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The Antenna - Recensione: distopia vintage dalla Turchia - Torino Film Festival 2019

Un horror atipico e intelligente sull'attuale situazione turca, ma anche sull'uso delle tecnologie come mezzo di indottrinamento in ogni parte del mondo

Primo lungometraggio di finzione dopo vari documentari e cortometraggi del turco Orcun BehramThe Antenna (Bina il titolo originale), parte della sezione Afterhours del 37° TFF, è un horror atipico e intelligente sull'attuale situazione turca, ma anche sull'uso delle tecnologie come mezzo di indottrinamento in ogni parte del mondo. 

 

Il film si apre sull'installazione di una nuova antenna televisiva in un condominio immerso nel nulla.

 

Siamo in un tempo imprecisato, in un luogo circondato dalla nebbia, un mondo distopico che non vuole solo raccontarci soltanto una storia ma vuole essere un simbolo e, come lui, anche i vari personaggi che lo abitano: Mehmet è il guardiano, il tuttofare, il protagonista di The Antenna. 

 

Al suo fianco il gestore, nonché uomo del governo, Yasemin - una giovane ragazza che sogna di andarsene dai genitori opprimenti - e poi una coppia senza soldi con un bambino piccolo e una signora sola che cerca di ringiovanire: tutti rappresentano porzioni della società con i loro vizi e le loro inclinazioni.

 

In questo contesto arriva l'antennista che, subito dopo esser salito sul tetto per installare un'antenna, cade morendo sul colpo.

Nessuno è troppo sconvolto dalla prima morte, come a sottolineare il modo in cui i primi crimini dei regimi creino troppo poco scalpore.

 

[Trailer internazionale di The Antenna]

 

 

Da qui iniziamo a conoscere le storie e le vite delle persone all'interno dell'albergo mentre Mehmet espletando i suoi compiti inizia a riscontrare alcune anomalie nella noiosa vita del comprensorio: ci sono delle strane presenze e un liquido nero invade alcuni punti dell'albergo e sembra scaturire proprio dalla nuova antenna.

 

Quella di The Antenna è un'ambientazione kafkiana che a tratti ricorda i bassifondi del palazzo del fantastico High Rise di Ben Wheatley, ma che progressivamente impazzisce portandoci in luoghi propri di universi lontani che ricordano Matrix - lampante nella foto in copertina - ma anche Repulsion di Roman Polanski e molto cinema di David Cronenberg, fino a sfociare nel simbolismo sfrenato delle opere di David Lynch come Absurda o INLAND EMPIRE.

 

 

[il regista di The Antenna, Orcum Behram]

 

Orcum Behram crea un film denso di simbolismi in cui questi ultimi quasi sempre funzionano e occupano il ruolo di veri e propri protagonisti.

 

Il regista turco è poi molto intelligente nel costruire i dettagli attorno al liquido nero: esce prima dall'antenna, ma poi si annida dietro ad ogni piastrella del bagno o prese elettrica come la violenza di un regime che pervade ogni angolo, anche i più inaspettati.

 

The Antenna finisce per perdersi un pochino di più per costruzione registica ed economia del racconto, quando in più di un momento simboli e scelte scenografiche visive vengono rimarcate troppo attraverso inquadrature troppo prolungate.

 

 


 

Una distopia dal sapore vintage costruita da televisori a tubo catodico e vecchie radio, ma che nonostante l'assenza di social e smartphone racconta bene il presente in cui la comunicazione di massa cerca, favorita anche dall'uomo del governo, di omologare tutto a un'unica massa nera informe, con corpi senza volti e una sola voce per popoli interi.

 

L'unica speranza viene riposta nel personaggio femminile e giovane di Yasemin, unica a volersi ribellare e a combattere per la sua salvezza insieme a Mehmet. 

 

The Antenna è quindi un film interessantissimo, presentato al Toronto International Film Festival e ora al 37° Torino Film Festival, che riesce a non far pesare le mancanze di mezzi, ma anzi risulta visivamente davvero suggestivo e unico e che forse avrebbe avuto bisogno a mio avviso di una maggiore attenzione al ritmo e alla fluidità narrativa.

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