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Cannibal Holocaust: ingegno, manipolazione e antropofagia

Oltre a essere ancora uno dei B Movies più influenti di sempre, Cannibal Holocaust possiede una storia produttiva che ha contribuito a renderlo un mito immortale

Se fosse possibile costruire un pantheon in cui custodire e pagare tributo ai più grandi e rilevanti film di genere della Storia del Cinema, state ben certi che Cannibal Holocaust sarebbe tra le pellicole più venerate. 

 

L'opera di Ruggero Deodato conserva, a oltre quarant'anni dalla sua uscita, tutta la sua sconvolgente rilevanza per un motivo molto semplice: raramente un B Movie ha saputo collocarsi all'intersezione tra più generi e più timori comuni, sfruttandone le potenzialità sensazionalistiche per produrre una critica alla società.

 

 

[Trailer della versione integrale e restaurata in 4K di Cannibal Holocaust, al cinema dal 21 al 23 agosto 2023]

 

 

Cannibal Holocaust possiede inoltre una storia produttiva e distributiva così travagliata da avere ammantato di ancor maggiore misticismo un film già per la sua stessa natura indimenticabile.

 

Eppure, quando a Deodato fu proposto di girare un nuovo cannibal movie dopo il suo Ultimo mondo cannibale, i motivi sembravano sotto gli occhi di tutti: il genere era nato nel 1972 con Il paese del sesso selvaggio di Umberto Lenzi ed era all'apice del suo successo; c'era un pubblico decisamente avvezzo agli eccessi, ben disposto a pagare il prezzo del biglietto per il nuovo episodio di una collezione di pellicole che, fino a quel momento, era stata tutta italiana. 

Le pellicole di ispirazione cannibalistica stavano sbocciando come filone di assoluto culto all'interno del Cinema di exploitation grazie ai sapienti lavori di Lenzi, Deodato, Joe D'Amato Sergio Martino: grazie al loro successo - che testimonia una volta di più il nostro status di Maestri del Cinema di genere - in quel periodo si sono cimentati nel filone anche registi navigati come Antonio Margheriti e Jess Franco, oltre che giovani promesse come Tsui Hark.

 

Insomma, un film che parlasse di cannibalismo faceva gola proprio a tutti, Deodato compreso, che contattò il suo amico e produttore veterano Franco Palaggi con l'obiettivo di racimolare il budget per produrre quello che sarebbe poi diventato Cannibal Holocaust.

 

Venne dunque coinvolta nella produzione la sezione europea della United Artists, oltre alla neonata F.D. Cinematografica.

 

 

[Per tutta la sua vita Ruggero Deodato ha ribadito come Cannibal Holocaust fosse il suo film più riuscito: probabilmente se ne è convinto proprio mentre lavorava con maniacale precisione alla riuscita del film]

 

 

Per il regista non era un film qualsiasi e lo si capì subito: il produttore provò a usare uno stratagemma noto al Cinema a basso budget italiano, proponendogli di girare a Cartagena per sfruttare in parte alcune delle location di Queimada di Gillo Pontecorvo; Deodato rifiutò, ritenendo l'ambiente poco adatto a trasmettere il senso di giungla infernale che era tanto importante per l'opera.

 

Fu scelta Leticia: una piccola località colombiana al confine tra Perù e Brasile, raggiungibile via fiume e circondata da una natura così rigogliosa da dover costringere la troupe a spostarsi a passo d'uomo, facendosi strada con i machete nella vegetazione. Un posto che peraltro era strategico per lo smercio internazionale di cocaina: non furono, però, i Narcos a causare problemi al film. 

Notando la puntigliosità con cui Deodato approcciò questo lavoro ci è possibile immaginare come il regista avesse già intravisto, tra le pieghe del soggetto e della sceneggiatura scritti dall'esperto Gianfranco Clerici, tutte le potenzialità per trasformare Cannibal Holocaust - che in fase di produzione si chiamava The Green Inferno - in ciò che non gli era mai stato possibile fare: un autentico film d'autore, dotato di una tesi sulla società in cui viveva. 

Poco importa se sarebbero stati i cannibali e quel titolo magniloquente a portare al cinema gli spettatori: il vero orrore non sarebbe arrivato per l'antropofagia, ma per la violenza del messaggio trasmesso.

 

Deodato aveva infatti alle spalle una gavetta cinematografica di estremo valore: dopo aver provato a diventare un attore, era stato assistente di Roberto Rossellini ne Il generale della Rovere e Viva l'Italia, regista della seconda unità per Sergio Corbucci sul set di Django e aveva affiancato Maestri del Cinema di genere come Riccardo Freda e Antonio Margheriti.

 

Da Rossellini, nello specifico, aveva appreso l'eloquenza del realismo, l'importanza di uno sguardo limpido sulle vicende narrate, ma anche la potenza della cinepresa: ispirato dal forte bombardamento di notizie sul terrorismo politico italiano, Deodato aveva l'obiettivo di girare un'opera sulla corruzione dei mass media, sulla violenza della manipolazione e della distorsione delle notizie e sulla forza corrosiva del sensazionalismo, che è in grado di trasformare la verità in mera merce di scambio.

 

 

[Mondo Cane, disponibile integralmente su YouTube, è uno dei film che ha influenzato maggiormente Cannibal Holocaust]

 

 

L'altra grande ispirazione, com'è ovvio che sia, proveniva da un altro genere fortemente in voga tra gli anni '60 e '80: i Mondo Movie.  

 

Si trattava di un filone incentrato proprio sulla rappresentazione sensazionalistica, quasi morbosa, di realtà apparentemente lontane dallo sguardo comune dello spettatore, inagurato nel 1962 da Mondo Cane: l'ispirazione era tanto evidente che lo stesso Deodato pretese che la colonna sonora di Cannibal Holocaust fosse firmata da Riz Ortolani, che aveva composto i temi del suo modello. 

 

Pur essendo apparentemente siti su poli opposti, tanto il Neorealismo quanto i Mondo Movies (noti altresì con l'infausto nome di shockumentaries) condividevano un uso naturalistico della macchina a mano che imitava gli intenti documentaristici, ma enfatizzava la rappresentazione scenica: l'intera seconda parte di Cannibal Holocaust ruba a piene mani dai modelli, portando il realismo dell'opera su un livello praticamente irripetibile per un film nato e pensato per essere "di serie B".

 

Per tutta la sua vita Deodato ha rigettato per il film l'etichetta di horror e di splatter, rivendicandone le radici neorealiste e l'intento socio-politico. Al di là delle ambizioni del regista, il budget era limitato (circa 180 milioni di lire) e per raggiungere il proprio obiettivo con Cannibal Holocaust c'era bisogno di dar fondo a tutto l'ingegno disponibile, lavorando maniacalmente sui dettagli.

Nelle pieghe della sceneggiatura, però, l'autore trovò alcune delle risposte che cercava. 

 

La bipartizione dell'opera racconta dapprima la ricerca effettuata dal professor Harold Monroe per ritrovare una troupe televisiva inviata a girare un documentario sulle tribù che praticano il cannibalismo in Amazzonia, in secondo luogo mostra l'effettivo destino dei reporter: la cosa suggerì a Deodato di diversificare il proprio stile registico.

 

 

[Il tema degli snuff movies e del found footage è condiviso da Cannibal Holocaust con Hardcore, uscito appena un anno prima]

 

 

La prima parte intitolata The Last Road to Hell fu girata in 35mm, mentre la seconda - che conservava il titolo di lavorazione e per cui fu usato per la prima volta lo stratagemma del finto found footage - venne integralmente realizzata in 16mm, con la pellicola graffiata appositamente dal regista con l'intento di replicare la narrazione in prima persona dei giornalisti inviati tra le tribù cannibali. 

 

Al fine di donare massimo realismo al tono generale di Cannibal Holocaust, l'idea del regista era quella di distribuire il film senza doppiaggio, ma ciò era complicato dagli accordi produttivi: le quote di partecipazione del cast prevedevano un alto numero di italiani tra i protagonisti e furono dunque trovati i debuttanti Francesca Ciardi e Luca Barbareschi, in grado di recitare in inglese.

 

Tutto doveva sembrare vero.

In quel periodo si era diffusa la tremenda psicosi sugli snuff movies, filmati amatoriali girati soprattutto nel mondo del porno e della prostituzione che avrebbero mostrato reali violenze.

Si trattava di una leggenda metropolitana, ma il tema era così caldo da essere stato inserito in numerosi film dell'epoca, tra i quali è impossibile non citare Hardcore, opera seconda di Paul Schrader, del 1979.

 

Quest'ultimo film, ambientato proprio nel mondo del porno losangelino, ricevette una distribuzione che fondava tutta la propria forza scandalistica sulla paura che qualcuno di prossimo agli spettatori venisse coinvolto dalla pratica degli snuff, affidandosi a una tagline che recitava letteralmente:

"Oh mio Dio, quella è mia figlia!" 

 

Il caso volle che il protagonista della prima parte di Cannibal Holocaust fosse Robert Kerman, un ex attore di film pornografici: la cosa non fu assolutamente ricercata, ma di certo fu tanto curiosa da sorprendere anche lo stesso Deodato (che pure aveva lavorato con l'attore in Concorde Affaire '79).

Il tutto sarebbe diventato ancor più curioso vista l'importanza che la tematica dello snuff movie stava per assumere rispetto alla distribuzione dell'opera.

 

Al momento dell'uscita la situazione era questa: il pubblico voleva un altro film sui cannibali, i Mondo Movies imperversavano da quasi due decenni e l'esistenza degli snuff movies era uno dei temi caldi del periodo.

In più il pubblico era in forte paranoia per le notizie che arrivavano dalla TV: immaginate che effetto avrebbe avuto un film contenente del cannibalismo spacciato per reale, proveniente dall'altro capo del mondo.

 

La strategia promozionale di Cannibal Holocaust era, in parole povere, una sapiente manipolazione del pubblico grazie allo sfruttamento ante litteram delle fake news e del sensazionalismo che sono in grado di creare.

 

 

[Tra le scene di Cannibal Holocaust che Deodato dovette giustificare ai censori ci fu il celebre impalamento, realizzato facendo sedere un'attrice su un sellino e mettendole in bocca un bastone di balsa, soluzione che verrà ripresa da numerosi epigoni]

 

 

La cura del realismo da parte di Deodato fu così maniacale che a un certo punto le cose gli sfuggirono di mano e il suo rapporto con la troupe divenne a dir poco burrascoso, complice l'uso di droghe da parte di numerosi membri della produzione, l'assoluta durezza del regista verso la crew e la difficoltà nel trovare una quadratura per la realizzazione di momenti controversi, in primis la scena di stupro. 

 

In molti erano sconvolti dalle reali violenze sugli animali mostrate in scena, tanto crudeli ed efferate da aver convinto alcuni degli attori - in primis Gabriel Yorke - che forse l'obiettivo era davvero quello di girare uno snuff. 

Dopo essersi rifiutato di uccidere un maialino, lasciando il compito a un decisamente più freddo Luca Barbareschi, pare che Yorke abbia anche sbagliato nell'intonare delle battute che sarebbero state inserite nel film, causandone il taglio e modificando irrimediabilmente la sceneggiatura. Anche Robert Kerman e Perry Pirkanen hanno avuto reazioni molto forti dinnanzi alle numerose altre violenze perpetrate sul set.

 

Quest'ultimo aspetto è senz'altro l'eredità più infausta del film: una serie di orrori riprovevoli, da contestualizzarsi in un momento storico in cui il maltrattamento di animali era un'usanza comune e sottovalutata sui set cinematografici; una barbarie dalla quale possiamo tranquillamente prendere le distanze senza che questo intacchi l'indiscutibile segno lasciato da Cannibal Holocaust sulla Settima Arte. 

Ci toccherebbe altrimenti fare lo stesso, ad esempio, con Apocalypse Now e credo che nessuno ne abbia intenzione.

 

Nelle intenzioni di Ruggero Deodato, peraltro, tutto avrebbe dovuto essere ancor più spinto: aveva girato una scena in cui un uomo perde le gambe per colpa di un branco di piranha affamati e aveva anche previsto un momento in cui gli indigeni mangiavano cervelli di scimmia direttamente dagli scalpi degli animali, ma per esigenze di realismo in un caso, e su suggerimento degli abitanti locali nell'altro, decise di non includere nulla di tutto ciò. 

 

Per bocca dello stesso Deodato pare che montare sul girato la colonna sonora di Riz Ortolani, arrivata come da consuetudine a riprese finite, sia stata la presa di consapevolezza definitiva sulla grandezza del lavoro eseguito. 

 

  

[La colonna sonora di Riz Ortolani, intrisa di effetti elettronici insoliti per l'epoca, è uno dei punti di forza di Cannibal Holocaust]

 

 

Cannibal Holocaust si chiude con la seguente scritta in sovraimpressione, pensata per dare l'idea che il video del massacro fosse stato diffuso senza autorizzazione.

 

"Il proiezionista Billy K. Kirov è stato condannato a due mesi di reclusione con la condizionale e al pagamento di una multa di 10.000 dollari per sottrazione di materiale cinematografico. 

Noi sappiamo che per quel materiale ne ha ricevuti 250.000."

 

L'impatto dell'opera era assicurato, ma forse nemmeno il regista aveva intuito quanti problemi gli avrebbe portato Cannibal Holocaust: nei contratti degli attori era contenuto un accordo che li avrebbe portati a sparire dalle scene per qualche tempo, mantenendo così l'idea che tutto ciò che veniva mostrato nel film fosse vero. 

Ruggero Deodato voleva fare con il pubblico ciò che i protagonisti di Cannibal Holocaust facevano con i propri telespettatori, ovverosia manipolarli per ottenere successo; al contempo, a differenza dei suoi personaggi, il regista intendeva discutere di quanto possa essere becera e mercificata l'informazione. 

 

Dopo aver visto il film Sergio Leone scrisse una lettera in cui si complimentava con il regista, prevedendo che avrebbe avuto non pochi problemi.

 

 

[Se volete scoprire tutte le controversie e le curiosità su Cannibal Holocaust, abbiamo il video che fa per voi]

 

 

Complici alcune vecchie leggi di matrice fascista e le voci che dipingevano il girato come reale, Cannibal Holocaust fu ritirato dal mercato e tutti i coinvolti finirono sotto processo, venendo addirittura condannati in primo grado: solo il direttore della fotografia Sergio D'Offizi ottenne l'immediata assoluzione.

 

Servì richiamare d'urgenza gli attori e dimostrare come tutte le violenze sugli umani rappresentate fossero frutto di effetti speciali, per far cadere le accuse più gravi per tutti i processati ed evitare che il film venisse bruciato.

Nel mentre, la United Artists abbandonò la barca. 

 

Ruggero Deodato, i produttori Franco Palaggi, Franco Di Nunzio, Gianfranco Clerici e Alda Pia, oltre che il rappresentante della United Artists Europa Sandro Perotti, ricevettero comunque una condanna dovuta "all'oscenità e alla violenza" del prodotto, a causa della reale violenza sugli animali rappresentata sulla pellicola.

 

A detta di Deodato ci fu un solo dettaglio a non essere curato: la città da cui far partire la distribuzione italiana.

Il film ebbe la sua première a Milano e in pochi giorni nel capoluogo lombardo e a Roma i manifesti del film cominciarono a essere imbrattati e l'opera contestata, malgrado avesse già passato la censura e ricevuto ben 18 tagli. 

Ciononostante il polverone sollevato fu tale da rendere prevedibile che il film incontrasse ulteriori problemi. 

Deodato avrebbe preferito distruibuire Cannibal Holocaust a partire da una città più piccola, permettendo all'opera una vita più lunga e magari evitando del tutto il ritiro.

 

Cannibal Holocaust tornò nelle sale italiane in versione completa solo nel 1984, a seguito di una pronuncia della Corte di Cassazione: a quel punto però la questione giudiziaria aveva generato una tale influenza negativa sul pubblico che il film non raggiunse neanche i 15.000 biglietti venduti.

La critica di certo non aiutò, stroncando completamente il film senza cogliere che l'obiettivo dell'opera fosse proprio criticare il sensazionalismo di cui essa stessa si serviva, malgrado il professor Monroe affettuasse una presa di coscienza con un'eloquente domanda, che rigettava sugli occidentali il ruolo di belve antropofaghe in grado di sfruttare il più debole per scopi capitalistici: 

"Mi sto chiedendo chi siano, i veri cannibali."

  

Anche l'impianto concettuale del film fu rigettato e la critica ai concetti di civilizzazione e sfruttamento fu bollata come patetica e superficiale.

Eppure il film mostrava con grande potenza il ribaltamento della dinamica vittima-carnefice suggerito nell'incipit.

 

Così anche in altre zone del mondo la censura e la critica allungarono le proprie mani su Cannibal Holocaust, che comunque continuò il proprio regolare iter promozionale, avvolgendolo in un fascino maledetto: si stima che siano oltre 50 i paesi in cui il film ha ricevuto una censura o è stato addirittura bandito.

 

L'ultima nazione a far cadere il bando è stata la Norvegia nel 2003.

 

 

[Ruggero Deodato e il suo assistente Salvo Basile sul set di Cannibal Holocaust]

 

 

In Colombia, a suo dire, il regista rischiò addirittura la vita.

 

Il fonico colombiano del film, per farsi pubblicità, incrementò una polemica secondo la quale il film attaccava gli indios e assecondò le voci sulla reale follia di Deodato.

Quando venne identificato a una festa come il regista di Cannibal Holocaust fu addirittura cacciato e inseguito da alcuni giornalisti arrabbiati, che cercarono addirittura di imporgli una conferenza stampa. 

 

Deodato però cercò di evitare ogni uscita pubblica e, con l'aiuto dell'aiuto regista Salvo Basile, ottenne il numero di alcuni criminali della zona in grado di scortarlo con un'auto corazzata e con un elicottero sull'isola del Rosario, su cui rimase una settimana prima di spostarsi a Miami.

 

Lo spavento non influì sul successo della pellicola: nel mondo il film fu comunque un autentico successo, arrivando all'astronomica cifra di circa 200 milioni di dollari incassati in tutto il mondo.

In Giappone fu addirittura il secondo migliore incasso della stagione 1983, arrivando dopo un film di ben altro tenore come E.T. l'extra-terrestre.  

 

Il successo di Cannibal Holocaust fu tale da regalare a Deodato il soprannome di Monsieur Cannibal, e oltre a confermare la buona salute del filone cinematografico dedicato al cannibalismo, portò una nuova moda distributiva, l'inserimento della parola "Holocaust" nel titolo per aumentare la carica sensazionalistica dell'opera.

 

Nacquero così Zombi Holocaust e Porno Holocaust, fu così che Buio Omega di D'Amato venne distribuito in Francia come Blue Holocaust, mentre Nudo e selvaggio fu addirittura intitolato negli Stati Uniti Cannibal Holocaust 2 e spacciato come un seguito di Cannibal Holocaust. 

Anche Ultimo mondo cannibale fu distribuito negli USA con il titolo di USA Jungle Holocaust.

 

Tutti riconducevano Deodato al genere e lui stesso fu portato a concludere la sua trilogia sui cannibali con Inferno in diretta: rispetto al genere di riferimento il film ha ben poco, ma come spesso accade le trilogie tematiche devono essere necessariamente concluse.

Anche se i registi non credono di averne girata una.

 

 

[Deodato e Eli Roth: l'autore e il più grande fan di Cannibal Holocaust riuniti per l'uscita di The Green Inferno]

 

 

L'eredità di Cannibal Holocaust è diventata negli anni così influente da riverberarsi sul piano tematico anche in opere universalmente acclamate dalla critica come Assassini nati di Oliver Stone, che ne è influenzato sia per l'uso di più formati sia soprattutto per la feroce critica ai mass media.

 

Nel 2004 il film di Deodato è approdato addirittura alla Mostra di Venezia, nell'ambito della rassegna Italian Kings of the B's: tra gli spettatori pare ci fosse uno sconvolto Quentin Tarantino, molto colpito dal monumentale lavoro dell'effettista Aldo Gasparri

 

La tecnica del fake found footage si è tramutata a sua volta in un autentico filone dell'horror, rinvigorito da The Blair Witch Project - Il mistero della strega di Blair e divenuto di uso costante: nel novero dei film più riusciti che hanno usato questa tecnica cito senz'altro la saga spagnola di [●REC] Diary of the Dead - Le cronache dei morti viventi.

Il successo di The Blair Witch Project è arrivato non a caso grazie a una strategia comunicativa pressoché identica a quella adottata da Deodato circa 20 anni prima: un aspetto riconosciuto in primis proprio da Oliver Stone, che riconobbe tutte le analogie tra i due film sia sul piano tecnico sia su quello sensazionalistico. 

 

Tra i tanti autori influenzati dall'opera, però, ce n'è uno che spicca su tutti: Eli Roth.

Il regista, divenuto noto per il suo amore nei confronti del Cinema di Genere, ha invitato Deodato sul set di Hostel: Part II per interpretare un cannibale: al momento del suo arrivo tutta la troupe lo ha accolto con delle t-shirt nere con la scritta Cannibal Holocaust.

 

Un po' come Chema, uno dei protagonisti di Tesis, thriller del 1996 di Alejandro Amenábar, che in diverse scene del film indossa proprio una maglietta che raffigura la locandina dell'opera di Deodato.

Sempre restando in Spagna, anche Álex de la Iglesia ha omaggiato Cannibal Holocaust inserendo il suo più un frame dalla sua più celebre scena nei titoli di testa de La ballata dell'odio e dell'amore, film che mandò in visibilio la giuria della Mostra di Venezia nel 2010: la profonda ispirazione generata in tanti autori contemporanei conferma e certifica la perfetta riuscita degli intenti autoriale di Deodato.

 

Nel 2013 sempre Eli Roth ha addirittura omaggiato integralmente il suo modello dirigendo The Green Inferno, film che condivide snodi e titolo di lavorazione con Cannibal Holocaust, oltre a ricalcare il nome della sua parte girata in 16mm.

 

 

[Nel 2001 i Necrophagia intitolarono un loro album Cannibal Holocaust, che si apre con un brano omonimo che riprende il tema di Riz Ortolani e lo declina in chiave death metal]

 

 

A volte i registi sono le persone meno indicate a parlare della propria opera, a causa del legame indissolubile che li lega.

 

Ma su Cannibal Holocaust il compianto Ruggero Deodato ha dato la definizione più lucida possibile per la sua pellicola: 

"Cannibal Holocaust è un film impossibile da ripetere, perché è frutto della creatività di quel dato momento storico. 

Un film piacevole da girare, in cui mi sono divertito, in cui ho dato libero sfogo al mio istinto, giorno per giorno. 

E forse è proprio per questo che è venuto così bene."

 

Un simile mix di ingegno, manipolazione dell'opinione pubblica e isteria antropofagica sarebbe stato possibile solo nel momento storico in cui è stato pensato e sviluppato e in fondo va bene così: in questo modo Ruggero Deodato ha prodotto il suo controverso capolavoro e noi possiamo ammirare uno dei film di genere più influenti della Storia del Cinema. 

 

Si tratta dell'unico compromesso accettabile per un film la cui aura è stata forgiata proprio dalla volontà del suo regista di non scendere a compromessi.

 

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