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Zamora - Recensione: la filosofia del calcio in una brillante commedia

Zamora è il debutto alla regia di un lungometraggio di Neri Marcorè che figura anche nel cast; il film è tratto dall'omonimo romanzo di Roberto Perrone e risulta una commedia divertentissima quanto efficace

Zamora è la storia di un personaggio estremamente imbranato, il classico contabile con gli occhiali che potrebbe ricordare (con un paragone veramente azzardato) il Silvano di Camera Cafè e per questo ci fa immediatamente simpatia. 

 

Walter Vismara (interpretato da Alberto Paradossi) è un uomo di trent'anni che si ritrova catapultato dalla monotonia di Vigevano dove lavora per una piccola fabbrica, alla caotica Milano con una serie di novità che lo destabilizzeranno.

Queste non riguardano solamente aver cambiato città, essere andato via dalla casa dei suoi genitori per trasferirsi dalla sorella che vive a Milano con il marito, ma anche una serie di bizzarre novità che l'ambiente lavorativo presenta. 

 

Il Cavalier Tosetto (Giovanni Storti), capo dell'azienda, è infatti ossessionato dal calcio e rendere bene sul lavoro non serve a niente se non ci si unisce alla squadra aziendale.

 

Dato che Vismara non sa proprio nulla di calcio, quando gli viene chiesto in che ruolo giocherà risponde con l'unico che conosce: portiere, ma si dimostrerà durante gli allenamenti a dir poco negato, per questo al lavoro lo soprannomineranno "Zamora" come il celebre portiere spagnolo.

 

[Il trailer di Zamora]

 

 

In questa situazione così assurda, apparentemente, risiede subito il concept principale di Zamora; iI film userà per tutto il tempo la metafora del calcio in un modo originale, anche se non sembra: il calcio è una dimensione della vita umana più che uno sport, molto particolare.

 

Lo usiamo come metafora nella vita di tutti i giorni, con espressioni idiomatiche come "salvato in calcio d'angolo", per dirne una, così come le analogie calcistiche sono assai presenti nel nostro modo di gestire le sfide e la vita coi suoi limiti.

 

Pier Paolo Pasolini in un celebre articolo uscito ne Il Giorno parla addirittura di codice linguistico del calcio, e invece di fonema parla di "ponema", spiegando l'universo che appartiene a questo complicato sport, che ha generato un linguaggio particolarissimo e che diventa spesso un modo di rappresentare come si vive: bisogna stare all'erta, difendersi, attaccare, ottenere un risultato e quindi fare gol, se si sgarra si subisce una punizione, ecc. 

 

 

[Alberto Paradossi e Neri Marcorè in una scena di Zamora]

 

 

La partita della vita di Vismara è costellata di ostacoli particolari dove più che imparare a parare, a lui deve interessare imparare a vivere.

 

Per questo Zamora risulta essere a mio avviso un film piacevolissimo anche per chi non ama o non segue il calcio (come la sottoscritta). Esso diventa solo un mezzo e non il tema centrale, eppure è presente in modo estremamente puntuale. 

Alcuni espedienti narrativi sono sbrigativi e inverosimili, come il rapporto tra Vismara e le donne e soprattutto il suo cambiamento caratteriale quasi repentino.

Anche se questo probabilmente avviene perché sembra che con Zamora Neri Marcorè abbia voluto costruire, fin dalla regia, una storia raccontata da un punto di vista onnisciente in certe scene, mentre estremamente personale e individualizzata per il punto di vista di Vismara. 

 

Sono gli occhi di Vismara a guidarci infatti per tutta la prima parte il film, che si regge bene e soprattutto fa ridere e sorridere. L'elemento più interessante sono le apparizioni di grandi comici italiani, abbiamo due cameo di Ale e Franz che rappresentano benissimo la realtà del nord, abbiamo anche Giovanni Storti e Giacomo Poretti che si riuniscono nel finale.

 

Non mancano le citazioni alla comicità italiana, quindi, che vengono usate in modo divertente e capace. 

 

 

[Giovanni Storti interpreta il Cavalier Tosetto in Zamora]

 

 

Zamora è infatti sostanzialmente un film che diverte, ma diverte in modo intelligente, ci ricorda che con poco si può fare una bella commedia, senza dover ricorrere a chissà quanti travestimenti, equivoci, e ovviamente senza nessuna volgarità.

 

Zamora è un film infatti anche molto "delicato" nel trattare temi tipici della comicità italiana come ad esempio il ruolo della donna, le molestie sul lavoro o le differenze tra nord e sud, che colgono lo spettatore all'improvviso divertendolo con piccoli colpi di scena e alla fine lo rilassano, ma lo fanno soprattutto ridere di gusto.

Suscitano anche sentimenti di nostalgia, probabilmente apparterrà più a spettatori uomini, di tempi in cui ci si riuniva sempre nello stesso posto, con gli stessi amici, e si giocava finché non faceva buio. 

 

Manca comunque qualcosa, fino alle maggiori apparizioni di Neri Marcorè.

Questi interpreta Giorgio Cavazzoni, un calciatore ormai fallito a cui Vismara si rivolge per imparare a fare il portiere. Anche questo è un espediente narrativo estremamente usato: due personaggi molti diversi, l'imbrabato e invece l'eccentrico ubriacone in rovina, che si ritrovano uniti per necessità reciproche.

Vismara paga il suo insegnante per dare una lezione ai colleghi, ma se la genesi di questa amicizia è banale, non lo è il prosieguo. È qui che il punto di vista cambia seppur non dichiaratamente. 

 

È la voce di Neri Marcorè a spiegare tutto il senso del film: con le sue paure, timori e difficoltà alla fine Vismara riesce a imparare più di come si gioca a calcio, perché il calcio è molto di più di quello che potremmo pensare.

Ci sarà un motivo se tiene tutti incollati a uno schermo, se coinvolge in questo modo, e ci sarà un motivo se Vismara ne aveva proprio così bisogno per dare una svolta alla sua vita. 

 

Alla fine di Zamora abbiamo imparato molto sul calcio, sull'Italia, ma anche su noi stessi, soprattutto usciamo dalla sala consapevoli di aver trovato una bella commedia, cosa estremamente rara. 

 

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