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Too Old to Die Young - Recensione: forse troppo Refn - Cannes 2019

Il personale richiamo di Refn al punto zero del futuro dell'intrattenimento in streaming 

L'ultima volta che Nicolas Winding Refn è stato al Festival del Cinema di Cannes, Elle Fanning era dall'altra parte della barricata, invece di essere giurata era musa dalla bellezza lattiginosa ed eterea per quel The Neon Demon tanto assurdo nella sua concezione quanto elegante e provocatorio nella sua messa in scena, portandosi a casa fischi, antipatie e inimicizie giurate da parte dei membri della stampa in sala (se non il disgusto di qualche spettatore). 


Questa volta, invece, brandendo un microfono e inneggiando a un punto zero del futuro dello streaming, Nicolas Winding Refn si presenta a Cannes con due episodi della sua serie esclusiva Amazon Prime: Too Old to Die Young

 

Il mondo della serialità comincia a necessitare di un aggiornamento di vocabolario e preconcetti.  

 

 



Il serial TV è oramai un termine proprio e improprio, se consideriamo che la "TV" è ormai soltanto uno degli oggetti utili alla visione e certamente non più il luogo primario dal quale nascono i prodotti per... beh, diciamo la "fruizione domestica". 

 

La televisione al cinema non si fa più unicamente all'estero e se il pubblico anglosassone ha goduto di ben due episodi di Sherlock al buio di una sala, quello italiano ha potuto fare altrettanto con Gomorra

 

Contestualmente anche Cannes si è piegata agli autori, quelli abituati allo schermo della sala, applicati al piccolo schermo e dopo aver aperto le danze con il Twin Peaks: The Return di David Lynch, un esordio da standing ovation, quest'anno tocca al regista danese.  

 

 



Too Old to Die Young è, stando alle parole rilasciate dallo stesso Refn a fine proiezione,

"Quello che avrebbe fatto Fritz Lang se fosse esistito lo streaming ai suoi tempi: un lungometraggio"

 

L'opera di Refn, analogamente al The Return di Lynch oppure al cut alternativo in quattro parti di The Hateful Eight di Quentin Tarantino, vuole essere non tanto una canonica serie TV, bensì un unico film di 13 ore.  

 

 



Questo principio potrebbe giustificare la strana scelta di portare al Festival gli episodi 4 e 5, piuttosto che quelli di apertura, sfilando la benda al pubblico dopo essere stato abbandonato su una strada interstatale nel mezzo del New Mexico, con la speranza che questo decida di capire da dove è venuto e dove sta andando, piuttosto che apparecchiarsi per gli affamati avvoltoi. 

 

Al buio del maestoso Grand Théatre Lumière, i primi due episodi di Too Old to Die Young fanno sfoggio di tutti gli elementi tipici della firma del regista danese: i tempi languidi fino allo stucchevole ad alternarsi con esplosioni di violenza, la presenza importante della musica a creare mood e struttura delle scene, il paradosso di luci e fotografia che si spaccano tra il neon fluo di interni surreali ed esterni perfettamente pastellati; per non citare la nuova interpretazione della firma divenuta ormai un hashtag: #byNWR, impressa a schermo a inizio visione. 

 

Miles Teller prende i panni dell'eroe refniano, un duro ammantato di gesti sornioni e dalla personalità distorta, nel cui animo i confini morali si mescolano in una tavolozza di colori così accecante da fare beat e vibe, rifrangendo il buio con tonalità cangianti. 

 

 

 

 

Un personaggio già visto in Drive e Solo Dio Perdona e che Teller porta sullo schermo grazie alla densità di una presenza più consapevole, discostatasi dal ruolo da bamboccione americano suggerito da ruoli passati, incarnando più l'archetipo di un eroe tenebroso vittima della sua stessa natura violenta.  

 

Nel corso di North of Hollywood, West of Hell ci si concentra sul protagonista, seguendolo in uno sviluppo degli eventi pregno di estenuanti seguenze di languore dove Refn sembra aver deciso di utilizzare lo spazio seriale non come strumento utile ad espandere le sue maschere e il suo universo, ma piuttosto come pretesto per esercitarsi nel suo stile, ammorbando lo spettatore con sequenze che risulterebbero dilatate anche riprodotte alla doppia velocità. 

 

 

[Nicolas Winding Refn ringrazia il pubblico al termine della premiere al Grand Theatre Lumière di Cannes - credits CineFacts.it]

 

 

Il regista danese sembra aver perso di vista il punto focale dietro il formato del serial televisivo e fa di melassa il suo stilema di storytelling, rendendo noiose al palato composizioni dove, per quanto pregevole possa risultare la messa in scena, fa dello stallo narrativo e del fare cerimoniale dei gesti il centro di tutto. 

 

Il languore visto in passato, anche in The Neon Demon, diventa qualcosa difficile da masticare e ingoiare. 

 

 



Nel contempo, creando un paradosso, il flow narrativo ha esplosioni di genere, comicità e azione, durante le quali le regole non scritte ma messe in scena del mondo creato da Refn stesso, decadono e la cinetica torna a impossessarsi della visione, mettendo in moto dialoghi brillanti, situazioni esilaranti quando pulp o puramente surreali e comiche, mostrando allo spettatore come potrebbe essere questa serie, o lo storytelling per immagini del suo regista, se dosato al servizio del ritmo e del genere. 

 

Too Old to Die Young, stando a quanto visto, sembra quasi inscenare l'ennesima provocazione, un po' spocchiosa, di un regista che a questo punto sembra non voler giocare nel cortile con tutti gli altri bambini e in un mondo ipercinetico, decide di portare l'ipocinetico, tirando al limite dell'irritante dei meccanismi già da lui sperimentati e dei quali conosce, stando a Drive Solo Dio Perdona, le dosi.

 

Alcune scene, per quanto magnetici e ben riusciti i quadri e la costruzione della tensione e dell'affascinante maschera decomposta dei viscidi personaggi presentati, si sprecano in momenti troppo edulcorati in uno spirito così vischioso da passare dall'inebriante alle conseguenze post sbornia. 

 

 



Una serie pulp che non vuole dare la soddisfazione di creare la sinergia del cult e del mito e cerca invece di raccontare una discesa quasi onirica, surrealista e intimista all'interno di un mondo criminale stiloso, ma non altrettanto aspro e terrificante, à la Tom Ford

 

Il grande pregio di Too Old to Die Young sembra essere la presenza di una scrittura brillante, anche se va ricordato che la serie è scritta con il famigerato fumettista Ed Brubaker, e la tecnica registica che Refn dosa, altalenando sapienti quadri a momenti eccessivamente impostati, palesemente creati per la camera e poco organici con il tessuto narrativo, portandoci troppo fuori dalla visione.  

 

 



Al Grand Théatre Lumière va quindi in scena un remake, più morigerato nei toni, della serata di The Neon Demon, con una sala che sonnecchia, abbandona il campo a frotte al primo accenno di titoli di coda e si lascia andare a uno stanco e smorzato applauso, molto istituzionale, al termine della proiezione; il delirante discorso di Refn, interessante per certe sfumature, nella sua brevità è riuscito ad aggiungere quel tasso di cringe che mancava. 

 

Giudicare Too Old to Die Young in base a ciò che abbiamo visto non è possibile e solo la totalità dell'opera ci darà dimensione di quello che stiamo affrontando, eppure al momento sembra che Refn abbia totalmente scordato il pubblico, lo storytelling, i ritmi e lo stesso gusto di voler raccontare qualcosa di appassionante e memorabile, lasciandoci intrappolati nell'ego di un artista ingombrante. 

 

P.S.: Sì: c'è Hideo Kojima.

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1 commento

Fai bene. Lo faremo anche noi della redazione. Abbiamo visto solo due episodi su dieci e nemmeno i due di apertura. Vogliamo capire dove Refn vuole andare a parare e se queste 13 ore sono un unico flow, potremmo semplicemente aver pestato qualcosa che non abbiamo compreso appieno per mancanza d'informazioni.
Alcuni elementi dell'episodio erano pura confusione proprio per via di questa scelta che, come dico nel pezzo, può essere figlia di un ragionamento che vuole immetterti nella storia per poi dirti, "guardati tutto il resto per sapere da dove viene e dove andrai".

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