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Black Mirror Stagione 6 - Recensione: ancora una volta chapeau, Charlie Brooker

Sono cinque gli episodi della sesta stagione di Black Mirror: Charlie Brooker confeziona con classe ed eleganza tecnica una serie TV che continua a sorprendere, anche se si contamina di nuove tendenze stilistiche e dimostra di saper maturare nella narrazione e nell'indagine del lato psicologicamente più tossico della nostra società    

La sesta stagione di Black Mirror è un focus sulle pulsioni e sul lato oscuro degli esseri umani, confezionato a mio avviso perfettamente: nei cinque episodi di questa stagione che arrivano dopo la pandemia la tecnologia vista come famelica e fatale viene un po' messa da parte, ma per delle buone ragioni. 

 

Quando nel 2011 Black Mirror debuttò con la prima stagione, con tutta la sua carica sarcastica e il suo look esagerato e spinto (chi si dimentica di The National Anthem?), il suo autore Charlie Brooker ci presentava un mondo distopico, reso tale dall’avvento della tecnologia più futuristica nella vita dell’essere umano, in cui quest’ultimo finiva per essere vittima dell’evoluzione stessa, cadendo in una cinica trappola da cui uscire risultava impossibile. 

 

Lo schermo è da sempre protagonista assoluto di questa serie TV che ha visto un incredibile successo a livello internazionale, appassionando gli spettatori di tutte le generazioni: in questa ultima stagione, però, Brooker ha dovuto fare i conti con la realtà. 

 

[Il trailer internazionale della stagione 6 di Black Mirror]

 

 

Charlie Brooker ha creato una serie profetica e ora che tutto (o quasi) si è realizzato, è giunta per Black Mirror "l'era dell'Umanesimo". 

 

Forse nel 2011 alcuni episodi di Black Mirror avevano davvero un'allure profetica: oggi, invece, ci rendiamo conto più o meno a malincuore che le overdose di like e di direct messages fanno davvero parte della nostra quotidianità, che le superfici in cui specchiarsi e cercare noi stessi - o la versione migliore di noi, filtrata fino all’inverosimile - sono gli schermi dei nostri smartphone e che le situazioni e i comportamenti compulsivi al limite del paradossale legati alla tecnologia, gli stessi che negli episodi delle precedenti stagioni avevamo guardato con un po' di distacco e disgusto, si sono ormai appropriati delle nostre vite.  

 

Ecco perché secondo me la sesta stagione di Black Mirror - che vanta un cast da urlo con Aaron Paul, Annie Murphy, Josh Hartnett, John Hannah, Kate Mara, Zazie Beetz e Salma Hayek - ancora una volta si dimostra un prodotto di altissimo livello e di qualità sopraffina, ma non rinnega se stessa: semplicemente mostra di essere maturata stando al passo coi tempi, proprio con la stessa vorace velocità con cui evolve costantemente l'high tech. 

 

Il primo episodio della sesta stagione è comunque forse il più “fedele” agli esordi della serie TV: Joan è terribile sembra una divertente quanto inquietante rivisitazione di The Truman Show in cui persino Netflix cita se stessa, mentre lo spettatore si trova davanti a una collezione di scatole cinesi da aprire una dopo l’altra per scoprire quale sia la vera sorpresa. 

 

Proprio nell’anno in cui Dahmer - Mostro: la storia di Jeffrey Dahmer è stata sulla bocca di tutti e il true crime si è affermato ancora una volta come un genere di spicco della nostra epoca, il secondo episodio di Black Mirror 6 indaga proprio l’ossessione dell’essere umano per il crimine: delle vittime ci si dimentica fin troppo presto, perché Brooker sembra volerci suggerire che il fascino del Male è fin troppo irresistibile e che il voyeurismo di fronte alla morte è una perversione a cui in pochi riescono a sottrarsi. 

 

Gli altri episodi di questa stagione, invece, sono quelli in cui la tecnica resta elevatissima, ma i plot twist si fanno più deboli, meno interessanti e convincenti - anche se Beyond the Sea soddisfa di certo gli appassionati degli albori della serie. 

 

Con Demone 79 Brooker sembra invece volersi aprire quasi all'esplorazione di un nuovo universo cinematografico: la contaminazione dei generi è oggi di tendenza - non a caso ai Premi Oscar 2023 abbiamo assistito al trionfo di Everything Everywhere All at Once - e questo lo sanno bene i registi e le case di produzione e di distribuzione.    

 

Egoriferito, emotivamente anestetizzato, opportunista e subdolo, l’essere umano di Charlie Brooker non ne esce ritratto bene: Black Mirror mantiene il suo cinismo per dipingere una società che sta andando alla deriva e che, quantomeno, probabilmente si è ormai anche resa conto di essere in rotta verso quella direzione.  

 

[articolo di Priscilla Piazza] 

 

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