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Nouvelle Vague - Recensione: una ragazza, una pistola e Richard Linklater - Cannes 2025

Un film-saggio, un gioco cinefilo e una dichiarazione d’amore per il Cinema come atto di rottura dove Linklater non cita, ma metabolizza e reinterpreta

Nouvelle Vague è il nuovo film di Richard Linklater presentato in concorso al Festival di Cannes 2025: un omaggio appassionato, ironico e sorprendentemente vivo alla nascita di Fino all'ultimo respiro, il capolavoro di Jean-Luc Godard, ovvero "l'ultimo dei critici dei Cahiers du Cinéma a dirigere un lungometraggio".

 

Sarebbe però riduttivo parlare solo di omaggio: Nouvelle Vague è un’esplosione controllata filologica nel dettaglio, ma per nulla museale; è Cinema sul Cinema, ma soprattutto è un invito gioioso a ricordare che l’arte – anche quella più iconoclasta – nasce da tentativi, errori, sogni e ostinazione.

 

È una lettera d’amore al Cinema scritta con penna leggera e spirito giocoso, atteggiamento che si riflette anche sulla messa in scena del film stesso, che tanto richiama quella del film raccontato. 

 

[Il trailer di Nouvelle Vague]

 

 

Richard Linklater mette in scena il giovane Godard (interpretato da uno strepitoso Guillaume Marbeck) come un impertinente, brillantinato giovane furioso eternamente in occhiali scuri, impegnato a convincere produttori scettici, attori restii e tecnici spaesati a seguirlo in un’impresa folle: girare un film senza permessi, con una troupe ridotta all’osso, improvvisando ogni giorno e scardinando ogni regola del montaggio.

 

Il tutto, naturalmente, con la spocchia e la genialità che solo un ventinovenne convinto di cambiare il mondo può permettersi.

 

 

[Guillaume Marbeck e Richard Linklater sul set di Nouvelle Vague]

 

 

A differenza di altre storie di formazione dove giovani ribelli cercano di cambiare le regole, mentre vediamo Nouvelle Vague noi abbiamo la contezza che quel giovane le regole le ha poi cambiate davvero: non abbiamo bisogno di vedere la fine del film per scoprire se ce la farà o meno, perché quello che vediamo è una storia vera; la cosa ovviamente modifica il sentimento con cui si segue l'opera, eliminando la parte di attesa del cosa e dando così spazio alla curiosità del come

 

Nel raccontare la genesi di Fino all'ultimo respiro Linklater sceglie il rigore filologico, ma lo usa come base per un affresco vivace e coinvolgente.

In Nouvelle Vague c'è praticamente tutto il gotha del Cinema francese di quegli anni: da François Truffaut (Adrien Rouyard) a Jacques Rivette, da Agnés Varda a Jean-Pierre Melville e Robert Bresson, compreso Raoul Coutard (Matthieu Penchinat), un operatore di ripresa dal passato bellico che diventa artefice di una fotografia rivoluzionaria. 

 

Tutti i personaggi sono introdotti come in un film muto, con i nomi a schermo e inquadrature frontali, quasi a dichiarare la natura quasi mitologica della narrazione.

 

 

[Nouvelle Vague: Zoey Deutch e Guillaume Marbeck]

 

 

Il casting è una piccola meraviglia: Zoey Deutch interpreta Jean Seberg incantando con il suo francese dal timbro statunitense perfettamente fuori luogo, tanto quanto si sente lei su un set che non assomiglia affatto a quelli hollywoodiani a cui è abituata, mentre Aubry Dullin nei panni di Jean-Paul Belmondo offre un’interpretazione fisica e ciondolante che restituisce tutta l’energia anarchica dell’originale. 

 

Il lavoro di ricostruzione visiva inoltre lascia a volte senza fiato: la Parigi d’epoca è riportata in vita grazie a un uso sofisticato degli effetti digitali, mentre la fotografia in bianco e nero di David Chambille cattura una gamma di grigi che sembra suonare jazz.

Proprio il jazz - con brani d’epoca scelti con cura, da Martial Solal a Zoot Sims - accompagna il film con leggerezza, diventando la colonna sonora ideale di un’epoca che corre veloce, ama il rischio e ride in faccia alla paura di sbagliare.

 

Così come Jean-Luc Godard sul set, Linklater salta da una scena all’altra con libertà controllata, facendo parlare i personaggi attraverso aforismi fulminanti (“La realtà non è continuità!”), dialoghi che contengono citazioni continue e scontri creativi: alcuni sono comici, altri più amari - come le tensioni tra Godard e il produttore Beauregard (Bruno Dreyfürst), che culminano persino in uno scambio di pugni in un caffè parigino - altri ancora diventano un omaggio nell'omaggio, come la sequenza con Roberto Rossellini (Laurent Mothe), che ruba pasticcini e approfitta di passaggi in macchina. 

 

 

[Nouvelle Vague: Guillaume Marbeck e Aubry Dullin]

 

 

Nouvelle Vague è a mio avviso un film sul fare Cinema come atto di fede: nella propria visione, nei propri collaboratori, nel pubblico che forse non capirà subito.

 

È la celebrazione di un momento irripetibile in cui un gruppo di ragazzi sotto i trent’anni, armati di passione e incoscienza, hanno riscritto le regole del linguaggio cinematografico - spesso senza nemmeno saperlo. 

Linklater evita la trappola del biopic didascalico e rifugge l’imitazione sterile dello stile godardiano: Nouvelle Vague non si limita a ricostruire, ma racconta un gesto creativo come se fosse una jam session, un atto collettivo di pura espressione, un gioco serissimo.

 

Il messaggio finale è chiaro: forse non coglierete tutte le strizzate d'occhio ma anche se non conoscete Fino all'ultimo respiro e anche se non avete mai sentito parlare di Nouvelle Vague, se non avete mai impugnato una cinepresa o provato a girare un film, questo film è anche per voi, perché parla di giovinezza, di desiderio, di voler dire qualcosa – anche quando non si è sicuri di cosa – e di come il Cinema possa, ancora oggi, essere il luogo dove tutto questo prende forma.

 

Con una ragazza, una pistola e una macchina da presa. 

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