che si è scelto di vedere - o rivedere! 


Personalmente apprezzo di più chi sa parlare con reale passione e precisione anche di pochi film, che non chi nella mente ha una sterminata distesa di pellicole sbiadite l’una dall’altra delle quali non sa più dire nulla e di cui ha dimenticato persino che cosa ha provato vedendole.

 

In questo si determina chi davvero sta amando il cinema.

Non si collezionano titoli, si collezionano impressioni. 

 

 



E per finire: una recensione, un commento, una presentazione, un'analisi sono tutte, sempre, anche un suggerimento.

 

Una promessa di un'esperienza piacevole.

 

Ogni parola spesa sul Cinema dovrebbe rendere ragione dei motivi per cui richiede l’attenzione altrui.

Deve meritarsela.

 

Non limitarsi ad informare di aver visto, ma far capire perché quel tal oggetto è stato degno della nostra stima, e per farlo possiamo lasciar parlare parti di esso come immagini e citazioni, ma "la soggettività ci sembra essere più importante", ecco perché dobbiamo solo allenarci a usare parole nostre, specie nella discussione costruttiva, e meravigliarci degli effetti del loro miracoloso potere performativo sugli altri.  

   

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108 commenti

Sebastiano Miotti

5 anni fa

Grazie davvero!

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Sebastiano Miotti

5 anni fa

Grazie Giuliana! L'articolo che immagini verso la fine dovrebbe uscire presto:)
Sono completamente d'accordo con l'appunto che mi fai. Avrebbe senso la mia affermazione solo qualora il "recensore" parlasse di altro, grazie al film, ma non strettamente di cinema

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Sebastiano Miotti

5 anni fa

Sono estremamente d'accordo con te Nuriell. Vale anche con l'insegnamento in generale a mio parere

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Sebastiano Miotti

5 anni fa

Basta non affermare che siano film mal realizzati, ma che non piacciano e sacrosanto!

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Daniele Ticconi

5 anni fa

Assolutamente: il secondo me è sottinteso, a volte me lo scordo quando scrivo 😅

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Stanley K.

5 anni fa

Perché ritengo che Truman sia un cervello cartesiano in una vasca, immerso in una realtà che crede reale, ma che è solo finzione. Il dubbio che a un certo punto viene a Truman, su quale sia effettivamente la realtà, ritengo sia cartesiano. Nel suo show, l'unica cosa su cui può fare affidamento è se stesso. Lui c'è sicuramente. Tutto il resto è realtà o finzione? Poi chiaramente il tutto viene risolto con l'impatto della sua barca sul muro cartonato. 
Non so, magari non c'entra niente, ma ho sempre pensato al cogito (e quindi al dubbio) cartesiano guardando quel film ahahah

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Dalila Croce

5 anni fa

Sì davvero. Poi che senso ha vedere un film se non si è nello stato di coglierne bene il significato e gustarselo davvero??😊

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matsod

5 anni fa

Capisco il tuo punto di vista ma ti posso dire che io stesso ho visto varie cose a scatola chiusa. Un esempio potrebbe essere Lynch. Fino a qualche anno fa non lo conoscevo, non sapevo che tipo di film facesse, eppure sentivo che se ne parlava, che veniva molto acclamato. Scelsi di iniziare a vedere qualcosa di suo in maniera semi-casuale ma senza assolutamente informarmi su che tipo di artista fosse; ricordo di aver pensato (e lo ricordo perche mi capita ancora quando voglio "sperimentare" qualcosa di mai visto prima) "non mi faccio condizionare da pareri o giudizi di altre persone. Lo guardo, se mi piace bene e se non mi piace amen". Poi sono d'accordo che l'80% dei film visti non sono a scatola chiusa, anzi dipendono dai gusti personali, ma almeno personalmente quando voglio sperimentare un regista, una "scuola" o un certo filone cinematografico che non conosco minimamente...preferisco di gran lunga la scatola chiusa ahah

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laura fonti

5 anni fa

capisco perfettamente il tuo punto di vista, quello che non condivido è questo senso di immobilità del gusto, come se noi, ed il nostro gusto insieme a noi, non possa mai cambiare, senza contare che molto spesso non si hanno gli strumenti per giudicare un film in maniera aprioristica, il rischio che si corre, ed in questo senso il tuo concetto di "premonizione" calza a pennello, il rischio che si corre dicevo è quello di giudicare un film dalla sua "copertina", e qui si che si ha bisogno delle premonizioni :)

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paolo rizzo

5 anni fa

Perfettamente daccordo

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