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Hanno clonato Tyrone - Recensione: la blaxploitation secondo Netflix funziona, eccome

Un trio di antieroi si ritrova catapultato in un’avvincente caccia ai cattivi, in una storia che fonde la comedy con il thriller, passando attraverso lo sci-fi 

Hanno clonato Tyrone è il sorprendente - e vincente - esordio alla regia di Juel Taylor, con protagonisti un Jamie Foxx in forma smagliante, un carismatico John Boyega e un’accattivante Teyonah Parris

 

In un momento in cui Netflix e le altre piattaforme streaming sfornano titoli a più non posso, neanche fossero le brioche di un panificio alle prime luci dell’alba, ritrovarsi costellati da una serie di lungometraggi scadenti è un rischio imminente - e, diciamoci la verità, di film che vorremmo dimenticare Netflix ne ha già prodotti parecchi. 

 

Ma stavolta no, perché al pari di un Da 5 Bloods - Come fratelli - tanto per restare nell’ambito della blaxploitation a cui l’irriverente e originale war movie già strizzava l’occhio - Hanno clonato Tyrone è uno di quei film che avrei volentieri voluto guardare al cinema sul grande schermo e che lascia dietro di sé non poca soddisfazione.  

 

[Il trailer internazionale di Hanno clonato Tyrone]

 

 

La trama di Hanno clonato Tyrone è avvincente, pur tuttavia restando abbastanza lineare ed essenziale: Fontaine (John Boyega) è uno spacciatore nel quartiere afroamericano del Glen, alle prese con le solite rivalità del ghetto e con un pusher che gli dà non poche grane, il brillante Jamie Foxx nei panni di Slick Charles, fiancheggiato dalla sfacciatamente bella e dirompente prostituta Yo-Yo (Teyonah Parris).    

 

Dopo che Slick Charles e Yo-Yo assistono all’omicidio di Fontaine, quando l’indomani vedono l’uomo comparire alla loro porta come se non fosse mai stato crivellato da colpi di arma da fuoco, lo stupore e lo shock non sono cosa da niente. 

Presto il trio si rende conto di volere e dover vedere più da vicino i retroscena di quella vicenda surreale e paradossale: è qui che la trama di Hanno clonato Tyrone prende un plot twist che fa l’occhiolino al sottogenere fantascientifico, quando entra in scena un laboratorio dove un bianco riccone conduce esperimenti di clonazione sui principali abitanti del ghetto di Glen, per scopi “più grandi”, quanto apparentemente nobili.  

 

Il regista - che firma in parte anche la sceneggiatura ed è tra i produttori di Hanno clonato Tyrone - ha a che fare con una prima opera probativa che però non ne esce in disfatta, anzi. 

 

 

[I tre protagonisti di Hanno clonato Tyrone]

 

Il sogno americano che svanisce tra il dedalo di strade tormentate del Glen di Juel Taylor 

 

Sono diversi gli elementi che contribuiscono a rendere Hanno clonato Tyrone un film valido e, soprattutto, piacevole da guardare per tutto lo spettro di tipologie di spettatore.

 

Il lungometraggio di Taylor si fa apprezzare sia dal pubblico “meno colto” in senso cinematografico, che comunque sarà intrattenuto da gag divertenti e dal denso black humor del trio di improbabili moschettieri, sia da chi coglierà tutto il ventaglio di citazioni filmiche disseminate nei dialoghi - a partire da L’uomo senza ombra per finire con La scelta di Sophie e molto altro.

Parlando ancora di citazioni, o meglio di omaggi, è davvero impossibile guardare Hanno clonato Tyrone senza intravedere nel suo stile una certa ammirazione verso le grandi firme del panorama cinematografico black, primo tra tutti Spike Lee - che di recente nella blaxploitation ha sguazzato beatamente - ma anche un po’ di puro e sano pulp à la Quentin Tarantino (i titoli di coda vi dicono qualcosa?).

 

Tra scene rocambolesche e dialoghi magnetici dai toni dissacranti, uno dei momenti più interessanti del film risulta essere quello in cui il trio di protagonisti incontra la “guardia di sicurezza del centro commerciale”: l'uomo caucasico è parte del team dei cattivi ed espone un pensiero non scontato sul post-schiavismo e sulla decadenza del fittizio sogno americano, in un Paese che unito (pur essendo Stati Uniti di nomea) non lo è stato mai.  

La sofferenza e le miserie dei ghetti afroamericani emergono in modo sottile e a volte più dirompente, mentre Juel Taylor confeziona un’opera che riesce a uscire in parte dagli schemi e dagli stereotipi dei film blaxploitation più classici, indagando le dinamiche sociali e il tema del razzismo in modo arguto e sofisticamente intelligente e intellettuale.  

 

A completare il tutto, a rendere più patinato e a mettere il fiocco su un pacco regalo così attraente, è il comparto tecnico che caratterizza Hanno clonato Tyrone: non solo un cast che è perfetto nel ruolo, ma anche una regia mai noiosa, con inquadrature dalla bellezza oggettiva e un look analogico - in stile pellicola sgranata, con bruciature sparse qua e là - che incanta ed esalta la storia stessa, caricando l’atmosfera di ulteriore energia. 

 

Hanno clonato Tyrone è a mio avviso un film da non perdere: chissà se Netflix l’anno prossimo non volerà ancora agli Academy Awards con questo titolo. 

 

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