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Una nuova “commedia” di asiatici strampalati ed eccentricamente cool è arrivata in città, inseguiti con un iPhone di ultima generazione dal regista taiwanese Liao Ming-yi: I WeirDO è un’opera fresca, coloratissima, giovane e originale.
In appena cento minuti di durata I WeirDO riesce a coprire una vasta porzione dello spettro emozionale, sballottolando lo spettatore tra risate, rabbia e, soprattutto, una malinconia insormontabile.
[Il trailer di I WeirDO]
Al centro delle vicissitudini ci sono due anime perse, Chen Po-Ching e Chen Ching, due ragazzi che soffrono di disturbo ossessivo-compulsivo (DOC).
Percorrono le loro vite tanto solitarie quanto simili in modo parallelo fino a quanto uno scherzo del destino- lo stesso per cui la prima internazionale di un film su mesofobici in mascherina si è trovata nel periodo del COVID-19- non li farà incontrare.
Chen Ching indossa un impermeabile giallo e dei collant blu. Chen Po-Ching si veste come se dovesse affrontare una guerra batteriologica. Entrambi portano i guanti e ripercorrono giornalmente le stesse azioni.
Ci vorrà poco più di qualche sguardo affinché i due ragazzi vedano se stessi negli occhi e nei modi dell’altro.
E’ l’inizio di una storia d’amore maldestra, ma romantica, intensa ma asessuata, fatta di promesse insostenibili e di pulizie maniacali.
I due personaggi eccentrici e naif, con gli occhi sempre sgranati e con buffi approcci, nella prima parte di I WeirDO ricordano i protagonisti di I’m a cyborg but that’s ok del più celebre regista sud-coreano Park Chan-Wook.
D’altro canto non è certamente l’unica ispirazione individuabile; si può riscontrare anche un omaggio a Xavier Dolan, sia per gli elementi della cultura pop in ogni inquadratura - il fatto stesso che sia girato con un iPhone è indicativo - sia per un cambio di aspect ratio in senso narrativo.
Liao Ming- yi passa dallo schermo dell’iPhone ai classici 16:9, similmente a quello che il regista canadese ha fatto in Mommy.
In I WeirDO l’estetica curatissima, quasi fumettistica, sia dei look dei protagonisti sia delle scenografie, in un primo momento potrebbe iconizzare i due protagonisti e, soprattutto, romanticizzare la loro malattia mentale; quest’ultimo processo purtroppo è molto in voga, spingendo le persone a definirsi maniache, depresse o ossessive senza rendersi conto di quanto, al di fuori del piccolo e del grande schermo, queste malattie siano invalidanti e problematiche.
Fortunatamente però il film taiwanese pur essendo così accattivante non perde di vista il suo focus e non incorre in questo equivoco.
In I WeirDO infatti abbiamo innanzitutto la ricerca spasmodica di combattere la solitudine. Chen Po-Ching e Chen Ching infatti non si conoscono abbastanza bene da andare a vivere insieme; per loro basta la malattia per sentirsi affini l'uno con l'altro.
A unirli è un sentimento complicato, in cui affetto e egoismo si sovrappongono.
Cosa rimane a Chen Po-Ching e Chen Ching quando uno dei due guarisce dalla malattia?
Un'ineluttabile incomunicabilità.
Dalla romantica clinica psichiatrica di Park agli outsider alienati del conterraneo Tsai Ming-Liang.
I WeirDO è una rappresentazione ovviamente iperbolica ma efficace di molte coppie in cui uno dei due partner taglia più velocemente i traguardi della vita.
Le incursioni dei personaggi secondari sono brevi e sfuggevoli, il film rappresenta una danza per due persone, è l'intimità di una cucina, è un geco che minaccia il focolaio domestico.
La felicità per i successi dell'altro viene oscurata dall'invidia e dalla paura della perdita.
Perdita che purtroppo a volte è inevitabile, non tanto per mancanza d'amore, quanto per incompatibilità dei tempi e degli interessi.
E' il dramma delle coppie di giovani adulti in fase di crescita e assestamento, il disturbo ossessivo-compulsivo estremizza il concetto, non lascia alcuno spazio ai "se" e ai "ma" di questo futuro già scritto più e più volte nell'enciclopedia dei drammi umani.
Nel momento in cui ci si emancipa dalle proprie stranezze, piccole o patologiche come in I WeirDO, la tentazione è quella di rigettarle, rifiutarle, nascondere il passato sotto il letto; quando si nega ciò che ci assomiglia e ciò che abbiamo amato è perché, in fondo, si odia se stessi.