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Toro Scatenato: la Cavalleria Bronxiana di Martin Scorsese

Tra Cinema e letteratura: un parallelismo tematico fra Toro Scatenato di Martin Scorsese e Cavalleria Rusticana di Giovanni Verga 

Tra Cinema e letteratura un parallelismo tematico fra Toro Scatenato di Martin Scorsese e Cavalleria Rusticana di Giovanni Verga. 

 

Solitamente nel Cinema la sequenza iniziale su cui scorrono i titoli di testa (e anche quella precedente alla loro comparsa) ha la funzione di introdurre allo spettatore le atmosfere dell’opera, ma nel caso di Toro Scatenato rappresenta molto di più: ne è l’anima.

 

Bianco e nero.

In primo piano tre corde di un ring immerso in una densa cortina di fumo e vapore trafitta solamente dalla luce di sei fari e di qualche sporadico flash di macchina fotografica.

Dietro i titoli di testa, l’immagine in ralenti mostra un pugile incappucciato intento a riscaldarsi per un incontro.

Da solo.

 

I movimenti sono decisi ma aggraziati, sembra quasi danzare. 

 

Toro Scatenato Toro Scatenato

 

Il tutto sulle stupende note dell’intermezzo della Cavalleria Rusticana di Pietro Mascagni.

 

Le stesse musiche vengono utilizzate anche per i titoli di coda, come a voler avvolgere completamente la trama del film dal suo principio alla fine. 

 

Da qui il mio personale spunto: e se ci fosse un parallelismo tematico tra la novella di Giovanni Verga che ha ispirato l’omonima opera di Mascagni e il capolavoro di Martin Scorsese?

Entrambi mostrano con cinismo e pragmatismo non indifferenti il lato oscuro delle passioni e sentimenti umani.

 

Toro Scatenato tratta di emozioni portate allo stremo.

Quelle del personaggio principale sono costantemente accompagnate da impulsi, da istinti quasi animali.

 

Il regista è dissacrante: per lui la vera indole umana in certi casi può essere anche questa.   

 

 

[La reazione di Jake LaMotta (Robert De Niro) durante un litigio con la prima moglie Irma (Lori Anne) sulla cottura di una bistecca]

 

 

Il binomio rabbia-violenza è infatti il protagonista indiscusso del film perché è composto da due fattori inevitabilmente collegati tra loro.

 

Jake LaMotta, immortalato in quella che secondo me è la migliore interpretazione della carriera di Robert De Niro (Oscar come Migliore Attore Protagonista), utilizza il quadrato come valvola di sfogo, essendo l’unico luogo dove può scaricare legalmente tutta la sua ira, repressa e non.

Questo porta il pugile a esprimere attraverso la propria forza bruta una violenza inaudita, al punto da considerare i concorrenti non come avversari da sconfiggere bensì come nemici da annientare. 

 

Al fine di favorire la sua personale cruda visione, Scorsese con Toro Scatenato rompe i dogmi dei film sul pugilato esistenti fino a quel momento: la macchina da presa scavalca le corde del ring e riprende da distanza molto ravvicinata tutti i colpi sferzati dai combattenti e le loro conseguenze, dai rivoli di sudore ai fiotti di sangue.   

 

 

Toro Scatenato Toro Scatenato Toro Scatenato

 

Inoltre, assistito dalla fantastica fotografia di Michael Chapman, cambia spesso angolazioni e distorce l’immagine (effetto fata morgana creato grazie a delle fiamme poste sotto le lenti dell’obiettivo, passaggi da a fuoco a sfocato) per creare prospettive inverosimili allo scopo di amplificare la ferocia di Jake LaMotta durante gli incontri. 

 

Il prodigioso montaggio di Thelma Schoonmaker (Oscar per il Miglior Montaggio) completa infine il lavoro: le soggettive dei combattimenti vengono alternate così freneticamente da arrivare a dare allo spettatore l'impressione di sentire la forza e il dolore di ogni destro e gancio sferzato o incassato dal protagonista.

In aggiunta, per sottolineare l’impetuosità inumana del Toro del Bronx in azione, in fase di post-produzione il tecnico del suono Frank Warner accompagna le inquadrature di Jake a versi di animali e grida terrificanti. 

 

Come rabbiosa, del resto, è in Cavalleria Rusticana anche la reazione di Turiddu alla scoperta che la sua amata Lola si è sposata con Alfio il carrettiere: il suo primo pensiero è infatti desiderare di eliminare il suo nemico in amore “tirandogli fuori le budella dalla pancia”

 

Per non parlare di quanto sia efferato lo scontro finale proprio tra i due contendenti, con colpi bassi per sopravvivere al duello, coltellate in punti vitali del corpo e sangue che sgorga copiosamente.  

 

 

[L'edizione originale della trasposizione da parte di Verga della sua novella in opera teatrale, che servì come testo per il melodramma scritto da Giovanni Targioni-Tozzetti e Guido Menasci e posto in musica da Mascagni]

 

 

Un altro stato emotivo affrontato dalle due opere è la gelosia, anch’esso prettamente passionale e declinato in maniera violenta.

 

In Toro Scatenato il protagonista lo porta a livelli paranoici, tanto da arrivare a sospettare un tradimento da parte di sua moglie Vickie (Cathy Moriarty) con suo fratello - nonché manager - Joey (interpretato da un magnifico Joe Pesci alla sua seconda apparizione assoluta sul grande schermo).

La conseguenza sarà ovviamente irruenta e si concretizzerà in un’impetuosa aggressione ai danni di entrambi. 

 

La causa di questo sentimento è da cercarsi solo nella profonda insicurezza maschile di Jake, la quale, grazie anche a una mancanza estrema di autostima (crede di avere delle mani troppo piccole per competere ad alti livelli, tra le altre cose), viene tradotta in pura ferocia da riversare sugli avversari, sulla propria famiglia e su se stesso. 

 

 

[La violenza di Jake sulla moglie Vickie, interpretata da una diciannovenne Cathy Moriarty]

 

 

Questo processo si concretizza in maniera particolare con Vickie in un circolo vizioso autodistruttivo: il pugile è spinto da pulsioni lussuriose nei suoi confronti, ma allo stesso tempo è convinto che l’astinenza lo motivi a migliorare le proprie prestazioni sportive, decisione che giustamente lascia la moglie nello scontento.

 

Questo risultato, però, non fa altro che accrescere la sua possessività e di conseguenza anche la sua rabbia

 

L’ossessiva ricerca da parte di Jake di qualsiasi segno di tradimento da parte della moglie è magistralmente rappresentata da Scorsese con delle soggettive in ralenti, quasi a simbolizzare l’effetto paralizzante provocato dalla gelosia.

Paradigmatico è anche l’incontro in cui il toro scatenato sfigura per sfregio il viso dell’avversario Tony Janiro, reo di essere stato considerato attraente da Vickie.

 

Ciononostante il regista presenta una sequenza (anch’essa accompagnata unicamente da un’altra sinfonia di Mascagni, la Barcarola tratta dal dramma Silvano) composta da filmini amatoriali girati in un 16mm a colori (pellicola rovinata e desaturata appositamente per renderla simile alla qualità dell’epoca) riguardanti felici scene di famiglia, come a volere indicare quanto quegli unici momenti tranquilli di Jake siano in netto contrasto con il resto della sua turbolenta esistenza, rappresentata nell'opera da uno sporco, crudo bianco e nero.

 

[Impossibilitato causa malattia, Scorsese fu costretto a far girare queste scene a suo padre Charles, il quale ricopre anche un piccolo ruolo nel film]

 

 

Verga invece presenta questo risentimento passionale come componente trasversale e causa scatenante: Turiddu è geloso di Alfio e corteggia Santuzza per ripicca; Lola a sua volta è gelosa di Santuzza e per questo si concede nuovamente a Turiddu; Santuzza è gelosa di Lola e rivela il tradimento a suo marito, Alfio, che sfiderà Turiddu per salvare l’onore. 

 

Un altro tema in comune tra le due opere è la religione.

In entrambi i casi, infatti, è il cattolicesimo a regolare la vita delle comunità in cui si svolge la vicenda: la Sicilia di fine XIX secolo e la New York degli anni ’40.

 

In Cavalleria Rusticana questo elemento è rappresentato nei riferimenti linguistici dei dialoghi (“Se c’è la volontà di Dio!”; “Santo diavolone!”; “Oh! Gesummaria!”), in quelli culturali (Lola che torna dal pellegrinaggio alla Madonna del Pericolo, prega ai piedi del letto baciando il rosario e vuole andare a confessarsi in chiesa perché ha sognato l’infausto presagio dell’uva nera) e in quelli temporali (la tragedia si consuma proprio durante la domenica di Pasqua). 

 

In Toro Scatenato, nonostante la presenza di molte immagini religiose (crocifissi e icone in casa del padre di Jake), l’interpretazione è per lo più simbolica. 

 

Per esempio, il rapporto del protagonista con le donne e in particolar modo con Vickie.

La sua insicurezza sessuale lo spinge a soffrire del cosiddetto Complesso della Madonna o Puttana (tecnicamente conosciuto come complesso di Agar-Sara), distinguendo l’intero universo femminile unicamente in queste due rigide categorie.

 

Quando il pugile infatti vede per la prima volta la sua futura seconda moglie la idealizza come una divinità inarrivabile, ma non appena hanno il primo rapporto sessuale si convince che lei, data la possibilità, lo potrebbe tradire con chiunque, alimentando la gelosia analizzata precedentemente. 

 

 

Toro Scatenato Toro Scatenato Toro Scatenato

 

Il personaggio principale di Toro Scatenato viene inoltre presentato come un peccatore che vuole liberarsi dei propri sensi di colpa, topos presente in quasi tutta la filmografia di Scorsese.

 

Tuttavia, l’unica maniera che possiede per farlo è affidarsi a quell’antico atto cattolico di accettare una sofferenza per rimediare ai propri errori: l’espiazione.

Nel caso di Jake, però, la sofferenza non può essere che violenta, brutale. 

 

Questa pratica prende forma in maniera definita nell’ultimo incontro di LaMotta con Sugar “Ray” Robinson.

Il Toro del Bronx, consumato dal rimorso per il dolore causato al fratello e dall’incapacità di chiedergli scusa, si lascia letteralmente massacrare per espiare tutti i suoi peccati, ma allo stesso tempo riesce a non farsi mandare al tappeto per dimostrare tutto il suo valore allo storico rivale.

 

Per sottolineare il valore religioso del suo gesto sacrificale, il combattimento viene caratterizzato da una serie di simbolismi cattolici: acqua e sangue sul costato di Jake, il paradenti ricevuto come ostia, la vaselina sul viso come olio consacrato per l’ultima unzione, Jake aggrappato alle corde del ring come se fosse crocifisso mentre incassa i duri colpi dell’avversario.

 

[L'ultima sfida con Sugar "Ray" Robinson è considerata una delle parti migliori del film. In questo video in cui viene dissezionata l'intera sequenza si possono notare i riferimenti citati prima e ammirare tutto il chirurgico talento di Thelma Schoonmaker, fedele montatrice di Martin Scorsese da più di quarant'anni]

 

 

Il cammino di Jake LaMotta in Toro Scatenato verso il perdono dei suoi errori però non finisce con quel match, è ancora lungo e intricato. 

 

Ritiratosi in via definitiva dalla boxe, l’agonismo non lo obbliga più a tenersi in forma e si lascia completamente andare, allontanandosi dall’immagine tonica del pugile campione del mondo di pochi anni prima.

Vive nel lusso con la moglie e i figli, acquista e gestisce un locale (a cui dà ovviamente il proprio nome), dove si reinventa come cabarettista.

 

Ciononostante riesce inevitabilmente a toccare di nuovo il fondo, autosabotandosi come al solito.

La responsabilità delle sue azioni è solo sua. 

 

In questa situazione, però, non può utilizzare né un ring né chi gli sta accanto per sfogare la propria rabbia: la famiglia e gli amici lo hanno abbandonato a se stesso, il suo unico e vero avversario di sempre, quello impossibile da sconfiggere.

 

In una delle scene più strazianti di Toro Scatenato il pugile si ritrova in una cella di una prigione e, illuminato da un solo fascio di luce quasi fosse in un confessionale, riversa la propria disperazione a pugni e testate contro un muro, nell'incontro più difficile della sua esistenza. 

 

 

["Perché? Perché? Perché? Che hai fatto? Perché sei così stupido?"]

 

Completamente abbattuto, scoppia in lacrime.

 

"Mi hanno chiamato animale, ma io non sono un animale... 

Io non sono cattivo, non me lo merito. Io non sono così, non sono così...".

 

Si tratta della resa dei conti: la sofferenza per arrivare alla redenzione è solo interiore, non fisica. 

 

Perdipiù, un incontro casuale con il fratello alcuni anni a seguire si trasforma in un’occasione mancata per chiedergli scusa.

Lo fa a modo suo, strappando forzosamente un abbraccio. Ma la reazione di Joey è sfuggente, forse è troppo tardi. 

 

Il percorso personale del personaggio principale non è però ancora terminato, la scena finale ne è la prova.

 

Agli inizi degli anni ’60, in un camerino durante le prove di un suo spettacolo di cabaret, Jake cita il famoso monologo che il personaggio di Marlon Brando in Fronte del Porto rivolge al fratello impersonato da Rod Steiger, in cui lo accusa di avere rovinato la sua carriera da pugile.

Solo che Jake LaMotta sta provando allo specchio, sta parlando alla sua immagine riflessa: un’ammissione di colpa e che ha tutto il sapore dell’agognato perdono, finalmente.

 

Ma non solo: un’accettazione di sé che porta, forse, a una tranquillità raramente vissuta prima.

 

Ciò che però rende così intenso Toro Scatenato è che la lotta del protagonista con i propri limiti ha un collegamento con il vissuto del regista. 

 

Martin Scorsese affermò infatti che nel 1978, anche a causa del mancato successo del suo ultimo film New York, New York, soffrì una crisi depressiva acuta che lo spinse a volere mollare il proprio lavoro ma soprattutto ad abbandonarsi a una dipendenza da cocaina.

 

Dopo un’overdose che quasi gli costò la vita, fu l’amico Robert De Niro a insistere nel fargli considerare l’idea di un film su LaMotta quando lo andava a trovare in ospedale.

Il regista alla fine accettò, ma concluse che Toro Scatenato sarebbe stato il suo ultimo film e decise quindi di metterci letteralmente tutto se stesso.

 

 

[Martin Scorsese e l'amico fraterno Robert De Niro, senza il quale non avremmo mai avuto Toro Scatenato]

 

 

La formazione cattolica, i sensi di colpa, la tendenza all’autodistruzione, il desiderio di redenzione: Scorsese si è rivisto in LaMotta, arrivando a produrre un’opera di meditazione su cosa significhi davvero espiare i propri peccati.

 

Non per niente, il regista scelse di far concludere il film con tre versi presi dal Vangelo di Giovanni in cui i Farisei interrogano un uomo che è stato guarito dalla cecità da Gesù. 

 

"Essi dunque chiamarono di nuovo l'uomo che era stato cieco e gli dissero:

 «Da' gloria a Dio; noi sappiamo che quest'uomo è peccatore». 

Egli allora rispose e disse: «Se sia peccatore, non lo so; ma una cosa so, che prima ero cieco e ora ci vedo»."

 

Per entrambi il percorso è terminato: dopo il buio c’è sempre la luce. 

 

Nell’utilizzare tutti questi toni, Scorsese traccia una svolta nei film di genere sportivo.

Non si guarda più al personaggio principale in quanto campione, ma in quanto essere umano, con annessi i propri difetti.

 

In questo senso, grazie anche alla toccante scrittura iniziata da Mardik Martin e messa a punto da Paul Schrader (ispirata a Toro scatenato, l'autobiografia del vero Jake LaMotta), Toro Scatenato si contrappone a un’altra grande pellicola dedicata alla boxe uscita solo tre anni prima: Rocky.

 

Se quest’ultimo ha raccontato il lato più professionale e romantico del pugilato, l’opera di Scorsese sottolinea tutta la crudeltà e sofferenza presenti non solo dentro e fuori dal ring, ma soprattutto quando il successo svanisce.

 

 

Toro Scatenato Toro Scatenato Toro Scatenato

 

Toro Scatenato acquisisce quindi uno spessore e un'importanza unici nel suo genere, perché mette in risalto aspetti reali della natura umana; caratteristiche che, seppur negative, definiscono in maniera fedele e autentica tutte le debolezze che l’uomo ha o può avere.

 

La complessità del profilo di Jake LaMotta, infatti, rivela con una ferocia inaudita un uomo che riesce a ragionare solo attraverso i suoi impulsi più abietti.

Un uomo forte fisicamente ma debole psicologicamente, con una capacità particolare di autodistruzione e autocommiserazione. 

 

Un uomo che è in continuo conflitto con se stesso e i suoi demoni interiori. 

La triste e spietata faccia della realtà che è difficile da presentare.

 

In definitiva, una sorta di verismo cinematografico che forse anche Giovanni Verga avrebbe condiviso.   

 

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