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Winning Time - Recensione: essere ricordati e ricordarsi di esistere

La serie HBO racconta l'epopea dei Los Angeles Lakers a partire dall'arrivo in squadra di Magic Johnson

Il 2 giugno è uscita anche in Italia - su Sky e NOW - la prima stagione di Winning Time - L'ascesa della dinastia dei Lakers, serie HBO che racconta l'epopea dei Los Angeles Lakers a partire dal passaggio di proprietà del club avvenuto nel 1979.

 

Lo show, sviluppato da Jim Hecht e Max Borenstein, si basa su Showtime: Magic, Kareem, Riley, and the Los Angeles Lakers Dynasty of the 1980s, libro scritto da Jeff Pearlman a sua volta ispirato alle vicende della celebre squadra di basket durante uno dei decenni più importanti nella storia della NBA.

 

[La sigla di Winning Time]

 

 

Partiamo da un presupposto: la mia competenza in ambito cestistico proviene quasi interamente dalla visione al cinema del primo Space Jam - dopo la quale mi feci regalare la divisa dei Chicago Bulls di Michael Jordan ma non un pallone da basket - e da qualche altra pellicola quasi del tutto priva di conigli, anatre e alieni. 

 

Il mio interesse nei confronti di Winning Time è nato più che altro dalla presenza di un cast assolutamente degno del grande schermo - tra i volti principali cito quelli di John C. Reilly, Adrien Brody, Sally Field e Jason Clarke - e dalla presenza di Adam McKay nelle vesti di produttore esecutivo e regista dell'episodio pilota.

 

La prima puntata - intitolata Il cigno - è quella che stabilisce le regole di ingaggio e, nel caso di McKay, implica il ricorso a un montaggio tutt'altro che invisibile, ma vera e propria arma a disposizione per raccontare, fornire informazioni allo spettatore ma anche per rappresentare lo stato d'animo dei personaggi tramite più o meno tutti i trucchi del mestiere: l'inserimento di testi e grafiche, fermo immagine, animazioni, jump cut, inserti non diegetici, split screen.

Senza poi dimenticare la rottura continua della quarta parete, tratto ormai tipico del regista.

 

 

[Il Jerry Buss di John C. Reilly in una delle tante rotture della quarta parete di Winning Time]

 

Il tutto viene ulteriormente esaltato dalla fotografia Todd Banhazl, in grado di fornire allo show uno stile unico attraverso immagini volutamente sporche e sgranate, simili a quelle dei prodotti audiovisivi degli anni '70. 

 

La cifra stilistica di Winning Time nasce dall'alternanza di pellicole 35mm, 16mm e addirittura 8 millimetri: mescolando il girato principale insieme a quello catturato attraverso l'impiego di attrezzature di ripresa del tempo, ad esempio le telecamere usate nei palazzetti ma anche i primi modelli di videocamere portatili.

Una scelta pensata dapprima per provare a riprodurre i filmati di repertorio dell'epoca e poi diventata invece parte integrante della narrazione.

 

Winning Time ci offre un'ampia raccolta di personaggi - tutti profondamente danneggiati - scegliendo però di raccontarci la storia principalmente attraverso due di loro: il neo proprietario Jerry Buss (John C. Reilly) e la futura leggenda Ervin "Magic" Johnson (l'esordiente Quincy Isaiah), al tempo una giovane promessa proveniente dal basket di college e università della NCAA.

 

Prima di entrare nello specifico vorrei ringraziare Adam McKay e tutta la produzione di Winning Time per la scelta di John C. Reilly, attore feticcio di Paul Thomas Anderson e caratterista non abbastanza apprezzato dal grande pubblico, qui finalmente in grado di mostrare il suo talento in un ruolo da protagonista.

 

Da questo punto di vista va segnalato anche un piccolo retroscena svelato a Vanity Fair dallo stesso McKay: il comico Will Ferrell, grande amico di entrambi e co-fondatore insieme al regista della Gary Sanchez Productions, spinse attivamente per ottenere la parte di Buss non venendo però giudicato adatto.

 

[Uno sketch profetico nel quale John C. Reilly consiglia a Will Ferrell e Jack Black di alternare parti drammatiche a quelle comiche per essere presi sul serio]

 

 

Tolta la scena iniziale ambientata nel 1991 - quando a Magic Johnson venne diagnosticato l'HIV - la prima stagione di Winning Time si sviluppa durante la stagione NBA 1979/80, cominciata con l'acquisto dei Lakers da parte di Jerry Buss e l'approdo in squadra del cestista numero 32. 

 

Proprio attraverso i loro occhi che ci viene mostrato l'inizio di questo periodo rivoluzionario per la Storia della NBA - ma anche per gli Stati Uniti in generale - al tempo una lega in costante calo di spettatori e dai palazzetti mezzi vuoti; una federazione seguita dagli appassionati duri e puri, ma incapace di innovare e attirare le nuove generazioni.

 

Il Dottor Buss (è laureato in chimica fisica) di Winning Time è un visionario, uno disposto a indebitarsi e rinunciare a buona parte del suo impero immobiliare pur di acquistare una squadra in perdita, considerata al tempo come l'eterna seconda di un business in crisi e secondo molti - tra i cui il suo socio in affari - ormai sul punto di dichiarare bancarotta. 

 

Chi gli sta attorno (compresa una straordinaria Sally Field nel ruolo della madre) la vede come l'ennesima trovata di un uomo di successo costantemente alla ricerca di stimoli e sempre pronto a lanciarsi in una nuova avventura.

 

A ben vedere, forse, hanno ragione: dopo essere cresciuto nella povertà più assoluta Buss si laurea in fisica finendo poi per progettare missili per il governo in piena Guerra Fredda, mollando però tutto per diventare un imprenditore di successo.

 

Ma non è ancora abbastanza.

 

 

[Jerry Buss dopo aver acquistato i Lakers in Winning Time]

  

La sua idea viene dichiarata esplicitamente sin dall'inizio quando, nella prima delle molteplici rotture della quarta parete, dichiara il suo amore per il basket paragonandolo al sesso e rivelandoci di essere sul punto di acquistare i Los Angeles Lakers.

 

Ma non solo, perché lui non vuole semplicemente possedere una squadra: punta a creare una dinastia leggendaria e a rivoluzionare l'intero sport, trasformandolo in uno spettacolo di successo. 

Dove gli altri vedono i club come zavorre lui li immagina come delle potenziali macchine da soldi. 

 

Ha la mente proiettata verso il futuro, ma le sue idee vengono accolte quasi sempre con una buona dose di perplessità: quando propone un palazzetto aperto 365 giorni l'anno si sente rispondere che tutte le principali arene del paese prima o poi devono spegnere le luci, portandolo tra l'altro a ribattere "Ma quelle non sono nella città del sole!".

 

Da questo punto di vista la scelta della California - e di Los Angeles in particolare - non penso sia casuale; del resto, quale luogo migliore ci può essere per dare vita alla sua rivoluzione se non quello dove la frontiera del selvaggio West è terminata, dando così vita a quella immaginaria rappresentata da Hollywood?

 

Magic Johnson rappresenta l'altra faccia della stessa medaglia: "Se sei un essere umano con due occhi e un cuore, quel ragazzo ti fa sentire bene".

 

Per il Buss di Winning Time il suo arrivo è una parte fondamentale del progetto: al di là del fattore economico i due si trovano bene l'uno con l'altro, perché scelgono entrambi di vivere la parte divertente del basket, in contrasto con una visione comune che lo immagina invece più come una guerra, da vincere mettendo in campo "veri uomini" e non ragazzini esibizionisti.

 

[L'incontro tra Jerry Buss e Magic Johnson in Winning TIme]

 

 

Quando la leggenda e allenatore dei Lakers Jerry West (Jason Clarke) viene a sapere dell'imminente arrivo di Johnson prova in tutti i modi a far saltare la trattativa, "Sorride un po' troppo, è un gioco per maschi e lui è molle".

 

Lo stesso vale per i suoi nuovi compagni, tutt'altro che eccitati all'idea di giocarci assieme, quando in realtà lui vorrebbe mettere il suo talento al servizio della squadra: "Io a quelli posso dare la palla in spazi che non hanno mai visto in vita loro".

 

Winning Time gioca molto sul contrasto tra lui e la sua nemesi Larry Bird, ingaggiato con un super stipendio dai campioni in carica dei Boston Celtics e considerato dalla stragrande maggioranza degli addetti ai lavori come il migliore, nonostante Magic lo abbia in realtà battuto nell'unico confronto avuto fino a quel momento, le finali NCAA della stagione precedente.

 

I due sono a malapena ventenni ma Bird sembra molto più grande e mentre Johnson sorride cercando di conquistare i cuori con giocate spettacolari e battute da prima pagina, il suo rivale è l'esatto opposto: scontroso, monosillabico, a disagio sotto i riflettori e con la faccia di chi sta per sbarcare in Normandia. 

 

Nonostante questo il mondo del basket pare pendere dalla sue labbra minimizzando invece le imprese di Magic... ma perché? 

 

 

[Magic Johnson e la sua nemesi Larry Bird raccontati in Winning Time]

 

 

Il razzismo è certamente presente e, soprattutto nell'episodio pilota di Winning Time, risulta proprio palese ma non è tutto perché Johnson - così come Buss - rappresenta anche il futuro; l'innovazione all'interno di un mondo che tenta di resistere disperatamente al progresso.

 

Un po' come Marty McFly con l'assolo di Johnny B. Goode lui e Buss propongono un qualcosa di inconcepibile per la gente dell'epoca ("Ma ai vostri figli piacerà"). 

 

I due sono però perfettamente consapevoli di non poter cambiare il sistema solamente attraverso lo spettacolo dentro e fuori dal campo: devono vincere.

L'interrogativo che porta avanti Winning Time non è tanto cosa siano disposti a fare i vari personaggi pur di sollevare l'ambito trofeo, ma se davvero ne valga la pena: vincere e dimostrare così di essere i migliori li renderà davvero felici e soddisfatti?

Oppure ricomincerà tutto da capo un istante dopo la fine dei festeggiamenti? 

 

La mano di Adam McKay si vede al di là dell'episodio pilota in questa "epopea sportiva", raccontata però senza prendersi troppo sul serio: lo sport, ma soprattutto il racconto dello sport, negli States è cosa seria ma difficilmente Winning Time avrebbe potuto funzionare se avesse puntato su un registro troppo rigido. 

 

La serie mette in mostra una satira che parla direttamente a noi spettatori del 2022, ponendo sotto la lente d'ingrandimento temi come la condizione femminile e la discriminazione razziale, attraverso scene e situazioni teoricamente datate e fuori da ogni contensto contemporaneo, ma in realtà ancora terribilmente e drammaticamente attuali.

 

Al di là della critica sociale e interrogativi esistenziali Winning Time non è certo Succession (per citare un altro progetto sviluppato da HBO insieme al regista), ma è comunque realizzato come nella miglior tradizione del canale via cavo statunitense: puntando su tutte le componenti tecnico/artistiche coinvolte, come nel caso di una colonna sonora davvero degna di nota. 

 

Il risultato finale è a mio avviso una produzione di ottimo livello, magari a tratti eccessiva - e non solo volutamente - ma sicuramente in grado di non passare inosservata.

 

Winning Time è una serie ulteriormente valorizzata da interpreti di assoluto valore, tra i quali possiamo citare anche Gaby Hoffman (C'mon C'mon), Tracy Letts (Le Mans '66 - La grande sfida), Jason Segel (How I Met Your Mother), Wood Harris (The Wire), Rob Morgan (Don't Look Up), Brett Cullen (Joker), l'esordiente Solomon Hughes nei panni di Kareem Abdul-Jabbar e un Michael Chiklis magari poco presente, ma in una forma degna dei bei tempi di The Shield.

 

[Michael Chiklis in Winning Time interpreta il proprietario degli odiati rivali dei Boston Celtics]

 

 

Paradossalmente, proprio la presenza di un cast così importante e di un numero infinito di personaggi potrebbe lasciare un po' di amaro in bocca.

 

Ognuno di loro meriterebbe infatti uno show a parte: nei dieci episodi di Winning TIme - monopolizzati da Buss e Magic - il tempo dedicato ai comprimari risulta abbastanza limitato, portandoli così ad alternare episodi da co-protagonisti ad altri nei quali rimangono invece sullo sfondo.

 

Da questo punto di vista l'annunciato rinnovo per la seconda stagione di Winning Time rende però ottimisti riguardo lo sviluppo ulteriore di alcune delle loro storie, dopo una prima stagione che appare solamente come il capitolo introduttivo di un progetto di più ampio respiro, destinato del resto a coprire un decennio (non uno qualsiasi, ma quello degli sfavillanti anni '80!) di Storia degli Stati Uniti d'America.

 

[Articolo di Riccardo Melis]

 

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