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Vivere David Lynch

Un artista che non va capito ma, se mai, patito.

Mi è chiaro da diverso tempo che questo regista, scrittore, musicista, pittore, cantante, arredatore, fotografo non vada capito ma, se mai, patito.

 

Qualcosa quando vedo i suoi film - precisazione: mi riferisco soprattutto a dei momenti spiccatamente à la Lynch che ritroviamo in tutte le sue produzioni, ma chiaramente soprattutto alla trilogia del doppio/sogno/inconscio che vede susseguirsi nell'ordine Strade perduteMulholland DriveINLAND EMPIRE e, se si vuole, nei suoi cortometraggi e in Eraserhead.

 

 

 

 

Qualcosa in me, dicevo, si sintonizza ogni volta alla perfezione sulle frequenze che ricevo dallo schermo, che smette per due ore o più di essere tale e, al posto di proteggermi dal suo contenuto e appunto schermarmi da esse, mi ingoia al suo interno.

 

Come penso vada vissuto questo regista.

La mia è un'opinione strettamente personale corroborata, questo lo devo dire, dall'approfondimento svolto sul suo modo di ragionare o quantomeno sulla base di ciò che lascia trapelare da interviste, dichiarazioni, e da ciò che ho letto nelle cronache minuziose che riportavano non solo il contenuto delle sue risposte, ma anche un resoconto della comunicazione non verbale che imbastiva durante quelle sedute spinose tanto per lui quanto per colui che stendeva l'intervista.

 

Ho insomma una certa (ancora - e per sempre - parziale) idea su chi sia l'uomo Lynch e come intenda il suo lavoro, la sua preparazione e il suo significato. 

 

 

 

 

Un paio di postulati essenziali prima di esporvi la mia:

 

- David Lynch ritiene che ciò che fanno la maggior parte dei registi sia "lavorare all'inverso": per lui non ha alcun senso individuare il tema del film e poi fare di tutto perchè il proprio prodotto comunichi quel messaggio previamente deciso, ma, al contrario, Lynch costruisce il film "Pescando [ama quest'immagine, ndr] idee e sensazioni", seguendole e, soltanto a montaggio ultimato, comprendendo cosa quel film abbia voluto dire a lui. 

 

- David Lynch al pari di tutti prova emozioni di fronte ai suoi film e ne ha un'idea: la sua.

Non si sbottona mai (e non solo le camicie, che ha allacciate sempre fino all'ultimo bottone) perchè teme che essendo il pubblico a conoscenza della cosiddetta "interpretazione dell'autore" i suoi film smettano di risuonare nella sensibilità degli altri secondo altre frequenze armoniche che, per quanto riguarda lui, sono tutte legittime.

 

È profondamente sbagliato credere che vi sia un'architettura intricatissima cosciente fin dal principio e da necessariamente dipanare, quasi come i suoi film fossero dei gialli, così come è sbagliato sentirsi inadatti o indegni perchè non la si sia compresa; non solo è sbagliato, bensì è un vero e proprio errore categoriale: sarebbe come usare la matematica per parlare de I promessi sposi o pretendere di bere un letto.

 

Questi i presupposti.

Ora, per come la vedo io vivere Lynch è perciò molto semplice: certo, vi sono temi e controtemi nemmeno poi troppo velati, ma quello che fa Lynch al fondo del suo lavoro è montare atmosfere emotive.

 

Fine. 

 

 



Non è vuota retorica, dopotutto tutti noi usiamo molto spesso il linguaggio e la giustapposizione delle frasi per suscitare emozioni nell'interlocutore; una sorta di uso performativo delle parole rivolte al livello emotivo.

 

Per questo che credo che, lo ripeto ancora, per me David Lynch non va capito, bensì patito. 

 

È impossibile non provare emozioni di fronte a molte delle sue sequenze di maggior impatto, la vista di un corpo nudo, la violenza visiva più efferata, il terrore (che non è solo paura), persino, il senso del ridicolo.

 

E così per il sentimento di spaesamento che si può provare in buona parte di INLAND EMPIRE, ad esempio, tutto questo a mio modo di vedere fa parte del film, ed è una componente essenziale e assolutamente desiderata.

 

Il suo film fallisce solo di fronte a una fredda analisi apatica.

 

Dico che l'emozione provata fa parte del film nello stesso identico modo in cui va inteso il lavoro del compositore di musica sperimentale John Cage quando creò la sua famosissima 4' 33" ("quattro minuti e trentatré secondi" di totale silenzio divisi in tre atti).

 

 



L'esecutore si avvicina al pianoforte o a qualunque strumento egli desideri, aziona un cronometro, e resta immobile per il tempo indicato da John Cage.

 

Non è una farsa, al contrario: è un interessantissimo esperimento metamusicale dove la composizione non è in realtà silente, ma consiste invece dei rumori prodotti dall'ambiente in cui è eseguita (e non solo di naturali colpi di tosse da parte di qualche spettatore, ma pure di risolini o, perché no, fischi, così come del rumore delle sedie trascinate sul pavimento, dello scalpiccìo dei piedi, del fruscìo dei cappotti: tutto diventa la performance che, come capite bene, si fa ogni volta unica e irripetibile). 

 

 

 

David Lynch fa entrare il nostro spettro emotivo e l'ambiente in cui ci troviamo nel suo film e fa di questo il senso del suo film.

Un senso non tematizzabile. 

 

Per come la vedo io è esattamente come passeggiare in una galleria privata di opere d'arte slegate da una tematica di fondo: passare da un quadro all'altro è passare da un'atmosfera e da una sensazione all'altra fra loro del tutto eterogenee, ma non per questo complessivamente insoddisfacenti.

 

Naturalmente questo è anche l'andamento naturale della nostra mente quando divaga nel suo trasporto passivo fra quadri e atmosfere sconnesse, e certo è l'architettura dei nostri sogni.

Mi rendo conto che questo approccio sia eccezionalmente ostico in principio soprattutto per una mente occidentale, al che vorrei sapere con quale spontaneità i momenti più à la Lynch siano vissuti dal pubblico orientale (la cui filosofia, è bene ricordare, è conosciuta e apprezzata dal regista).

 

Un esempio che amo ribadirmi e che mette in luce questa trascendenza fra i due tipi di mentalità secondo longitudine riguarda la letteratura.

 

Ho letto alcuni libri giapponesi e sono... diversi. 

 

 



Davvero: niente a cui la nostra cultura occidentale grecomorfica e hollywoodmorfica sia abituata, e in particolare riguardo ai finali.

 

I finali dei libri che ho letto si spegnevano in modo inaccettabile per la nostra sensibilità così abituata al concetto di plot twist e di colpo di scena fin dai temi che scrivevamo alle elementari.

 

I finali dei libri giapponesi mi sembravano assolutamente insoddisfacenti.

Poi un giorno lessi un'intervista a uno scrittore nipponico - Yasunari Kawabata, se la memoria mi è amica - che mi illuminò proprio su questa questione dicendo:

"Per noi aspettarsi che nel finale di una storia debba accadere qualcosa di memorabile è tanto insensato quanto aspettarsi che nel momento in cui si contempli un albero fiorito debba succedere qualcosa".

 

Questo è.

David Lynch va approcciato nel giusto modo e bisogna stare molto attenti a non incappare in errori categoriali, o il film in quel caso non funzionerà; e sarà come bollire in abbondante acqua delle lasagne appena sfornate e ritrovarsi insoddisfatti del sapore risultante.

 

Sono idee che sono certo che la maggior parte di voi avrà già maturato, ma, come sottolineato dal principio, ogni accesso finanche alla verità non può che avvenire da un solo punto di vista, e pertanto vi invito, se aveste idee più o meno diverse in merito, a dire quale sia il vostro modo di vivere questo immenso artista.

 

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12 commenti

Fabrizio Cassandro

2 anni fa

Grande articolo! Riportiamo su, negli ultimi commenti va...

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Lorenzo99

4 anni fa

Bellissimo articolo.Complimenti!!

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Lorenza Guerra

4 anni fa

Articolo bellissimo. Ripenso alle disquisizioni in questi anni su Lynch e, insieme alle tue conoscenze, non avrebbero potuto portare a nessun altro risultato se non questo.
Non sono nemmeno un dito mignolo di Lynch ma forse il suo cinema mi ha ispirato a fare la stessa cosa. Persino se scrivo di un film prima butto giù le mie sensazioni e poi, come per "magia" le mie sensazioni messe su carta creano un'idea ben precisa. Non è mai il contrario. Devo questo approccio anche a Lynch. Tra l'altro i film di Lynch viaggiano anche tra le varie possibilità, secondo il principio della meccanica quantistica per cui non esiste una realtà ben definita ma soltanto probabilitá. C'è un libro in particolare che parla del rapporto tra la fisica del novecento e le filosofie asiatiche. In ogni caso mi scuso di qualsiasi refuso dato che ho scritto da cellulare 😁

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Sebastiano Miotti

4 anni fa

Lorenza Guerra
Come s chiama quel libro? Chissà quando lo potrò leggere ma mi sembra un punto di condensazione utilissimo!

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Lorenza Guerra

4 anni fa

Sebastiano Miotti
Il Tao della fisica di Fritjof Capra!

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Mario Mastroianni

4 anni fa

Hai fatto benissimo a premettere la descrizione del metodo lynchiano sull'assemblaggio delle idee da mettere in scena solo dopo che esse abbiano maturato il tempo necessario affinchè si possano contestualizzare con le altre e questo in disaccordo con qualunque artista realizzi "opere a tema", ma porre l'accento totalmente sull'emotion-raising (che pure è preponderante nella sua filmografia, dall'inquietudine alla risata sottile o di gusto alla commozione) non rende giustizia alla sua dichiarata volontà di sottintendere sempre uno storytelling, seppur obliquamente (o "non linearmente") inscenato, perchè i temi da lui toccati (dal doppio al sogno alla memoria, etc.) e gli stilemi surrealisti non sono meri fini programmatici bensì mezzi che si muovono prevalentemente nell'ambito del mystery, condito da una buona dose di enigmistica meta-cinematografica (spesso si rivolge al pubblico ma senza anticipargli nulla, al contrario del suo adorato Hitchcock) che verrebbe sminuita da un approccio passivo (per parafrasare il tuo "patito"), sono convinto (anch'io sulla base di quel che ho letto nelle interviste) che nella fruizione dei film di Lynch ci sia spazio per l'attivazione di entrambi gli emisferi cerebrali al fine tanto di venir rapiti dall'apparente incomprensibilità quanto di ricostruire contestualmente la trama che è sempre presente (perfino nei suoi quadri, ma basti vedere quanta trama ci sia in uno dei suoi dipinti preferiti, "L'Assassin Menacé" di Magritte, vero e proprio giallo da cui tra l'altro è mutuato il giradischi dell'incipit di "Twin Peaks 3") ma che, sapientemente, non è mai imboccata al pubblico che spesso pretende comodi e rassicuranti spiegoni finali, e si ritrova invece a usare anche pezzi extra-testuali per completare il puzzle, di modo che le due cose (approccio emotivo e approccio analitico) si impreziosiscano a vicenda.

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Sebastiano Miotti

4 anni fa

Mario Mastroianni
Grazie Mario dell'ottimo. commento!
Ti consiglierei, se non l'avessi fatto, di cercarti qualche dietro le quinte di. Mulholland Drive. Non esiste sistema migliore per capire come lavori. 
Bellissima l'osservazione sui due emisferi

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BKiddo

4 anni fa

Questo articolo mi è piaciuto molto perché porta l'attenzione sul fatto che i film vanno considerati come opere di un autore che ha un suo stile e modo di vedere le cose. Certo, possiamo leggere i Promessi Sposi senza sapere nulla di Manzoni, ma se vogliamo capire meglio l'opera dobbiamo approfondire le altre opere dell'autore. Lo stesso per i film... Ma non siamo abituati a farlo, a volte vediamo un film e non sappiamo nemmeno chi è il regista, oppure non contestualizziamo il film nel percorso artistico e personale di un regista...

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Federico Rossato

4 anni fa

Quanto scritto credo sia riassumibile in una pagina di un libro in cui gli venne chiesto cosa fossero la chiave e la scatola. Lui, con eleganza e sintetica potenza, scrisse: "Non ne ho idea". La pagina successiva sarebbe stata legata ad un nuovo capitolo. Questo è Lynch, un catalizzatore emotivo non desideroso di fornire una visione, bensì la potenzialità di vedere. Sono quasi contrario al termine "vedere" ed opterò per una utilizzata nell'articolo: David Lynch ci fornisce la potenzialità di percepire.

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Sebastiano Miotti

4 anni fa

Federico Rossato
Bell'espressione

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