#Goodnight&Goodluck
Sono un cyborg, ma va bene: quando la mancata distribuzione di un film diventa un crimine contro il popolo italiano.
Buonanotte, amici della notte.
La bellezza - ma anche l'onere - di tenere una rubrica che si occupi di fornire consigli cinematografici che si distacchino dalle produzioni più mainstream è quella di poter svariare di paese in paese e fra generi diversi; avere la possibilità di proporre pellicole recenti, o vecchi "cavalli di battaglia" di registi che, col passare degli anni, sono finalmente arrivati a guadagnarsi le luci della ribalta.
È il caso del regista di cui vorrei scrivervi questa notte: il caro vecchio Park Chan-wook.
Quando nel 2004 Oldboy vinse il Gran Prix Speciale della Giuria al Festival del Cinema di Cannes (presieduta da un entusiasta Quentin Tarantino) la critica e il pubblico cinematografico mondiale si spellarono le mani nel più fragoroso degli applausi gridando al capolavoro.
[Oldboy, l'originale, quello del 2003. Non confondiamo la genialità con la m*rda partorita da quello psicolabile di Spike Lee]
Opinione più che condivisibile osservando l'incredibile qualità del film di Park Chan-wook anche se, personalmente, continuo a pensare che sia Lady Vendetta, la terza sezione della Trilogia della Vendetta, a meritarsi l'appellativo che spetta ai film perfetti.
Concluso il suo trittico fatto di sangue, disperazione e cadaveri, Park Chan-wook continuò la sua corsa al successo con una particolare vampire-story, Bakjwi (2009), la sua prima produzione americana dal titolo Stoker (2013), concludendo poi con il suo ultimo, delizioso lavoro in pellicola: The Handmaiden (2016).
[Mademoiselle, film di Park Chan-wook girato 10 anni dopo Sono un cyborg, ma va bene]
A questo punto della cronistoria il nome del regista di Seul è ormai noto ai più, corretto?
Come si può pensare di citarlo in una rubrica dedicata a film "nascosti"?
Eppure, alla conclusione della Vengance Trilogy, c'è stato un dolcissimo intermezzo acquarellato che porta il nome di Sono un cyborg, ma va bene che, nonostante l'ormai solida fama di Park Chan-wook, continua a essere una pellicola poco considerata della sua filmografia e di cui in giro si legge comunque troppo poco.
Qui entra in gioco il vostro cercatore di tesori preferito.
[Trailer internazionale di Sono un cyborg, ma va bene]
Vincitore del Premio Alfred Bauer per il Miglior Film Straniero al Festival di Berlino del 2006, Sono un cyborg, ma va bene racconta la storia di Cha Young-goon, una ragazzina che ha sempre vissuto insieme alla madre e alla nonna e lavora in una fabbrica di radio transistor.
Un tragico giorno la nonna del cuore della giovane viene fatta internare in una clinica psichiatrica: la demenza senile l'ha condotta a credersi un ratto, nutrendosi di radici e svezzando una covata di topolini.
L'avvenimento, intollerabile per una società come quella sud-coreana - sempre più che attenta alle apparenze e all'immagine sociale che si ha in pubblico - distrugge definitivamente il labile rapporto che legava Young-goon alla madre conducendola alla pazzia.
Quando si parla di ereditarietà genetica.
Ora la ragazzina comincia a credersi un cyborg ossessionato dal significato della propria esistenza.
[Im Soo-jung, protagonista di Sono un cyborg, ma va bene]
Da buon robot che si rispetti, ovviamente, cerca di ricaricarsi assorbendo energia da pile e prese elettriche, rinunciando al cibo che rischierebbe di andarsi a incastrare nei suoi preziosi ingranaggi.
Ricoverata quasi immediatamente in clinica, Young-goon incontra Park Il-sun - un ladro di psicosi - che resosi conto del problema della ragazza cercherà di aiutarla in ogni modo, per evitarle un’inesorabile morte per denutrizione.
Con Sono un cyborg, ma va bene Park Chan-wook racconta allo spettatore una fiaba coloratissima e meravigliosa, tanto da sembrare realizzata con gli acquarelli di un bambino vista la dolcezza e la delicatezza che la permeano.
Nelle immagini, nei dialoghi e nelle musiche di rara bellezza (parliamo dello Yodel, per favore!) non c’è mai banalità, e persino la CGI riesce nell'impresa di trasmettere delicatezza e "carineria" (per vicinanza geografica e influenze culturali nipponiche direi: "Kawaii!") anche quando viene utilizzata per la narrazione di scene degne della peggiore “ultra-violenza” kubrickiana.
[Un frame di Sono un cyborg, ma va bene]
Menzione speciale alla fotografia dai colori vivacissimi di Chung-hoon Chung e per la sceneggiatura costruita su battute dolci e non convenzionali scritte da Park Chan-wook in tandem con Jeong Seo-kyeong (suo collaboratore abituale).
Davvero notevole anche la prova di recitazione dei due protagonisti Im Soo-jung e Jeong Ji-hoon.
Con Ssa-i-bo-geu-ji-man-gwen-chan-a (questo il titolo originale del film) Park Chan-wook raggiunge i vertici che il suo Cinema aveva raggiunto con Lady Vendetta, eppure - indovinate un po' - questo splendido prodotto non è stato considerato sufficientemente convincente dai nostri distributori che, con enorme scaltrezza, hanno pensato non fosse necessario proporre un film del genere nelle sale italiane.
Maledetti, io vi odio.
[I due personaggi principali di Sono un cyborg, ma va bene]
Per esperienza personale posso dire che Sono un cyborg, ma va bene ha un potere emotivo semi-universale sullo spettatore: è cioè uno di quei film (di un altro ve ne ho già parlato) che, di riffa o di raffa, qualcosa dentro lasciano.
Un collage di dolcezza mai stucchevole lungo 105 minuti, in grado di far sorridere, piangere ed emozionare qualsiasi persona a cui vorrete proporlo.
E questa è una cosa che solo i grandi film sanno fare.
- Sono un cyborg, ma va bene (싸이보그지만 괜찮아),
di Park Chan-wook, 2006
Voi che ne dite?
Conoscevate già questo film?
Nel caso non lo abbiate visto, in attesa dell'uscita italiana dell'ultimo film di Park Chan-wook, vi consiglio caldamente di recuperarlo.
Oppure no.
Fate voi.
'notte, ragazzi interrotti.
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