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Annette è filosofia ¦ Metaforica(mente)

Per parlare di film grandi come lo è quello di Leos Carax bisogna parlare di altro

In occasione dello scorso Festival di Cannes 2021 i nostri inviati hanno già presentato Annette in anteprima con un ottimo commento al film in questione.

 

Quello che segue è un articolo con altre finalità, e certo non quella di sostituirvisi.

Desidero lasciare sgocciolare dalle dita i concetti e le emozioni che Annette mi ha suscitato, lasciando che abbatta i confini di una recensione e diventi piuttosto approfondimento sul film e grazie a esso. 


Questo definirà senz’altro un articolo pensato principalmente per chi ha già visto l’opera.

 

Per tutti gli altri resta implicito il mio forte invito a vederla, accompagnati dalla già citata recensione e da questa monografia del regista.


[Il trailer internazionale di Annette, film di apertura alla 74ª edizione del Festival di Cannes]


Annette
Terminata così questa dichiarazione di intenti iniziale, non posso non affiancarla alla stessa scelta introduttiva presente in Annette: vediamo infatti comparire il regista Leos Carax.

 

Dapprima è la sua voce a redarguire il pubblico, intimandogli scherzosamente di mantenere la massima attenzione su ciò che sta per cominciare e trattenere il fiato fin da subito.

In seguito la messa a fuoco intermittente delle prime immagini è sincronizzata perfettamente con il settaggio degli strumenti musicali; ecco una nuova dichiarazione di intenti: questo film non scinderà più neanche per un istante commento musicale e spazio filmico davanti ai nostri occhi.


Sollevato finalmente “il sacro sipario delle palpebre” ecco allora comparire Leos Carax in persona.  

 

Questa volta non è solo come invece all'inizio del precedente Holy motors, ma l’intenzione è la medesima: avviare di persona il film che stiamo per vedere.

Con lui la figlia, Nastya Golubeva Carax  (trattenete questo nome nella memoria).

 

Si rivolgono al duo degli Sparks - co-sceneggiatori e compositori della colonna sonora del film - e tutti e quattro si chiedono se sia possibile cominciare.

 

Lo stesso faccio io: "So may we start?" 

_____________________


La metafora e la verità 


Dichiarazioni di intenti che si intrecciano ad altre dichiarazioni di intenti.

D’accordo, ma possiamo cominciare?

 

Non occorre avere fretta con questo regista, né tantomeno dobbiamo avere una smania vouyeristica di conoscere cosa ci sia sotto davvero o un suo giudizio definitivo a conclusione del film. 

Di questo si occupa Annette, di velare e non sempre di disvelare.

 

Di tergiversare, di “cambiare argomento”, come fa Henry, il protagonista, che all’interrogativo della moglie sul perché una mattina l’avesse deliberatamente rifiutata sessualmente, svia l’attenzione e rimanda tanto a lungo la verità che lei è come se morisse letteralmente dalla voglia di dare una spiegazione a quel “something wrong”.
 

 

[Sovrapposizione e sostituzione di dato di fatto e dato figurato: ecco una metafora in Annette]

 Annette

“Perché sei diventato un comico?” chiede insistentemente il pubblico a Henry.

 

La risposta non-risposta del protagonista andrà per le lunghe, di nuovo, annacquata in ripetuti tentativi di fare morire dal ridere quel pubblico e di mettere così a tacere per sempre la sua inquisizione.  

Poi la risposta emerge: “perché è l’unico modo che conosco per dire la verità senza venire ucciso”.


Perché non vogliamo essere sempre sinceri, perché non essere caustici e venire subito al punto in ogni controversia o caso delicato della vita?

E perché non farlo almeno nell'arte, là dove avremmo pieno potere creativo?

 

La forma della metafora intesa come sostituzione di un dato con un’immagine - spesso un insieme di termini figurati - è certamente il sistema prediletto dagli esseri umani per sviare dalla verità senza per questo tradirla definitivamente.

Più che in qualsiasi altro luogo è proprio nell’arte che questa forma di velamento dilaga.

 

Si mostra qualcosa per intendere altro e, dunque, si decide di non rivelarlo direttamente.


Questa figura retorica si presenta con buone intenzioni, poiché promette di suggestionare maggiormente il fruitore dell’opera d’arte.

Di colpirlo, insomma, più di quanto non farebbe un utilizzo letterale del linguaggio. Tuttavia mi sembra che raramente si ponga l’attenzione sul lato oscuro di questo esercizio retorico.

 

Su un piano superficiale Annette è un film sulla distanza che intercorre fra il personaggio pubblico e il personaggio privato degli artisti.

In senso lato questo è soltanto uno degli esempi in cui si manifesta questo scarto fra dato durevole e immagine saltuaria di sé. 

 

Fra gli altri, anche il loro discorso amoroso si presenta con un eccesso di lirismo, non privo di bagliori di lucidità: “noi ci amiamo così tanto, seppur controintuitivamente”, canteranno a lungo.

 

Un romanticismo “da film”, consapevolmente tale.

 

Annette

 

Anche Ann nella sua professione artistica conosce la finzionalità.

 

È una soprano, e tutte le sere inscena tragedie in cui immancabilmente muore.

I loro propositi sembrano tuttavia complementari: lei muore per salvare il suo pubblico (che vive la catarsi di un orrore vissuto a distanza di sicurezza), lui punta alla provocazione, alla punch-line, all’ammazzare il suo pubblico dal ridere.

 

Carax assimila a sua volta la vocazione allo scarto metaforico dei suoi protagonisti e per tutto il corso di Annette inanella scenari (la tempesta, l’isola, la piscina), metafore espressive dello stato interiore dei personaggi.


Vorrebbe forse saper disprezzare senza indugio Henry e metterlo subito alla gogna, è lui lo sceneggiatore e con la penna in mano potrebbe farlo cadere preda di un tribunale o di un passo falso nella sua escalation di immoralità in men che non si dica.

Eppure non riesce a non cedere al fascino del “detto a metà”, dell’immagine metaforica che impreziosisce l’impatto artistico del suo film tanto da farcene finire una, di metafora, sulla locandina.


Carax temporeggia - con la penna in mano - sulla scelta di condannare o assolvere il suo personaggio ben oltre le due ore di film.

A dire il vero si giunge alla rivelazione della verità, ma sempre con estrema cautela e parsimonia e non prima di decine di svolazzi lirici e di vere e proprie bugie.

 

Quest’ultimo termine ci avvia al secondo blocco di questa analisi.

______________

 

Annette

Una figlia viene al mondo e allontana ulteriormente il momento in cui far chiarezza su quel “something wrong” della coppia.

Frutto di una bugia ha le fattezze della più famosa delle marionette bugiarde, Pinocchio.

Viene al mondo come semplice vezzeggiativo del nome di sua madre.


Henry ne sfrutterà le capacità, anch’esse riflesso del talento materno, quantomeno fino a che sarà lei stessa, sul calco di un’altra fiaba - I vestiti nuovi dell’imperatore - a fare giustizia semplicemente dicendo la verità.

 

 

[Il padre Henry tiene in braccio la sua piccola Annette]

 


La paternità, dentro e fuori il personaggio pubblico di Leos Carax 

 

Ho mostrato come Leos Carax indugi nel giudizio sul suo personaggio, poiché, non c’è da nasconderlo, vi è certamente parte di sé stesso.

 

Del resto la dichiarazione di intenti è manifesta fin dal proposito di dedicare il film proprio a quella figlia che vediamo sedere con lui all’inizio della pellicola.

Poco prima dell’inizio della produzione del suo immenso film Holy Motors, Carax perdette la compagna e madre della bambina, Ekaterina Nikolaevna Golubeva.

Aveva soltanto 44 anni.

 

La causa di suicidio è pressoché conclamata, ma probabilmente mai del tutto verificata.

In quell’occasione il film fu dedicato proprio a lei.

Presentò inoltre un piccolo cameo della figlia, Nastya Golubeva Carax, che allora aveva appena sei anni.

 

Decido coscientemente di sospendere ogni giudizio in merito e, anche io, “cambio l’argomento” così come ho deciso di non sottolineare la carriera attoriale della figlia; del resto anche lo stesso Carax dotando Annette di fattezze non umane si è risparmiato intelligentemente lo "sfruttamento" di un'attrice bambina, coerentemente con i temi del film.   

 

Possiamo però dire che vi sono svariati elementi che uniscono le due pellicole: tratti di simbolismo (la limousine, il palcoscenico, le scimmie, la fissazione per le tonalità del verde e del rosso), una riflessione sullo statuto attoriale e molto altro ancora.

 

Un altro elemento lega questo decennio di produzione filmica di Carax: il cognome Golubeva.

 

Annette è di fatto un grande film sulla paternità, in special modo la paternità dei figli d’arte; oltre che uno sguardo fortemente rivolto all’intimità degli uomini, che ben si affianca alle tante produzioni degli ultimi anni dedicate alle donne. 

_________________

 

Va bene: le metafore e lo scarto rispetto alla verità e le Golubeva, ma quindi... il film mi è piaciuto? 

 

Coerentemente con ciò che ho rilevato grazie al film, non potevo sottrarmi io stesso dall’invitante possibilità del tutto umana di annacquare la mia critica con concetti e immagini suggestive, che arricchiscano la realtà di dati ulteriori, al posto di andare dritto al punto.

 

Al di là del fatto che ritengo che non sia utile a nessuno il semplice nudo dato, specie riguardo alla critica di un film, rispondo comunque che ritengo Annette un film straordinario, e non posso fare a meno di chiedermi se segnerà questi primi decenni del nostro secolo come l’opera a esso precedente di questo grande regista. 

 

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