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Hereditary - Le radici del Male - Recensione: un horror ambiguo fino in fondo

Analisi di un horror che gioca fino alla fine sulle sue ambiguità

In un periodo storico che vede pochi slanci di creatività originali, se c’è un genere che più di tutti ha dimostrato una nuova forza narrativa, quello è il genere horror.

 

Hereditary è forse l’ultimo film, in ordine di tempo, ad aver rilanciato una proficua catena produttiva in grado di stregare lo spettatore.  

Non si tratta infatti di un semplice film per il grande pubblico che cerchi di mettere tutti d’accordo con jumpscare a farla da padrone tra un popcorn e l’altro, ma è un esperimento artistico che fa propria quella forma di tridimensionalità intimistica che sembra essersi lentamente (e felicemente) impossessata del genere horror.

 

Hereditary abbraccia una scelta narrativa che da un lato suscita risposte contrastanti da parte del pubblico, ma dall’altro segna un piccolo balzo verso un impegno descrittivo nel mondo cinematografico.

 

La direzione intrapresa dal film non è enigmatica: sin dalle prime inquadrature appare chiaro come Hereditary abbini la cura estrema dei dettagli a un’accurata costruzione della psiche dei personaggi, al fine di ricreare un’atmosfera credibile e suscitare, allo stesso qual tempo, un logorante senso di frustrazione nello spettatore. 

 

 

 

Proprio la psiche diventa quindi il concetto chiave attraverso cui operare un’interpretazione del lungometraggio.

 

Le vicende ci mostrano una famiglia come tante altre affrontare un lutto, quello dell’anziana matriarca: una madre difficile ed ingombrante per Annie (interpretata da una stravolgente Toni Collette) e una nonna estremamente incisiva nella crescita personale della giovane Charlie (Milly Shapiro).

 

Le difficoltà psicologiche - psichiatriche sarebbe più il caso di dire - che emergono dai luoghi mentali più reconditi dei personaggi in seguito alla morte di un personaggio così lontano dalla scena, eppure così decisivo per l’intera vicenda, sono il punto focale attorno cui gira, in fondo, tutta la storia.

 

L’elemento soprannaturale che dovrebbe assumere il ruolo centrale di Hereditary lascia così spazio ad un’ambiguità interpretativa, quella del significato dell’ereditarietà da cui il titolo.

 

 

 

 

Le impressioni, le vicissitudini e la lenta discesa della famiglia in uno stato di estraniazione psichica assumeranno tutto un nuovo contorno: saranno esse reali o irreali?

 

Che ruolo giocano la mente, le allucinazioni e le paranoie nello svolgimento degli eventi e nella determinazione della spirale autodistruttiva della famiglia?

 

Hereditary gioca su questi temi persino con lo spettatore, costringendolo ad un’analisi di quanto stia avvenendo su schermo e abbandonandolo, allo stesso tempo, al dubbio che si tratti di una forma di isteria collettiva in grado di raggiungerlo.

 

L’ereditarietà è il campo da gioco su cui il film semina le proprie equivocità fino alla fine, in cui una rinnovata accelerazione narrativa, strapperà lo spettatore dallo stato di suspense interrogativa mantenuta fino a quel punto. 

 

 

 

 

La suspense, dunque.

 

La visione di Hereditary non va affrontata come un’abbuffata di materiale spaventoso, ma come una lenta discesa lungo un baratro di cui non si vede il fondo.

 

Il film punta a costruire uno stato di ansia paralizzante, generalizzata e ancestrale, in cui il male non viene mai davvero ben definito e raramente lascia trapelare le proprie intenzioni, né tanto meno i propri luoghi e né le forme che assumerà.

 

Il risultato è un horror dal ritmo crescente ma pacato, che si prende i suoi tempi, che disturba in modi irrazionali, che non spaventa ma corrode l’empatia del pubblico fino a sconvolgerne la tensione. 

 

Persino lo splatter, il gore, la crudezza e gli altri stilemi tipici del genere vengono ristudiati dalla regia di Ari Aster.

 

 

 

 

Hereditary è un film horror che introduce gli elementi raccapriccianti in una dimensione di realismo e credibilità quotidiana, in una descrizione che potremmo quasi definire verista.

 

L’anatomia dei personaggi è studiata in micro (tramite statuette e miniature create del personaggio di Toni Collette) e in macro, attraverso la lucida e fredda immagine di tutto ciò che ruota intorno al concetto di morte biologica.

 

Le ambiguità del film infatti non ruotano esclusivamente intorno alla vicenda, ma anche alla meta-rappresentazione degli eventi e dei suoi personaggi, che anche noi impariamo a vedere come delle immobili e asfittiche figure in una casa-guscio che dovrebbe, come spesso accade nella simbologia umana, rappresentare l’intima dimensione familiare. 

 

 

 

 

Sono anch'essi statici, in completa balìa degli eventi, e ciò diventa palese quando alle ricostruzioni in miniatura della vita di famiglia, anche nei suoi più critici momenti, si associano riprese esterne dell’abitazione dove, all’alternarsi del giorno e della notte (di un tempo incurante della calamità in atto), si aggiunge infine un compendio di figure invisibili ed enigmatiche, del cui ruolo gli abitanti della casa sono completamente all’oscuro.  

 

Se analizzato forse da un punto di vista “purista” del genere, Hereditary propone apparentemente uno dei più classici dei cliché: quello di una casa silenziosa e buia in cui si susseguono tragedie incomprensibili, ma in cui paradossalmente nessuno pensa di dover accendere le luci nel corso della notte.

 

Ma se questa presa di posizione artistica sfrutta indubbiamente una delle caratteristiche primarie dell’horror, andando a scomodare la tensione e il vedo-non-vedo come espedienti narrativi, la quasi assoluta oscurità in cui si svolgono gli ultimi e pregni minuti del film sono, volutamente o meno, una metafora della progressiva degenerazione degli eventi, un’oscurità senza nessuna via di uscita, simbolica immagine di una chiusura, una mezzanotte che precede un’alba.

 

Un nuovo inizio, un nuovo ciclo, una palingenesi emotiva.  

 

 



Hereditary è un piccolo puzzle, un gioco da tavolo, un insieme di figure legate non solo da una catena di causa-effetto ma anche da un piano relazionale impalpabile che solo alla fine della visione mostrerà la sua vastità.

 

È un film degno di una visione ripetuta che consenta di scorgere i mille richiami interni, le piccole molliche di pane disseminate nel corso della narrazione per offrire allo spettatore una strada alla comprensione dei protagonisti.

 

Un film in cui l’equivocità continuerà però ben oltre il finale, lasciando allo spettatore la possibilità di decidere in che luogo collocare se stesso nell’osservazione degli eventi di questa piccola matrioska di immagini. 

 

 

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24 commenti

Drugo

4 anni fa

Me lo aggiungo subito alla lista👍

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Angela Pilato

4 anni fa

Drugo
È bello constatare anche dai commenti che sia uno di quei film che divide! Sicuramente non è esente da difetti ma per me vale la visione! 😁 Vai 💪💪

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SViulenz

4 anni fa

A parte il finale, che dà una spiegazione per me troppo netta a tutta la vicenda chiarificando tutti gli aspetti horror, è un film davvero inquietante e ben riuscito.

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Emanuele

4 anni fa

Un film complessivamente interessante ma ho trovato un finale troppo frettoloso,non saprei dire esattamente come lo avrei preferito ma non mi ha proprio convinto

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Filippo Soccini

4 anni fa

Io non sono un amante del genere horror ma questo film lo ho addevo adorato. Il montaggio e la scenografia li ho trovati azzeccatissimi e la cura dei dettagli è davvero impresionante. Recensione scritta moto bene e che condivido 😄.

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Mattia Landoni

4 anni fa

Bellissima prima parte di film, con la famiglia che rimane al centro della narrazione e riesce a coinvolgere realmente lo spettatore.
Seconda parte calante, con gli ultimi 10 minuti slegati completamente dal resto del film. Per me rimane un buon film, ma niente di più

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Niccolò Giannini

4 anni fa

Questo film è stato una gran bella sorpresa. Ari Aster scrive e dirige un'ottima opera prima...

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Sasa

4 anni fa

"Hereditary" è un film che mi ha lasciata a "metà". Ho apprezzato molto l'interpretazione di Toni Colette - la scena della cena è me.ra.vi.glio.sa - e del giovane Alex Wolff - esemplare la scena dell'auto! Al solo ricordarla, mi vengono i brividi. A livello di scrittura, la storia scorre piacevolmente fino a metà, ponendo attenzione ad alcuni piacevoli e sottili dettagli. Poi, tutto è lasciato al "caso" e, quindi, si esce dalla sala con un enorme punto interrogativo sulla testa. Tant'è che io, almeno, ho dovuto fare delle ricerche per rispondere alle domande lasciate in sospeso dal film.
Sommariamente, è un buon film, ma che purtroppo oltre all'ottimo senso di frustrazione, lascia troppi dubbi che distraggono molto.

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Luca Buratta

4 anni fa

Personalmente l'ho apprezzato (molto) nella prima metà, e odiato nella seconda. Tutta la parte sul dramma familiare, prima (SPOILER) che si delinei definitivamente la trama "demoniaca" diciamo, mi aveva molto coinvolto, e anche inquietato non poco per via di alcune scelte di messa in scena e di regia veramente particolari e intriganti. Dopo secondo me cala molto, inizia a infilare scene più canoniche e qualche cliché di troppo, e la trama diventa abbastanza confusa. Oltretutto non vengono sfruttate alcune belle intuizioni mostrate all'inizio, come i giochi di telecamera tra i modellini e la casa, per esempio.
Non so, la prima metà mi era piaciuta così tanto da farmi detestare forse troppo la parte finale. Il film è comunque un ottimo film, ma poteva essere molto meglio per me. È stata questa la vera frustrazione 😀

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iena plinsky

4 anni fa

Luca Buratta
Ho avuto la tua stessa impressione. Prima parte del film molto coinvolgente e allo stesso tempo molto inquietante. Poi invece nella seconda parte ho come avuto la sensazione che il regista avesse voluto “strafare”. Gran peccato

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