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Torino 37 - Concorso Principale: minirecensioni, Parte II - Torino Film Festival 2019

La seconda tranche di film in concorso al 37° Torino Film Festival

Ecco la seconda tranche di cinque film sui quindici facenti parte del concorso internazionale Torino 37, selezione principale del 37° Torino Film Festival dedicata a opere prime, seconde e terze. 

 

Come detto nella prima parte la selezione principale ci ha messo un po' a decollare, ma ora che abbiamo avuto modo di vedere tutti i film il livello è risultato davvero molto alto e tra questo e la prossima tranche ci sarà più di un titolo da segnarsi e sperare che arrivi aanche nelle nostre sale. 

_________________________

 

 

 

Fin de Siglo

di Lucio Castro

 

Film argentino ambientato a Barcellona in cui Ocho e Javi si incontrano, entrambi stanno viaggiando e sono di passaggio nella città catalana.

I due si piacciono e si concedono una giornata di passione prima di separarsi.

 

Una premessa semplice e scontata, ma che non basta a descrivere il film di Lucio Castro, perché Fin de Siglo dopo l'incipit romantico e realistico inizia a viaggiare nei pensieri e nei ricordi dei due protagonisti che forse si erano incontrati e amati vent'anni prima e forse avranno un futuro assieme.

  

Tra Ocho e Javi c'è una chimica istantanea, la notano subito anche loro oltre allo spettatore, ma il secondo è sposato: un matrimonio aperto, in cui un incontro fortuito come quello della premessa è assolutamente lecito, ma non di più.

 

 

[Ocho, a sinistra, e Javi, a destra, in uno dei momenti trascorsi insieme]

 

Lucio Castro costruisce un film che dapprima si muove nel campo della realtà e della fisicità, ma che ben presto inizia a giocare con la memoria e il sogno: due categorie che si assomigliano moltissimo secondo questo film.

 

In una sorta di Before Sunrise (film del 1995 di Richard Linklater), che sembra essere stato - giustamente - un faro per buona parte di questa selezione, con una regia e dei sentimenti che riportano al cinema di Pedro AlmodovarJavi e Ocho passeranno il poco tempo a loro disposizione raccontandosi e parlando delle proprie convinzioni sulla vita, sul rapporto di coppia e sul tempo passato e futuro.

 

La scelta del regista spagnolo di non sottolineare in alcun modo gli stacchi temporali sia nel passato, sia nell'ipotetico futuro è probabilmente una delle più grandi forze del film, che così riesce a viaggiare in una costante dimensione di continuità e sospensione: questo rende allo stesso tempo tutto presente, passato e futuro, vero tanto quanto frutto dell'immaginazione.

 

 

 

 

Fin de Siglo sa unire bene la passionalità delle scene d'amore al romanticismo dei momenti dialogici e di viaggio all'interno della città, riuscendo a costruire un rapporto tra i due protagonisti organico e reale che non si appiattisce su nessuna delle due componenti.

 

Barcellona, vista con gli occhi del regista che non ci era mai stato, risulta allo stesso tempo protagonista di un triangolo con i due amanti e luogo etereo e ameno irripetibile nella vita di tutti i giorni: la location perfetta per perdersi insieme.

 

 



Con una delle scene di ballo tra innamorati più belle degli ultimi anni, al ritmo di Space Age Love Song di A Flock of Seagulls, Fin de Siglo risulta un film con una regia e un'estetica non preponderanti, ma che, quando si prendono i propri spazi, riescono a sfruttarli al meglio costruendo momenti suggestivi ed emozionanti.

 

Questo alternando la staticità di momenti come il lungo dialogo sul tetto o la passionalità della scena appena citata.

 

Il viaggio attraverso il tempo, che sfrutta molto luoghi e oggetti per accentuare il cortocircuito delle memorie falsate e dei sogni irrealizzabili, funziona molto bene e sa sapientemente sfruttare il dialogo per rendere chiaro il cambiamento nei protagonisti.

 

Si è scelto infatti di lasciare entrambi i personaggi esteticamente quasi immutati in ognuno dei tre piani differenti, ma nelle parole traspare tutto il tempo trascorso.

 

Significativa anche la scelta di ambientare il passato proprio nel 1999, alla fine del secolo (Fin de Siglo in spagnolo), con tutte le paure e i sogni che quel momento ha creato nella sua generazione.

 

 



Talvolta il film cerca di ritagliarsi lo spazio per parlare di altro come la paternità in una coppia omosessuale, la paura della malattia, il modo diverso di approcciarsi alla propria sessualità con il passare degli anni.

 

Proprio in questi momenti Fin de Siglo sembra perdere un po' il filo del discorso, sia perché sceglie di sfruttar meno il dialogo tra i protagonisti e più la narrazione classica, sia perché questi momenti risultano come deviazioni di una strada che non ne sentiva la necessità.

 

Fin de Siglo è un film sincero in cui viene trasmesso tutto il trasporto per i due innamorati del regista e in cui la costruzione temporale-onirica funziona perfettamente, un'ottimo esempio della qualità di questo 37° Torino Film Festival.

 

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El Hoyo

di Galder Gaztelu-Urrutia

 

El Hoyo è senza dubbio il film più politico e atipico della selezione principale del 37° Torino Film Festival.

 

Una distopia violenta e simbolica che sarebbe stata benissimo anche in una selezione queer come Afterhours e che, infatti, ha più di una similitudine con The Antenna.

 

El Hoyo, ovvero la piattaforma, è una sorta di prigione costituita da una struttura verticale in cui ogni piano è una camera per due detenuti.

Al centro di ognuna di queste stanze, in cui sono presenti solo due letti, un lavandino e l'indicazione del piano, c'è un buco in cui una volta al giorno passa una piattaforma piena di cibo.

 

 

[La stanza e la piattaforma al piano 48, con Goreng (di spalle) e il suo primo coinquilino]

 

Ogni persona ha diritto a portarsi un oggetto dentro al palazzo: Goreng, il nostro protagonista, ha scelto Don Chisciotte della Mancia di Miguel de Cervantes.

 

Sulla piattaforma c'è il piatto preferito di ognuna delle persone rinchiuse, alcune volontariamente, altre a causa dei loro crimini.

La piattaforma però scende dall'alto e si ferma in ognuno dei piani: qui viene saccheggiata dagli inquilini facendo sì che più ci si trova in basso più sia difficile mangiare.

 

L'allegoria alla società capitalistica odierna non è certamente sottile e difficile da rintracciare e qui sorge il primo - e più grosso - problema del film.

 

Tanto è forte l'idea di fondo di El Hoyo e anche la sua evoluzione narrativa, quanto il regista, non fidandosene, sente la necessità di mettere costantemente nella parole dei personaggi le interpretazioni dei simboli in scena.

 

 

[Goreng e la giovane madre sulla piattaforma]

 

In questo piccolo universo Goreng viene a contatto con una serie di personaggi-simbolo che lo accompagnano lungo tutto questo trattato politico: l'anziano che non mette in dubbio il sistema, la funzionaria che crede nell'esperimento sociale, una giovane madre alla ricerca della figlia, l'arrampicatore,  il saggio e molti altri.

 

Il film è stilisticamente molto lineare, quasi troppo, con molta più cura per la violenza e la forza di ciò che viene mostrato che per il modo in cui viene fatto: tra cannibalismo, animali squartati e scontri corpo a corpo per rivoluzionare il sistema.

 

 

[Goreng e l'arrampicatore durante la loro discesa]

 

Il personaggio del protagonista attraverso i tre cambi di coinquilini evolve il suo pensiero e cambia il modo di rapportarsi alla piattaforma.

 

Dapprima i valori che lo avevano caratterizzato fuori dalla prigione vengono mutati in puro spirito di sopravvivenza dall'anziano Trimagasi, poi l'incontro con la funzionaria Imoguiri lo fa credere in una rivoluzione di quel luogo, infine l'incontro con l'arrampicatore Baharat lo porta all'azione.

 

 

[Trimagasi, il primo coinquilino di Goreng]

 

L'ultima parte del film, dopo esser stato principalmente dialogo nella prima e un horror tendente al gore nella seconda, diventa pura azione: Goreng e Baharat decidono di percorrere dal sesto piano fino all'ultimo tutta la colonna.

 

Nel far questo vogliono imporre il razionamento del cibo e di mantenere intatto un messaggio, in cibo, per i loro carcerieri.

Ovviamente questo richiederà l'uso della violenza per esser fatto accettare a tutti.

 

 

[La funzionaria futura compagna di stanza di Goreng]

 

El Hoyo è un film che ricorda molto The Cube di Vincenzo Natali per l'estetica e per la sensazione di claustrofobia, senza però raggiungerne la forza visiva, e che cerca di portare avanti un discorso politico complicato e simbolico come per esempio quello di High Rise di Ben Wheatley incappando però in un'eccessiva verbosità delle spiegazioni.

 

Questo fa sì che in più di un momento il film si complichi inutilmente in alcuni sproloqui, quando con le immagini e le azioni messe in scena il messaggio sarebbe stato più efficace e convincente. 

 

Un film comunque interessante, stimolante e audace, che non è la miglior versione possibile di se stesso, ma che comunque nella selezione Torino 37 del festival non sfigura affatto.

 

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Prélude

di Sabrina Sarabi

 

Prélude, film d'esordio della tedesca Sabrina Sarabi, è un film quadrato e lineare, ma allo stesso tempo racconta sentimenti, esagerazioni e comportamentamenti più propri del Romanticismo letterario. 

Proprio da questo ossimoro nascono i pregi e i difetti di questa opera prima.

 

 

[David e la sua rigida insegnante]

 


David è un giovane pianista tedesco che sogna di entrare alla cinematograficissima Juilliard di New York.

 

Per raggiungere questo suo obbiettivo entra in un prestigioso collegio e qui si allena incessantemente come un automa.

 

Questa sua freddezza e metodicità viene messa in dubbio dall'incontro con l'amico-rivale Walter e la cantante Marie. 

David così inizia a sciogliersi all'interno del collegio e allo stesso tempo, perdendo lucidità, la sua ossessione cresce a dismisura.

 

In una sorta di Whiplash di Damien Chazelle in cui però il giudice più severo è David stesso, il protagonista entra in un circolo di ossessione e follia che lo conduono a sfoghi di rabbia e all'esaurimento.

 

 

[David in una scena del film]

 

Il metronomo invade la testa di David e, come l'ossessione per la Juilliard lo riempie sempre più, lo spettatore viene condotto dai battiti (siano essi del metronomo, del tavolo da ping-pong o della colonna sonora) nel viaggio verso l'esaurimento.

 

Questi suoni e la musica classica che ossessiona il giovane pianista si alternano ai momenti di libertà e trasporto, simboleggiati dalla musica techno che è perfetta espressione della sua rabbia e voglia di libertà da se stesso.

 

 

[Walter, Maria e David]

 

Il film tiene sempre perfettamente insieme il percorso tra il protagonista e la musica e la sua deriva mentale, ma dall'altra parte la freddezza visiva del film della Sarabi fatica a farci empatizzare con il ragazzo.

Pur essendo un limite nel nostro rapporto con il giovane pianista il film risulta raffinato, curato e con più di un momento visivamente davvero forte e ben riuscito.

 

Riesce a passare dalla freddezza di una stanza asettica, ad una casa disordinata e bohèmienne in cui David sembra quasi immergersi in un Jules et Jim di François Truffaut con Maria e Walter.

 

Il rapporto con l'insegnante è invece esaltato dalla freddezza del film: i silenzi e le reticenze si sposano benissimo con l'immensa stanza delle prove e l'inespressiva docente.

Così come tutto il lavoro e l'evoluzione dei gesti e dei dettagli delle mani di David  è davvero ben riuscito.

 

Prélude è un film con tante qualità e scelte interessanti e convincenti, che forse non riesce solo a trovare la giusta alchimia tra le sue due anime, che però si mischiano perfettamente nel drammatico e bellissimo finale.

 

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Raf

di Harry Cepka

 

Raf è un film che cerca di mettersi nel solco del cinema indipendente americano (Harry Cepka, esordiente, è canadese) e in cui l'anima politica e sociale di The Hoyo, i conflitti di Algunas Bestias e il rapporto non detto della prima metà di Dylda di Kantemir Bagalov - film russo bellissimo che sarà parte del terzo e ultimo blocco di film in concorso - vengono accostati, ma senza mai unirsi completamente.

 

Raf racconta l'incontro tra la protagonista omonima e Tal

 

La prima è una ragazza di ventinove anni che vive ancora in uno scantinato di Vancouver, è timida ed eccentrica e guadagna poco facendo le pulizie in una scuola e cerca di arrotondare con dei lavoretti che non vengono mai pagati.

 

 

[Raf, a sinistra e nel poster, e Tal nell'appartamento della prima]

 

La seconda invece è di famiglia ricca, è esuberante e decisa e cerca di spronare Raf a cambiare la sua vita in meglio e non solo a subirla.

 

Grace Glowicki  l'attrice che interpreta la protagonista - presente al Festival da regista con la commedia Tito all'interno di Afterhours - è la vera mattatrice del film che per larghi tratti sembra un one woman show in cui osserviamo la donna ballare, imitare e vivere la sua quotidianità. 

 

 

 

 

La sua interpretazione è senza dubbio l'aspetto migliore del film e l'emento che più di tutti riesce ad unire le varie componenti che talvolta suonano un po' come oggetti distinti messi nella stessa scatola.

 

La complicità con la nuova amica porta la protagonista a farsi coraggio: chiudere la storia che non funzionava da tempo e smettere di venir sfruttata come tuttofare senza venir pagata.

Tra le due si crea un'alchimia tangibile e Raf si affida completamente alla nuova amica. 

 

Il film resta per lungo tempo in questo limbo prima di passare al vero snodo narrativo: una weekend organizzato da Raf e Tal nella casa in montagna di famiglia.

Momento che arriva decisamente troppo tardi nell'economia del film.

 

Oltre alle due ragazze ci sono il fratello di Tal e il maggiordomo.

 

 



Nella villa in montagna si scopre ciò che si celava nel rapporto tra e due ragazze: con un certo senso superiorità Tal voleva prendersi cura di Raf.

 

La protagonista non lo accetta e durante la reazione ferisce il maggiordomo.

Così si conclude il loro rapporto. 

Harry Cepka vuole raccontare una generazione persa in una società che non offre opportunità attraverso il personaggio di Raf e poi metterla in relazione all'alta borghesia di cui Tal è perfetto esempio.

 

Il film oscilla tra una dimensione più sociale di mondo del lavoro, opportunità economiche e differenza tra classi e una più umana di legame affettivo tradito, ma non riesce mai a trovare la giusta alchimia tra loro.

 

Se il modo in cui ci viene mostrata Vancouver, lo spaesamento di Raf e le differenze con la vita di Tal sono lampanti e ben mostrate per immagini, attraverso un racconto visivo delle periferie che ricorda molto il cinema di Ken Loach, tutto il discorso sul rapporto tra le due donne risulta abbozzato.

 

Non basta l'ottimo rapporto scenico tra le due attrici a salvare un'evoluzione narrativa che sembra saltare da una condizione all'altra senza un vero e proprio percorso.

 

Senza dubbio una delle opere che mi ha convinto meno della selezione.

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Noura's Dream

di Hinde Boujemaa

 

Film tunisino in concorso nella selezione principale del 37° Torino Film Festival che racconta il conflitto tra le relazioni amorose e la società del paese nordafricano.

 

Noura's Dreamterzo film del regista Hinde Boujemaa, è la storia di Noura, madre di tre figli, innamorata di Lassad, ma sposata con Jamel che all'inizio del film è ancora in carcere.

 

La protagonista si ritrova in una società in cui non può mostrare il suo amore per Lassad, meccanico che la tratta con amore e rispetto, e in cui suo marito, amico di un poliziotto locale, esce di prigione e può fare quello che vuole.

 

 

[Noura e Lassad]

 


Un melodramma che riesce allo stesso tempo a delineare molto bene Noura e il suo dilemma e a mostrare le arretratezze e la violenza della periferia tunisina.

 

Noura's Dream non scade nella banalizzazione di una donna forte in una posizione di difficoltà, ma anzi crea un personaggio tridimensionale fatto di imperfezioni e comportamenti negativi, nonostante il suo ruolo di protagonista. 

 

È inoltre interpretata magnificamente da Hind Sabri che sa far sentire tutto il peso delle decisioni e del dilemma nello sguardo di una donna orgogliosa e forte.

 

 

 


Non solo Noura, ma anche entrambi gli uomini della sua vita sono tratteggiati perfettamente nell'ambiguità dei loro sentimenti: Jamel, nonostante i crimini e la violenza, cerca di essere un buon padre di famiglia, così come Lassad, nonostante l'amore e la gentilezza, non esita a usare sotterfugi e mettere pressione sull'amata.

 

Figure tanto imperfette quanto reali e organiche nel muoversi nel piccolo mondo di periferia costruito da Hinde Boujemaa.

 

Intorno al triangolo di grandi personaggi e attori si muove la societa tunisina, le regola e le istituzioni di un paese in cui Noura - senza velo - cerca i emanciparsi in quanto donna, ma allo stesso tempo lo sguardo inquisitorio di una collega la condanna attraverso la confessione al marito.

 

 

[Noura, il marito Jamel e Lassad sullo sfondo]

 

Un melodramma che non scade nella pateticità e nemmeno in un racconto troppo classico, riuscendo a riservare momenti di tensione e colpi di scena più propri di altri generi.

Una commistione che sicuramente è stata influenzata dal lavoro di Asghar Farhadi, maestro nell'unire società e dramma amoroso.

 

Il film è ottimo sia nel racconto dell'amore e della passione tra i due amanti, attraverso dettagli e piccole scelte, sia nel mostrare le violenze verbali e fisiche di Jamel con seqequenze molto ben dirette e forti.

 

Un bel film con grandi interpretazioni e un ottimo contesto visivo, che sa prendere la giusta direzione in fase di scrittura (per esempio la scelta di Noura durante l'interrogatorio o alcune reazioni della donna ai due uomini).

 

Un film che convince, ma non completamente.

Probabilmente perché nel mantenere il piede in due scarpe non conclude degnamente il discorso di nessuna delle due e che cade su un'ultima inquadratura slegata dal film e che strizza l'occhio ad un'apertura del finale davvero non necessaria.

 

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