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Un eroe: demonizzare e santificare le icone nell'Iran di Farhadi

Una panoramica sul ritorno al cinema di Asghar Farhadi in Iran 

Un eroe è il decimo film di Asghar Farhadi, vincitore del Gran Prix Speciale della Giuria al Festival di Cannes 2021

 

Dopo aver vinto due Premi Oscar per il Miglior Film Internazionale con Una separazione (2011) e Il cliente (2016), l’autore mediorientale è in lizza per le prossime nomination agli Academy Awards, gareggiando con pellicole dallo spessore di È stata la mano di Dio di Paolo Sorrentino e Drive my car di Ryūsuke Hamaguchi

 

Un eroe racconta la storia di Rahim, il quale si trova in carcere a causa dei suoi debiti; ottenuto un permesso di due giorni cerca in tutti i modi di trovare anche solo una parte dei soldi per far ritirare la denuncia al suo creditore e ottenere la tanto agognata libertà. 

 

Per una serie di una fortuite coincidenze si troverà in possesso di una borsetta incustodita piena di monete d’oro e deciderà di restituirla alla legittima e misteriosa proprietaria: grazie a questo gesto verrà poi identificato dalla stampa e dall’opinione pubblica come eroe. 

 

Un appellativo che, suo malgrado, gli si ritorcerà contro.

 

[Il trailer italiano di Un eroe]

 

 

Che cosa vuol dire essere "un eroe"?

 

Mai come in questo periodo storico si è sentita pronunciare questa parola tanto spesso. 

Da bambini si tende a definire eroi figure di riferimento dalle inestimabili qualità morali, le cui azioni sono scevre da qualsiasi riverbero opportunistico. Per effetto alone a un eroe si associa la bellezza o poteri eccezionali, se non soprannaturali, soprattutto quando questo termine viene anticipato dal prefisso “super”. 

 

Il concetto di eroe è mutevole, soggetto alle ingerenze di stereotipi secolari, ma anche plasmato dalla società di appartenenza.

D’altra parte, volendo semplificare quanto più possibile ed esimerci da qualsiasi implicazione filosofica, possiamo dire che un eroe è colui che, senza condizionamenti esterni, compie un generoso atto di coraggio e di onore per il bene comune, anche a discapito del proprio tornaconto se non addirittura della propria vita. 

 

Rahim si adatta solo parzialmente a questa riduttiva ma efficace definizione: sceglie di restituire la borsetta con il denaro, ma la sua scelta non è priva di ripensamenti e condizionamenti esterni.

In tal senso sarebbe sbagliato vedere in Un eroe - e nello stesso titolo scelto da Asghar Farhadi - un giudizio morale sul suo protagonista.

La cinepresa del regista, com’è evidente osservando la sua filmografia, non offre mai una visione parziale, ma uno spaccato sul mondo, le sue complicazioni, le contraddizioni di cui pullula la società contemporanea, in particolare quella iraniana.

 

Ripercorrendo la carriera ventennale del regista - e di conseguenza la sua filmografia - i racconti di finzione vengono approcciati con un intento quasi documentaristico. 

 

 

[Amir Jadidi interpreta il protagonista di Un eroe] 

 

 

La vita di una persona non è mai un segmento di cui si può riconoscere un punto di partenza e di arrivo, quanto piuttosto un fiume in piena, in cui confluiscono più affluenti, una corrente impetuosa o placida, soggetta alle intemperie esterne.

 

L’amore, la famiglia, le amicizie: nulla può essere estrapolato dal contesto e dalle interazioni che i personaggi hanno gli uni con gli altri. 

 

In tal senso è evidente che il concetto di eroe appartenga a un immaginario collettivo, alla Letteratura, al Cinema, a ideologie astratte: gli esseri umani non possono essere eroi per definizione, per lo stesso motivo per cui esistono molte tonalità di grigio che separano il concetto di bianco e nero, Bene e Male. 

 

Un eroe o, per meglio dire, la sua rappresentazione iconica, è soltanto un vessillo. 

 

Rahim agisce per autoconservazione e per proteggere il figlio, la famiglia e la sua compagna: le sue azioni negative non sono mai prive di intenzioni meritevoli. 

D’altro canto, una volta ricevuto l’epiteto di eroe, il protagonista sentirà il peso sulle proprie spalle di tutte le conseguenze che questa definzione comporta: dal prestigio sociale non voluto - anche se a volte comodo - ai legittimi dubbi degli altri personaggi che gli orbitano attorno.

 

Il rapido telefono senza fili che si instaura di porta in porta, inoltre, è catalizzato dalla presenza dei social network: le opinioni della collettività sono evanescenti, oscillanti, dipendenti non solo dai media canonici come la televisione e i giornali, ma anche dalla volatilità di video, post, contenuti lapidari di post e commenti.

 

A farne le spese rischiano di essere soprattutto i più deboli, come il figlio balbuziente di Rahim che finisce per essere strumentalizzato con lo scopo di suscitare empatia e pietà nelle persone. 

 

 

[Il protagonista di Un eroe e suo figlio] Un eroe Un eroe 

 

 

Venire definiti eroi nell’era dei social network è una lama a doppio taglio: tanto è semplice restituire un’immagine di sé limpida e virtuosa quanto lo è venire smascherati, demonizzati e criticati per le proprie debolezze.

Anche quando la fragilità è legittima. 

 

Nel cast di Un eroe c'è anche la figlia del regista, Sarina Farhadi, che aveva già lavorato con lui in Una separazione.

 

Il film è stato girato a Shiraz, l'antica capitale nel sud dell'Iran, epicentro culturale del Paese: il regista ha scelto questa location in quanto si tratta di "una città più umile, ordinaria rispetto a Teheran, dove si trovano ancora persone disposte a darti una mano e ad offrirsi se ti trovi in una situazione complicata".

 

Libertà, amore, famiglia, con un particolare focus sulla medio-borghesia, i traumi del divorzio e la volontà delle donne: sono questi i temi caratterizzanti della filmografia di Asghar Farhadi fin dall’esordio e che si ritrovano anche in Un eroe.

 

 

[Rana Azadivar interpreta l'intraprendente compagna di Rahim. Per Un eroe il regista ha scelto quasi solo attori teatrali o alla loro prima esperienza]

 

 

D’altronde non si può certo dire che la filmografia del regista nato a Khomeynī Shahr sia esente dalla componente politica.

 

Ad esclusione della produzione francese Il passato - valsa a Berenice Bejo il Prix d'interprétation féminine al Festival di Cannes - e Tutti lo sanno con Javier BardemPenelope Cruz, l'opera di Farhadi si è sempre mossa tra le strade di Teheran e nelle periferie iraniane. 

Il motivo sta nel fatto che, banalmente, un autore che osserva e riporta con così tanta perizia le dinamiche della realtà non può esimersi dall'approccio alla dimensione sociale.  

 

Ancor meglio quando si parla di un contesto di cui ben si conoscono le idiosincrasie.

 

La politica non è un affare governativo indipendente, ma è invece un sistema che ha delle implicazioni sul quotidiano delle persone; un fattore ancor più incisivo in un Paese come l’Iran, la cui Storia è stata caratterizzata per decenni da condizionamenti di varia natura, sballottata tra le conseguenze della rivoluzione islamica e gli strascichi dell’imperialismo occidentale.

  

In un contesto sociale come quello iraniano, dominato da influenze eterogenee, macchiato del sangue di conservatori e rivoluzionari è fiorito un panorama cinematografico eccezionale, nonostante le pressanti censure e gli interventi governativi sull’arte.

Forse il più emblematico dell’intero Medioriente: basti pensare al genio di Abbas Kiarostami - per molti dei suoi film non è superficiale né prematuro usare la definizione di “capolavoro” - a Jafar Panahi, Mohsen Makhmalbaf, Majid Majidi oltre che, ovviamente, allo stesso Asghar Farhadi. 

 

Nomi importanti, celebrati dalla critica internazionale ma poco conosciuti dal "grande pubblico".

 

La speranza, ovviamente, è sempre la stessa: che questi autori - prima o poi - riescano a far breccia anche nel cuore dello spettatore generalista.  

 

 

[Il regista di Un eroe dietro la macchina da presa] Un eroe Un eroe 

 

 

Per quanto Farhadi non abbia mai messo in discussione apertamente le autorità iraniane e i duri atti di censura da esse operati, nella sua opera è evidente come ne comprenda e ne condanni ampliamente i limiti.

 

Un eroe è l’ennesimo tassello che va a comporre questa critica implicita, mai diretta con banalità, sovrapponendosi con eleganza a quelli che sono probabilmente i suoi film di maggior spessore: About Elly e Una separazione.

 

Nell'ultimo film di Farhadi osserviamo infatti gli stessi demoni protagonisti dei suoi precedenti lungometraggi: la burocrazia infinita, il doppiogiochismo delle istituzioni, le miserie del sistema carcerario. 

In particolare, in Un eroe è evidente come in un Paese dove il potere gira la testa di fronte alle problematiche dei più poveri, la microcriminalità e il ricorso all’usura siano un problema effettivo.

 

Nonostante ciò il regista è stato più volte attaccato dall'opinione pubblica, sia per essere un sostenitore del governo sia per il motivo opposto.

 

Il regista di Un eroe, solitamente piuttosto pacato nelle sue dichiarazioni, ha approfittato di un post su Instagram per rispondere ai suoi detrattori.

 

 
 
 
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Un post condiviso da Asghar Farhadi (@asgharfarhadiofficial)

Un eroe Un eroe 

 

Ne riporto la traduzione (a cura di Sara Fallah):

 

"Nel corso degli anni ho cercato di evitare conflitti, concentrandomi sempre sulla scrittura e la realizzazione di film.

Pensavo che la risposta a tutte le calunnie nei miei confronti fosse il mio lavoro, senza bisogno di altre spiegazioni. Ma questo mio silenzio ha convinto alcuni a continuare con le accuse a ruota libera, con la convinzione che Farhadi non avrebbe mai risposto.

Il motivo di questo post è la dichiarazione di una persona che non conosco e che mi ha accostato al governo e allo stesso tempo ad ambienti esteri.

Sia chiaro: io ti odio!

 

Come potete dire che sono vicino a un governo i cui media non hanno risparmiato sforzi per distruggermi, emarginarmi e stigmatizzarmi negli anni scorsi.

Un governo al quale ho chiarito il mio punto di vista sulle sofferenze che ha causato negli corso degli anni.

È di dominio pubblico quanto ho detto e scritto dal 1996 al 1998, e sulla tragedia amara e imperdonabile dei passeggeri uccisi dell'aereo ucraino, sulla crudele discriminazione contro donne e ragazze, sull'aver portato il paese alla disgrazia del Coronavirus.

 

Come fate a dire cose del genere quando tantissime volte in aeroporto mi hanno sequestrato il passaporto o mi hanno condotto a sottopormi a interrogatori?

Come potete accostarmi a un governo che su di me ha più volte detto: 'Meglio che Farhadi non torni in Iran'?

Non ho mai avuto la minima affinità con il vostro pensiero arretrato, né ho bisogno delle vostre stronzate per nascondere elogi.  

 

Voi, che per tanti anni anni avete cercato di sottrarvi alle responsabilità, avete accusato di 'oscurità' ciascuno dei miei film ed è sorprendente che ora sia in corso uno stesso tentativo di accusarmi di  'sbiancatura'!

Se non ho mai parlato della persecuzione che mi avete inflitto è solo perché non ho voluto andare avanti se non con il mio lavoro, in cui credo.

Non pensate che sia mai stato d'accordo con voi.  

 

Se la candidatura del mio film agli Oscar da parte dell'Iran vi ha portato alla conclusione che sono all'ombra della vostra bandiera, dichiaro esplicitamente che non ho problemi a ritirare questa candidatura.

Non mi interessa più il destino dei film che ho fatto con tutto il cuore; sia in Iran che fuori dall'Iran.

Questo film se ha veramente importanza rimarrà, altrimenti sarà dimenticato.  

 

Mi dispiace davvero che il mio tentativo di rimanere in Iran, fare un film in Iran e mostrarlo in Iran, implichi che stia facendo il doppio gioco.

Ho sempre scritto e fatto film con tutto il mio cuore.

Chi mi conosce intimamente sa che ho sempre amato vivere in mezzo agli iraniani e fare film per questa gente, anche se ho avuto l'opportunità di lavorare e vivere ovunque nel mondo, lontano da queste difficoltà.  

 

Ma questa volta è come se ci fosse un grande sforzo da tutte le parti per trasformare questo amore e questa speranza in scoraggiamento.

Alcune persone hanno pubblicato ricordi distorti e falsi, altri mi hanno calunniato e hanno fatto false affermazioni, altri ancora mi hanno accostato al governo.

Anche se sono sicuro che queste persone che mi vogliono male continueranno per la loro strada, io pubblico questo post per rispetto verso coloro che cercano la verità, e cercherò presto di parlare apertamente anche di altri gossip che hanno creato sul mio conto"

 

Per quanto sia fondamentale la contestualizzazione geopolitica nella comprensione del film e del suo autore, non si può dire che i dubbi su cosa significhi all’atto pratico essere un eroe non siano un affare mondiale, al di là del tempo e della storia.

 

Il film ci suggerisce di non affidarci alla sterile narrativa dei media, di non santificare o demonizzare le icone - anche se si tratta di piccoli eroi cittadini - e di ragionare sempre con spirito critico sulla pluralità dei punti di vista. 

 

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