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Un amore - Recensione: i festival che ritornano - gLocal d'estate 2020

Racconto dell'Italia e di una generazione, ma allo stesso tempo ritorno dei festival in piazza

Un amore è il racconto dell'Italia e di una generazione, ma allo stesso tempo è il ritorno dei festival in piazza.

 

Era il 23 febbraio, quando a metà della programmazione di SEEYOUSOUND venivano chiuse le sale - insieme a tutto il resto - e molti altri festival venivano cancellati, rimandati o spostati online. 

 

I cinema hanno ormai riaperto da più di un mese, ma la quotidianità della sala è ancora tutt'altro che tornata.

 

Tra pistole che misurano la febbre, mascherine, posti limitati e cartelloni svuotati da quelli che sarebbero dovuti essere i film della stagione, molte sale non hanno ancora riaperto - complice anche il periodo estivo da sempre bestia nera delle sale cinematografiche.

 

 

 

 

Gran parte dell'offerta si è spostata nella consueta serie di rassegne dei cinema all'aperto, ma quale occasione migliore per provare a riportare sui grandi schermi film indipendenti e autori dimenticati?

 

Proprio in occasione del gLocal del 2019, l'edizione che ne segnava la maggiore età, avevamo avuto modo di parlare con il direttore Gabriele Diverio dell'importanza dell'istituzione festivaliera per riportare il pubblico nelle sale e in questi giorni, in cui far tornare la gente al cinema sembra sempre più una necessità per non veder morire un intero settore, il gLocal ha deciso di reinventarsi e spostarsi nelle grandi arene dei cinema all'aperto e non arrendersi a questo 2020.

 

Un programma ridotto tra cortometraggi, documentari e film del territorio in cui abbiamo avuto modo di riscoprire, a margine della premiazione del regista Gianluca Maria Tavarelli, Un amore: suo secondo film del 1999 che ricevette varie candidature tra David di Donatello e Nastri D'Argento, nell'anno in cui trionfò Pane e Tulipani, e che fu un piccolo successo di critica e pubblico dimenticato negli anni.

 

"Un film piccolo", come tiene a sottolineare Tavarelli, e perfetto simbolo del panorama festivaliero indipendente.

 

Un'opera che quasi involontariamente, essendo stata scelta mesi prima che anche solo si potesse immaginare un momento come quello attuale, racconta addii e ritorni alla normalità.

 

Un amore è il racconto del rapporto tra Sara (Lorenza Indovina) e Marco (Fabrizio Gifuni) lungo diciotto anni e riassunto da dodici momenti fondamentali, dal primo incontro nel 1982 all'ultimo capitolo nel 2000.

 

Un discorso fatto attraverso dodici piani sequenza, uno per ogni frammento della loro storia d'amore.

 

[Una clip da Un amore]

 

 

L'idea tecnica e registica alla base della realizzazione è, senza dubbio, uno degli aspetti che più convince e affascina di Un amore

 

Scomporre diciotto anni in dodici momenti, sfruttando uno stile visivo senza interruzioni, è una perfetta rappresentazione dei pochi momenti che riescono a sintetizzare una relazione importante come quella tra Marco e Sara: da un lato la continuità assoluta legata alla concitazione del momento, dall'altro i pochi dettagli che restano a distanza di anni per raccontare un percorso.

 

Il tutto riuscendo a non mettere in secondo piano la scorrevolezza, gli intenti e la naturalezza del film in cui mai pesano queste scelte tecniche, ma che anzi riescono a esaltare momenti e concetti o a innalzare i passaggi del film meno convincenti: non un esercizio di stile fine a se stesso (come sempre più spesso capita nel cinema contemporaneo), ma un racconto per immagini in cui la forma si fonde perfettamente con gli altri aspetti e riesce a esaltarli. 

 

Il film è stato realizzato in soli dodici giorni, uno per ogni piano sequenza.

Nonostante ciò e i mezzi da cinema indipendente, però, la qualità del percorso visivo di Un amore è davvero molto alta: tra i virtuosismi necessari per realizzare alcune di queste inquadrature uniche e le bellissime cornici in cui vengono inquadrati i dialoghi dei due protagonisti.

 

Nei dodici frammenti della storia d'amore di Marco e SaraTavarelli e il suo direttore della fotografia Pietro Sciortino riescono a far trascorrere ore, a cambiare location a metri e metri di distanza in altezza, a passare da lunghi dialoghi a corse nella sabbia, il tutto senza quasi mai far sentire il mezzo tecnico, ma anzi riuscendo a spesso a risultare visivamente accattivanti e compiere più di un movimento funzionale alla narrazione.

 

Uno dei pochissimi - a mio avviso - casi in cui la scelta di una regola visiva come quella fatta dal regista torinese riesce a non pesare sulle scelte di regia limitandole e obbligandole a soluzioni subottimali, ma anzi a essere occasione per trovate ricercate e interessanti.

 

 

[Sara e Marco durante uno dei momenti più drammatici di Un amore]

 

 

A questo si aggiungono le musiche di Ezio Bosso - altro elemento che sembra riportarci a ciò che si è appena concluso - e gli inserti d'animazione di Laura Federici che a loro volta riescono, così come la forma filmica, allo stesso tempo a unire, il primo, e spezzettare, la seconda, il racconto di Un amore.

 

Oltre al commento musicale del compianto direttore d'orchestra torinese, ex-membro degli Statuto, il film passa dal Live Aid a Guccini, dai Boomtown Rats alla musica latina, rispecchiando perfettamente due anime vicine ma diverse, come quelle dei due amanti lungo così tanti anni.

 

Non tutte queste dodici fatiche riescono allo stesso livello; nonostante le ottime prove dei protagonisti non tutti i dialoghi convincono: alcuni passaggi tra i due amanti risultano un po' troppo spiegati o sovraccarichi, ma il film riesce a coprire e far scorrere anche le proprie indecisioni.

 

Al racconto di un amore Tavarelli unisce il racconto di una società e di una generazione che cambia, mettendosi nel solco della Trilogia Before di Richard Linklater o dell'Aurora di Fredrich Wilhelm Murnau: la trasformazione dell'Italia a cavallo tra gli anni '80 e '90 in attesa del nuovo millennio.

 

Un amore riesce sia a rappresentare il mondo, le aspirazioni e i dilemmi della sua generazione, sia a raccontare una Torino, ma un po' tutta l'Italia, che si sta trasformando attorno alle vite di Sara e Marco.

 

 

[Gianluca Maria Tavarelli durante la proiezione di Un amore al gLocal]

 

La malinconia di una generazione che passa dai viaggi a Berlino per veder crollare il muro all'esilio in Costa Rica per fuggire da una causa per frode è lo specchio vivido e che, un po' malinconico e disilluso, abbiamo abbiamo imparato a conoscere di quella generazione.

 

L'uso estenuante del dialogo, la suddivisione della continuità, la forma cinematografica così strettamente legata all'idea - quasi filosofica - del contenuto e il racconto generazionale risultano non solo un unicum nel cinema italiano di quegli anni, ma anche uno dei lavori più vicini all'immaginario indipendente americano di Richard Linklater e del primo Jim Jarmusch, che a loro volta pescano a piene mani dall'immaginario di Eric Rohmer.

 

Un amore è un film imperfetto, che certamente non raggiunge le vette a cui si ispira ma che riesce, nonostante limiti e difetti, a essere un piccolo gioiello indipendente in un Cinema come il nostro in cui una spinta giovanile, generazionale e fresca è spesso mancata negli ultimi anni.

 

Un perfetto esempio quindi di ciò che il Cinema dei festival indipendenti può far riscoprire, o proporre per la prima volta.

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