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Apollo 11 - Recensione: 50 anni e non sentirli

Il documentario sull'allunaggio che ha lasciato a bocca aperta il pubblico del Sundance Film Festival 2019 guadagnandosi il Premio Speciale della Giuria Documentari per il Miglior Montaggio

Il filone cinematografico delle esplorazioni spaziali è senza dubbio tra quelli nel cui archivio si trovano più opere e, ultimamente, è cosa nota che sia tornata alla ribalta la tendenza a girare questo genere di film, tendenza che sembra proprio non volersi arrestare (basti pensare al recente Ad Astra, appena uscito da Venezia 76). 

 

Anche il mondo del Documentario è pieno di validissimi lavori a tema (qualcuno lo abbiamo approfondito qui), ne sono stati girati diversi in diverse epoche, ma quanto saremmo pronti a scommettere, oggi, nel 2019, sull'ennesimo documentario riguardo l'allunaggio del 1969?

 

Probabilmente poco e faremmo molto male.  

Bocca aperta, occhi sgranati, cuore in gola: Apollo 11.

 

 

 

Un po' come per il papà For All Mankind, in Apollo 11 non ci sono interviste a chi ha conosciuto i protagonisti dell'allunaggio, non c'è una voce fuoricampo a raccontare gli eventi, l'opera è fondamentalmente un lungo montato di materiale.

 

Materiali, tra l'altro, che il regista Todd Douglas Miller non si è neanche dovuto prendere la briga di girare visto che era già stato fatto tutto all'epoca dei fatti.

 

Ma allora perché tanto clamore per la première al Sundance Film Festival 2019?

Premio Speciale della Giuria Documentari per il Miglior Montaggio e, a seguire, una sfilza di critiche positive.

 

David Fear - Rolling Stones

"Apollo 11 non sembra solo un film.

Ti dà la sensazione di essere trasportato nel bel mezzo della storia."

 

Tara McNamara - Common Sense Media

"Apollo 11 è come un archivio storico attraversato con un simulatore IMAX.

Fa sentire gli spettatori come fossero parte della squadra che ha messo il primo uomo sulla luna."

 

Chi di voi ha avuto la fortuna di vederlo al cinema sa di cosa sto parlando e non potrà che essere d'accordo con le opinioni della critica: siamo davanti ad un'opera pazzesca.

 

 

[Première di Apollo 11 al Sundance Film Festival 2019]

 

C'è chi, da appassionato, ha bene in mente i volti di Neil Armstrong, Buzz Aldrin e Michael Collins (i tre astronauti a bordo del Saturn V durante la missione Apollo 11), conosce le date precise del lancio, dell'allunaggio, i nomi di chi "dirigeva l'orchestra" dalla Mission Control a Houston.

 

C'è chi invece conosce i fatti solo a grandi linee ma, nonostante ciò, ha bene in mente il famoso evento del primo uomo sulla Luna.

La cosa certa è che la storia dell'allunaggio la conosciamo tutti.

 

Pensate ora di entrare in una sala per andare a vedere un film d'azione di cui il mondo intero conosce la fine, si conosce già ciò che deve accadere, si sa cosa avviene nelle scene di maggiore tensione, si sa anche chi vince, chi perde: si conosce tutto.

 

Rispetto a un bel film di cui non conoscete trama, svolgimento e conclusione, quando potrà emozionarvi il primo rispetto al secondo?

 

Certo, lo so, ce l'abbiamo tutti quel film che ci fa venire i brividi anche alla cinquantesima visione, ma è innegabile che non saltiamo più dalla poltrona come la prima volta nel momento del colpo di scena.

 

Apollo 11 è quel film di cui conosciamo tutti la trama.

Ma Apollo 11 riesce a far stare lo spettatore con gli occhi incollati allo schermo dall'inizio alla fine.

 

 


 

La forza di Apollo 11 sta in pochi elementi, che però sono stati gestiti in maniera magistrale: primo tra tutti, il montaggio.

 

Video e audio si abbracciano in maniera da non far calare mai il ritmo della narrazione, lo split-screen entusiasma e lo spettatore ha l'imbarazzo della scelta su cosa guardare, non sceglie mai un solo elemento su cui focalizzare l'attenzione ma lo sguardo scorre dal direttore di volo Clifford Charlesworth, pronto con le sue cuffie per comunicare con l'equipaggio, al suo vice, Eugene (Gene) Kranz, che come sempre sfoggia uno dei suoi celebri e poco sobri gilet.

 

Si passa da Buzz Aldrin a cui sistemano il sottocasco al modellino dell'Apollo 11, messo lì nella Mission Control quasi come fosse un amuleto portafortuna. 

 

 

[Il mitico Gene Kranz ai giorni nostri, irriconoscibile senza gilet, nella famosa Mission Control del Johnson Space Center di Houston]

 

Vaga lo sguardo tra i vari riquadri che ci permettono di sbirciare dal buco della serratura in quelle stanze in cui non abbiamo mai avuto accesso.

 

E siamo curiosi, ne vogliamo ancora, vogliamo entrare sempre più in contatto con quel mondo magico e fantastico a cui pochissimi esseri umani hanno avuto accesso.

La priorità non è il rispetto della linea cronologica degli eventi, infatti in montaggio sono state prese alcune libertà.

 

Si parla ovviamente di piccolezze, certo il primo passo di Armstrong non è stato montato tra il decollo e l'allunaggio (queste prodezze temporali le lasciamo a Christopher Nolan) ma, ad esempio, il momento in cui dalla Mission Control si accorgono che uno degli elettrodi con cui veniva monitorata la respirazione di Collins non dava più segnali è effettivamente avvenuto durante il viaggio di rientro, non durante quello di andata come si vede in Apollo 11.

 

Ma è tutto a beneficio di un ritmo perfetto, ottenendo così un veloce ed inaspettato calo di tensione guarnito di risate quando sentiamo l'astronauta rispondere al medico di terra:

 

"I promise to let you know if I stop breathing"

Prometto di avvisarvi se smetto di respirare. 

 

 

[Michael Collins]

 

Un montaggio video che va a braccetto e viene arricchito da quello audio.

 

Il rombo dei motori che esplode all'improvviso quando il Saturn V decolla con tutte le sue tremila tonnellate, la delicata fase di aggancio tra il Modulo di Comando Columbia e il Modulo Lunare Eagle, fase di cui capiamo la buona riuscita ascoltando i suoni dei meccanismi che si incastrano tra loro. 

 

Il mangianastri che Armstrong aveva portato con sé e che vediamo volteggiare in assenza di gravità riproduce la fine degli anni '60: sentiamo bene ciò che l'apparecchio riproduce male ed il bello è proprio riuscirne a sentire la resa imperfetta, riuscire ad ascoltare la musica insieme al primo uomo che mise piede sulla Luna, così come la sentì lui in quel momento, 50 anni fa.

 

Silenzio cosmico interrotto solo dai battiti cardiaci di Armstrong e Aldrin nel momento in cui il Modulo Lunare Eagle si avvicina sempre più al tanto bramato satellite.

 

E come i battiti di Neil Armstrong passano da 90 (prima dell'ultimo burn per l'allunaggio) a 150 (dopo il burn), così anche lo spettatore sente il suo cuore voler venire fuori dal petto perché la superficie lunare è a sempre meno feet di distanza e in quel momento ti senti parte del viaggio, parte di una fantasia, di un sogno durato secoli che si è avverato proprio in quel momento storico. 

 

 

[Targa lasciata sulla superficie lunare dagli astronauti dell'Apollo 11]

 

"È dai tempi di Adamo che un essere umano non prova una sensazione di solitudine come quella che sta provando Collins in questo momento"

 

È ciò che si sente dire in una delle registrazioni provenienti dalla Mission Control del Johnson Space Center di Houston: Michael Collins, in effetti, rimasto a bordo del Modulo di Comando mentre i suoi compagni erano sulla Luna, continuò ad orbitare intorno al satellite senza la possibilità di comunicare con la Terra. 

 

Una situazione inimmaginabile a meno che uno non abbia provato l'esperienza di... vagare da solo nello spazio!

 

L'incredibile materiale video e audio che vediamo e sentiamo per la prima volta in questo doc è frutto di un'immensa opera di ricerca di pellicole e registrazioni (undicimila ore totali) che erano custodite dall'agenzia governativa americana National Archives and Records Administration (NARA).

 

Riscoperte di recente, tutte queste immagini girate in 70mm sono state digitalizzate in 4K per essere riportate sul grande schermo.

 

Non a caso l'altro punto forte di Apollo 11 sono le immagini.

Si guardano queste scorrere, l'una dopo l'altra, in tutta la loro impressionante definizione, e intanto si fa strada il dubbio che non sia tutto materiale dell'epoca ma che ci siano anche scene girate ai giorni nostri.

 

E invece no.

 

Apollo 11 è una di quelle opere che meritano gli schermi più grandi che possiate immaginare, fosse anche solo in segno di ringraziamento per tutti coloro i quali hanno lavorato alla digitalizzazione 4K: a voi, se siete lettori di Hey, Doc!, un grazie di cuore!

 

 

[Sundance Film Festival 2019. Da sinistra verso destra: il produttore di Apollo 11 Stephen Slater, il compositore Matt Morton, Rick Armstrong, figlio del famoso Neil, lo storico dello spazio Robert Pearlman, lo sviluppatore di apolloinrealtime.org Ben Feist, il regista, montatore e produttore Todd Douglas Miller, il produttore Thomas Petersen, il tecnico del suono Eric Milano, Bryan Elmer]

 

Menzione speciale va alle colonne sonore composte dal musicista Matt Morton che le ha realizzate suonando solo strumenti elettronici esistenti nel 1969. 

 

Musiche coinvolgenti si adattano perfettamente a tutte le scene e ricordano a tratti quelle di Wendy Carlos, pioniere nell'uso del sintetizzatore Moog nel Tron del 1982 diretto da Steven Lisberger.

 

Una strizzatina d'occhio anche al ticchettio a cui l'amato Hans Zimmer ci ha abituati?

Glielo concediamo.

 

 

 

Giudizio complessivo assolutamente positivo per questo documentario, esempio di quanto non sia solo il lavoro del regista a fare il film, non solo le prove degli attori.

 

Una cosa troppo spesso sottovalutata come il montaggio può dare vita ad opere del genere, capaci di lasciare a bocca aperte intere sale, di arricchire un intero genere cinematografico, di lasciare un segno su una strada già ampiamente battuta su cui sembrerebbe ormai difficile far spiccare la propria traccia tra tutte le altre.

 

Ma Apollo 11 ci è riuscito:

"Un piccolo passo per l'Uomo"

Un grande passo per il Documentario. 

 

 

 

 

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