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The Legend of Ochi è il primo lungometraggio di Isaiah Saxon con Helena Zengel, Willem Dafoe, Emily Watson e Finn Wolfhard, distribuito in Italia da I Wonder Pictures.
In un villaggio remoto immerso nell’atmosfera fiabesca e senza tempo dell’immaginaria isola di Carpathia, sul Mar Nero, gli uomini condividono la foresta con gli Ochi, famigerate creature simili a primati conosciute per la loro aggressività, temute e osteggiate con ferocia dagli abitanti della zona.
A capo della stramba squadra di adolescenti addestrati come cacciatori di Ochi c’è il bizzarro adulto Maxim (Willem Dafoe), animato da propositi di vendetta e deciso a fare della giovane figlia Yuri (Helena Zengel) una cacciatrice professionista.
Yuri però è timida e introversa, è fan del gruppo musicale black metal Hell Throne ed è l'unica ragazza nel gruppetto di improvvisati e precoci cacciatori; ripudia il fanatismo del padre e quando si trova faccia a faccia con un cucciolo di Ochi rimasto ferito decide di aiutarlo a guarire e fugge da casa.
[Il trailer di The Legend of Ochi]
The Legend of Ochi è un fantasy dai toni epici immerso in un’atmosfera incantata in cui il rapporto uomo-natura emerge in tutta la sua contraddittorietà.
Al centro del film, scritto e diretto da Isaiah Saxon e prodotto dai fratelli Russo con A24, c’è il coming of age di una ragazzina cresciuta nella bolla di fanatismo e squallore del padre, ossessionato dalla caccia agli Ochi e imprigionato in una visione triviale del rapporto con il mondo animale.
Le creature di The Legend of Ochi, scimmiette dall’apparenza dolce e innocua con un carattere forte e combattivo, sono per Saxon il pretesto narrativo per parlarci di famiglia spezzata e ritrovata e del rapporto tra uomo e natura contaminato dalla paura di ciò che non si conosce (animale o emozioni che siano).
Il regista sconvolge per una volta il consolidato paradigma filmico del rapporto tra uomo e mondo animale – che prevede l’antropomorfizzazione del secondo per assomigliare il più possibile al primo – parlando con un linguaggio nuovo, ecologista, fatto di gesti di cura e empatia che vanno dall’uomo all’animale e non viceversa, incomprensibile alle vecchie generazioni saldamente ancorate ad un rapporto antagonista con la natura.
[Una scena di The Legend of Ochi]
Gli Ochi sono realizzati con tecnologia animatronic, senza uso di computer grafica (simili all’intramontabile ET - L’extraterrestre) e non vengono addomesticati ai costumi e al linguaggio umani: la loro dimensione selvaggia e selvatica rimane dunque immutata, senza forzate e facili riconciliazioni con l'umano persecutore, anzi.
Il ritorno a casa del cucciolo ferito diviene l’occasione per l’esplorazione di un mondo nuovo con le sue complessità, tra cui il rapporto con la figura materna.
Tutto è comunicazione non verbale e musica in The Legend of Ochi, dai versi straziati e strazianti degli Ochi perseguitati dalla strana banda di soldatini di Maxim, al flauto incantato della mamma esiliata e inselvatichita (Emily Watson), nel sottofondo costante e diegetico della colonna sonora composta da David Longstreth.
Il viaggio dell’eroe, qui eroina ribelle in fuga dall’assurda oppressione paterna, ha un sapore nostalgico e lascia un senso di ellissi e incompiutezza nonostante le potenti suggestioni suscitate da scenografia e colonna sonora, portando a un finale frettoloso e a mio avviso un po' troppo approssimativo.
La scelta di effetti speciali perlopiù analogici, come pupazzi animatronic e pittura matte, vagheggia un gusto rétro a cui si aggiunge il bizzarro come elemento di straniamento, tipico di un certo Cinema anni '80 e '90.
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Siete creaturine come quelle di The Legend of Ochi? Oppure per voi The Legend of Ochi è pieno di animali da mangiare?
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