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Il TIFF 2019 non è solo stato contrassegnato da drammi, biopic e qualche sparuta commedia ma ha trovato spazio per alcune pellicole di genere, offrendo nella sua totalità una discreta rappresentazione del panorama cinematografico.
Il vostro fedele inviato era assetato di genere e se il Bacurau visto al Festival del Cinema di Cannes non era certamente da rivedere al TIFF, Sea Fever sembrava una ghiotta occasione per colmare il desiderio impellente di un amante del genere.
Neasa Hardiman, regista e sceneggiatrice irlandese, scrive e dirige questo film di genere di carattere carpenteriano, tanto quanto il sopracitato film brasiliano.
La storia ci fa seguire Siobhán (Hermione Corfield), brillante studentessa di biologia marina ma fredda personalità, imbarcata, come parte dei suoi studi, su di un peschereccio irlandese.
La ragazza dai capelli rossi non sarà certo ben accolta dai superstiziosi marinai che, un po' come per il Rosso Malpelo di Giovanni Verga, vedono sventura in un tratto che iconograficamente parlando dopo la Guinness è quanto di più Irish si possa trovare al mondo.
La spedizione si imbatterà in una misteriosa creatura sottomarina, portando a galla i contrasti tra i personaggi impegnati a sopravvivere all'attacco del misterioso essere.
Come premesso, Sea Fever è prettamente di carattere carpenteriano e, riprendendo La Cosa o Il Signore del Male, racconta l'impresa di un gruppo eterogeneo contrapposto a qualcosa di sconosciuto e asserragliato contro di esso in un'unica location.
Sea Fever ci mette quindi al cospetto di un archetipo narrativo ben riconoscibile e tanto caro non solo al sottoscritto ma a molti amanti del genere e riconducibile al canovaccio di La Cosa da un altro mondo di Howard Hawks resa mito da John Carpenter o al fondamentale Alien di Dan O'Bannon.
La logica del mostro è difatti similare a quella dei due alieni: un'entità che, senza una motivazione logica o uno scopo mosso da macchinazioni di un'intelligenza evoluta, segue unicamente l'istinto di sopravvivenza che la porta a riprodursi per sopravvivere o moltiplicarsi.
Sea Fever però trova nell'idea di base, nella messa in scena di alcune situazioni e nel design del mostro, vagamente lovecraftiano, tutti i suoi pregi, esaurendoli in questa manciata di buone idee.
Il film non è afflitto dalla povertà di mezzi che può aver subito, considerando come l'horror sia il genere dove questo ostacolo produttivo è quasi condizione sine qua non di molte produzioni e opportunità per creare qualcosa di potente - lo stesso Carpenter ha realizzato il suo Distretto 13 con gli spicci, La Casa di Sam Raimi era praticamente senza un soldo e date uno sguardo al cinema di George A. Romero o del primo Peter Jackson per capire quanti soldi servano per realizzare dei miti e capirete da voi che nel 2019 questa scusa valga molto poco.
L'elefante nella stanza di Sea Fever sta in primis nella scrittura, afflitta da un senso di totale approssimazione che contagia tutto, anche i personaggi.
La stessa protagonista, oltre a risultare vagamente antipatica, più che ricalcare lo stereotipo del genio solitario e scontroso non ha davvero molto da dire e poco ha empatizzato con l'io spettatore durante la visione.
Insieme agli altri membri della crew non è riuscita a far sorgere quel sentimento, sconosciuto al genere, di totale menefreghismo nei confronti di un gruppo le cui sorti sono state meno importanti del pensiero di cosa avrei consumato per cena.
La stessa logica dietro la natura del mostro è poco chiara, facendoci intuire come gli ospiti siano un vascello per riprodursi ma senza dare una pericolosità concreta per l'uomo a questa infezione.
Non segue la logica dello xenomorfo, non si sostituisce come La Cosa, non prende possesso, non zombifica, ma sembra consumare senza soluzione di continuità, causando nei marinai sintomi da Sea Fever - febbre del mare - una sorta di pazzia le cui conseguenze sugli ospiti sono del tutto arbitrarie e mai sfruttate per creare una minaccia orrorifica.
Quello che si sa di questa infezione è che uccide e se tanto basterebbe a creare un dramma, come potrebbe farlo un film su di un virus mortale, altrettanto non riesce a fare Sea Fever.
Neasa Hardiman dimentica completamente le regole del genere e, oltre a non stabilire le connessioni base con il gruppo di protagonisti, la sua messa in scena è quasi anemica e dimentica ogni forma di tensione, di contrasto tra i caratteri, portando sullo schermo un dramma fatto di personaggi appena scontornati e senza molta personalità e le cui piccole bugie sono palesi tanto quanto insipide.
Sea Fever non ha connotazioni sociali, non ha carattere gore, non ha sensazione, non sa di sangue.
Non ha sesso, non ha terrore, non ha sudore e della logica carpenteriana ha solo un guscio.
La minaccia del mostro non esiste, le regole della finzione sono mal congeniate e in un paio di casi si tradiscono solo per risolvere stalli narrativi.
Inoltre, se il genere offre sempre lo spiraglio della serialità, in questo caso ci troviamo al cospetto di una conclusione che in potenza, se i dubbi fossero stati messi in scena e se le estreme conseguenze della disperazione dei personaggi fossero esistite, avrebbe potuto offrire un finale carico di pessimismi o di un dilemma pulsante - come appunto fanno La Cosa, Il Signore del Male o Halloween.
Sea Fever è un horror per sentito dire, un film che ricalca un genere che non comprende e che allo spettatore non comunica nulla.