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Donnie Darko - Recensione: è la fine del mondo, bellezza

A più di vent'anni dall'uscita torna in sala il cult movie di Richard Kelly, uno dei film più influenti del nuovo millennio 

A quasi ventiquattro anni di distanza dalla première del film al Sundance Film Festival risulta ancora difficile trovare le parole adatte per definire Donnie Darko.

 

Il film di Richard Kelly, che torna nelle sale italiane dal 3 al 5 giugno, è al contempo un sensibile coming-of-age, un nostalgico e inquietante ritratto della provincia statunitense alla fine degli anni '80, una suggestiva riflessione sui viaggi nel tempo e il racconto su una fine del mondo senza eguali.

 

Donnie Darko è stato forse l'ultimo cult movie dell'era pre-Internet, dove film di scarso successo commerciale trovavano la loro nicchia grazie al passaparola e al mercato home video: un fenomeno di massa che consentì al film di uscire dall'anonimato grazie a una serie di fortunati eventi, proprio quando tutto sembrava perduto per l'esordio di un giovane regista con le idee chiare e pronto a tutto per mettere in scena la propria tenera e apocalittica visione.

 

[Il trailer originale di Donnie Darko, pronto a tornare in sala per tre giorni, dal 3 al 5 giugno, grazie a Notorious Pictures]

 

 

Donnie Darko è il nome del protagonista del film, interpretato da un allora diciannovenne Jake Gyllenhaal, giovane liceale di Middlesex, Virginia, che soffre di nottambulismo e schizofrenia paranoide che lo portano ad avere visioni di Frank (James Duval), un uomo misterioso che appare al ragazzo in costume da coniglio.

 

La notte del 2 ottobre 1988 Donnie lascia la propria abitazione seguendo Frank, che gli preannuncia che la fine del mondo è vicinissima, esattamente 28 giorni, 6 ore, 42 minuti e 12 secondi da quel momento; risvegliatosi in un campo da golf, Donnie scopre che nella notte il motore di un aereo è precipitato proprio su camera sua, dove lo avrebbe sicuramente ucciso se fosse rimasto in casa.

 

Nei giorni seguenti Donnie Darko cerca di carpire il mistero di Frank con l'aiuto di due amorevoli professori e di Gretchen (Jena Malone), una ragazza dal passato violento appena giunta in città e della quale Donnie si innamora, ricambiato.

 

Mentre le visioni di Frank si intensificano e il mondo intorno a lui sembra impazzire tra elezioni imminenti, santoni impostori e buchi temporali, il countdown per la fine del mondo prosegue inesorabile, portando Donnie a prendere coscienza del suo ruolo nell'imminente incontro col destino.

 

 

[Donnie Darko (Jake Gyllenhaal) si appresta a eseguire gli ordini del misterioso Frank in una scena del film]

 

 

Realizzato con un budget di 4,5 milioni di dollari e finanziato dalla Flower Films di Drew Barrymore (che nel film interpreta la professoressa Karen Pomeroy), Donnie Darko è il film d'esordio di Richard Kelly.

 

Il giovane e ambizioso autore appena uscito dalla scuola di Cinema ha scritto il film combinando tra loro diversi generi e suggestioni: i teen movies di John Hughes, la fantascienza di Ai confini della realtà, il surrealismo e lo sguardo da incubo sulla provincia a stelle e strisce di David LynchStephen King (il suo best-seller IT, apice dell'orrore provinciale dello scrittore, compare nel film in grembo alla madre di Donnie).

 

La strada per il successo non è stata per nulla semplice per Donnie Darko: Richard Kelly ha realizzato il film a soli 25 anni, dirigendo un cast misto tra giovani promesse e attori esperti come Katharine Ross (l'indimenticabile Elaine Robinson de Il laureato, qui nel ruolo della psichiatra di Donnie) e il compianto Patrick Swayze, cercando di convincere attori e troupe della bontà della sua visione.

Il film ebbe un discreto successo al Sundance Film Festival nel gennaio del 2001: critiche entusiaste, passaparola tra gli addetti ai lavori e gli spettatori su un film misterioso e tutto da interpretare, pieno di elementi inediti e coraggiosi per il panorama indipendente USA dell'epoca.

 

L'impressione tra i frequentatori del festival era che per Donnie Darko si sarebbe formata la fila tra i distributori per accaparrarsi i diritti del film... ma non si fece avanti nessuno.

Donnie Darko aveva affascinato il pubblico del Sundance, ma al contempo risultava troppo enigmatico e complesso per convincere le distribuzioni a scommettere sul film; d'altronde i decision maker di Hollywood non avevano la minima di cosa il film parlasse e, di conseguenza, a chi poterlo vendere.

 

Proprio quando Donnie Darko sembrava destinato a un futuro sulle TV via cavo o a morire nel calderone dello straight-to-video, un altro giovane autore (allora) indipendente spinse per cercare un accordo di distribuzione in sala: Christopher Nolan convinse infatti Aaron Ryder, produttore di Memento, a organizzare degli screening privati per dei potenziali investitori e, poco dopo, Donnie Darko fu acquisito da IFC per una breve distribuzione, fissata per l'ottobre del 2001.

 

Lieto fine? No. 

La campagna promozionale di Donnie Darko, infatti, faceva molto leva sull'incidente aereo che nel film mette in moto gli eventi; ma dopo l'11 settembre 2001 gli statunitensi non volevano saperne niente di aerei che si schiantavano sulle loro case.

 

Risultato: il film uscì nelle sale per poco più di tre settimane in poche sale e nel silenzio più totale, facendo perdere a Kelly le speranze di mostrare al mondo la propria visione.

Almeno fino all'uscita in DVD, dove il film divenne un successo quando il passaparola tra gli appassionati su "quel film bizzarro sui viaggi del tempo e la fine del mondo" divenne il nuovo fenomeno di culto del Cinema mondiale.

 

Subito iniziarono a moltiplicarsi proiezioni di mezzanotte, a proliferare teorie sui neonati forum di Internet, connessioni e interpretazioni spopolavano e, all'improvviso, Donnie Darko era sulla bocca di tutti: un anno dopo il film tornava nelle sale, dove finalmente riuscì a generare un guadagno per la produzione, mentre nel Regno Unito la cover di Mad World dei Tears for Fears a opera di Michael Andrews e Gary Jules raggiunse il primo posto in classifica nel periodo natalizio, la seconda canzone statunitense all'epoca a riuscire nell'impresa.

 

Il successo è tale che nel 2004 viene presentata una director's cut del film alla Mostra del Cinema di Venezia e nel 2009 viene realizzato un sequel, S. Darko, senza però il coinvolgimento di Richard Kelly.

 

 

[I Gyllenhaal, Jake e Maggie, in una scena di Donnie Darko: Richard Kelly insistette per ingaggiare Maggie Gyllenhaal in modo da rendere credibili le dinamiche familiari e tra fratelli]

 

Come si spiega il successo di un cult come Donnie Darko?

 

Se si vuole una risposta, molto semplicemente, potrebbe essere nel modo in cui il film parla al pubblico: enigmaticamente, ma con dolcezza.

 

Al cuore del film vi è il suo protagonista, Donnie Darko. Liceale di estrema sensibilità e intelligenza, Donnie è l'outcast, il ragazzo che vede il mondo per quello che è e ne coglie le ipocrisie di facciata e la profonda tristezza.

Il ritratto che la futura star Jake Gyllenhaal fa del protagonista rimane a oggi una delle più significative rappresentazioni dei problemi di salute mentale in giovane età, soprattutto se pensiamo che il film entrò in produzione a pochi mesi di distanza dal massacro di Columbine; per esprimere il disagio mentale del giovane, Gyllenhaal evita di sbattere le palpebre, facendo apparire il suo Donnie perennemente stanco e quasi sotto trance, specie nelle scene con Frank.

 

L'uomo-coniglio che appare a Donnie Darko e lo guida in una serie di atti vandalici è istantaneamente iconico: l'ispirazione viene da Harvey, film del 1950 con James Stewart in cui l'attore, appunto, aveva come amico immaginario un coniglio gigante. 

 

La cinefilia di Kelly si palesa nel film con diversi riferimenti, ad esempio, a David Lynch (in particolare a Velluto Blu e alla sottile perversione che turba il paradiso artificiale dell'America dei sobborghi) e Sam Raimi (il cui La casa viene proiettato in una scena al cinema e che rappresenta un ulteriore esempio di film low budget diventato oggetto di culto), ma anche a Steven Spielberg, soprattutto nel modo in cui è rappresentata la famiglia, amorevole e teneramente complessa.

 

Kelly resiste alle pressioni di consiglieri e finanziatori e decide di non ambientare il film negli Stati Uniti contemporanei, bensì negli anni '80, un'epoca vista come più semplice ma anche più misteriosa, accompagnata da ballate new wave e scossa sottilmente dal pericolo sempre imminente di un conflitto globale.

Vi sono comunque nel film dei parallelismi tra le due epoche: nel 2000, anno della realizzazione, si tengono infatti le elezioni presidenziali tra George W. Bush e Al Gore, mentre nel 1988, anno in cui è ambientato il film, assistiamo al confronto tra il padre di Bush e il candidato democratico Michael Dukakis.

 

La volontà di Kelly di ambientare Donnie Darko negli anni '80 deriva da un'esigenza specifica: il regista vuole per il suo film un'atmosfera onirica, cullato nella nostalgia hauntologica derivata dalla commistione del teen movie à la Breakfast Club con il surrealismo tipico di Lynch e le suggestioni concettuali di Philip Dick, con la sua "filosofia del tutto" contemporaneamente nello stesso momento.

Bisogna anche tenere conto che, se oggi siamo abituati ad assistere alla banalizzazione degli anni '80 con l'abuso di citazioni del periodo, nel 2001 Donnie Darko rappresentava un'eccezione nel panorama cinematografico dell'epoca, soprattuto nell'ambito del Cinema indipendente, e questo aiutò il film a differenziarsi ulteriormente.

 

Il ritorno al passato fa da specchio al presente: un mondo in cambiamento, dove le mosse degli individui sembrano muoversi letargicamente con predestinazione verso un futuro già scritto.

Il film di Kelly è anche un monito, un invito all'azione, un incitamento a rompere gli schemi con atti di ribellione per non arrendersi alla prigione imposta dalla società e abbracciare il libero arbitrio alla ricerca di un futuro più inclusivo verso i folli e i sognatori a occhi aperti: per questo motivo il climax del film converge verso la notte di Halloween, momento per eccellenza dove tutto diventa possibile.

 

Il fattore nostalgia del film ben si lega al tema dei viaggi nel tempo, qui interpretati in maniera seria e riverente con in mente i testi di Stephen Hawking e le teorie di Albert Einstein: tutto il film è un appello a tornare al passato per comprendere e plasmare il futuro, tema che tornerà nelle (purtroppo) poche opere successive di Richard Kelly.

 

La fine del mondo, invece, è rappresentata simbolicamente dal passaggio dall'adolescenza all'età adulta, dalla necessità di maturare e uscire dal proprio guscio in un atto di compassione verso gli altri.

Per Donnie Darko questa compassione viene dall'amore per Gretchen (Jena Malone), anima affine tra tante "facce familiari" ma al contempo così estranee in questo "pazzo mondo", per citare la canzone dei Tears for Fears che si è ormai legata indissolubilmente al film.

 

Seppur giovane, Kelly è determinato e ha una visione ben chiara in testa: lo dimostrano una serie di sequenze divenute celebri, una ricerca dell'immagine non banale e profondamente in sintonia col ritratto di un mondo all'apparenza pulito e ordinato ma dal cuore oscuro, palesato dal personaggio di Patrick Swayze.

 

Un ruolo fondamentale nel film lo hanno le musiche: Michael Andrews, autore della colonna sonora del film, ha composto la colonna sonora di Donnie Darko al pianoforte, impregnando il film di un'atmosfera nostalgica e letargica in cui lo spettatore, come Donnie, può abbandonarsi e lasciarsi ipnotizzare.

Le musiche di Andrews sono accompagnate da una selezione particolarmente ispirata di brani anni '80, tra cui le ballads Never Tear Us Apart degli INXS, The Killing Moon di Echo & The Bunnymen e Under the Milky Way dei Church.

 

I protagonisti assoluti della colonna sonora di Donnie Darko sono però i Tears for Fears: la loro Head over Heels accompagna uno dei momenti più ispirati del film, con la macchina da presa che accompagna lo spettatore nel liceo di Middlesex, introducendo i suoi "abitanti" e il loro mondo così familiare e allo stesso tempo così bizzarro.

 

Per non parlare poi di Mad World, la cui iconica interpretazione di Andrews e dell'amico Gary Jules accompagna il montaggio finale del film: un felice incidente, perché Kelly voleva utilizzare MLK degli U2, rivelatasi troppo costosa.

 

[La celebre sequenza del film accompagnata dalle note di Head over Heels dei Tears for Fears]

 

 

Da citare per ultimo, ma non per importanza, il cast di future star, in particolare Jake Gyllenhaal e la sorella Maggie (fratelli anche nel film), ma anche Jena Malone e Seth Rogen, qui al debutto sul grande schermo. 

 

Drew Barrymore dona dolcezza e freschezza alla figura di una giovane insegnante idealista e fuori dal tempo, mentre Patrick Swayze si dimostra particolarmente vulnerabile in quello che forse è stato l'ultimo grande ruolo della sua carriera, portando in scena la propria esperienza di ex membro di Scientology e il suo personale guardaroba di abiti anni '80. 

Completano il cast Mary McDonnell e Holmes Osborne nel ruolo dei genitori preoccupati di Donnie, Daveigh Chase nel ruolo della sorellina Samantha (l'attrice riprenderà poi il ruolo in S. Darko) e Beth Grant nel ruolo di Kitty Farmer, professoressa che rappresenta l'autorità e la facciata di normalità della provincia statunitense che il film si ripromette di distruggere per poter liberare le infinite possibilità di un mondo senza maschere né regole, che siano culturali o leggi di natura.

 

Il successo del film permetterà a Richard Kelly di realizzare un'altra storia, molto più ambiziosa, sulla fine del mondo e i paradossi temporali: Southland Tales, presentato in competizione al Festival di Cannes, è un'altra scommessa del giovane autore, che però si rivelerà un flop totale e segnerà in modo negativo il resto della sua carriera. 

 

Un film che secondo il mio parere è uno dei più grandi capolavori incompresi del nuovo millennio, anch'esso oggetto di culto ma in maniera diversa, come se fosse "so bad so good", ma in grado come Donnie Darko di anticipare i tempi e raccontare scenari che si sono col tempo dimostrati attualissimi, ma... "questa è un'altra storia e si dovrà raccontare un'altra volta".

 

 

[Jake Gyllenhaal e Drew Barrymore in una scena di Donnie Darko; nel film l'attrice (anche produttrice) interpreta l'insegnante di Donnie, sebbene abbia appena cinque anni in più di Gyllenhaal]

 

Inclassificabile e ipnotico, oggi possiamo vedere l'influenza di Donnie Darko in moltissimi film e serie TV, specialmente se lo consideriamo un apripista della fascinazione della cultura audiovisiva contemporanea per l'estetica dei film anni '80 (da Stranger ThingsCobra Kai e altre decine).

 

Curioso (e forse poetico) come in uno degli esempi più recenti di questa corrente, Road House, Jake Gyllenhaal abbia finito per interpretare quello che un tempo fu il ruolo di Patrick Swayze.

 

Non è per niente semplice, in definitiva, stabilire cosa esattamente in Donnie Darko funziona al punto da renderlo così magnetico e dal fare innamorare schiere di fan devoti in tutto il mondo; a mio avviso l'ipotesi principale è che il film apre (letteralmente) un portale su un mondo magico ma riconoscibile, dove non sembrano applicarsi le regole della scienza ma quelle di un sogno a occhi aperti chiamato adolescenza. 

 

Questo ritorno in sala rappresenta un'occasione per rivivere l'esperienza di un film che, a oggi, ha molti imitatori ma nessun eguale.

 

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