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Perché La La Land è già entrato nella Storia del Cinema

Il clamoroso impatto del musical di Damien Chazelle

Il clamoroso impatto di La La Land lo ha già fatto entrare a pieno titolo nella Storia del Cinema.

 

Chi scrive è un ragazzo classe 1990; un appartenente alla categoria dei cosiddetti millennials, cioè coloro nati tra il 1981 e il 1996: questa specificazione è importante, perché serve per introdurre un doveroso preambolo di carattere storico-sociale.

 

Ci sono film che appartengono a generazioni intere e ne sono rappresentanti.

 

Parlando di musical, che è uno dei generi per antonomasia in quanto delineato in canoni ben specifici e riconoscibili, si potrebbe pensare, con naturale immaginazione, che i capolavori degli anni ’50 quali Cantando sotto la pioggia e Un americano a Parigi appartengano alla generazione dei nostri nonni. 

 

 



Erano gli anni della rinascita post-bellica, della voglia di cambiamento, dei blue jeans, dei formati panoramici nelle sale cinematografiche; uno spaccato che sarebbe stato ben rappresentato, vent’anni dopo, in un altro celeberrimo musical: Grease.

 

In ogni caso, i film di Gene Kelly e Vincente Minnelli sopracitati - a cui se ne potrebbero aggiungere tanti altri da Spettacolo di varietà a Gigi, da Sette spose per sette fratelli a È nata una stella - potevano contare sull’apporto dei più grandi coreografi del mondo, che riempivano le scene di balletti allegri e spensierati, sullo sfondo delle monumentali scenografie colorate degli Studios.

 

Il CinemaScope era stato brevettato da poco tempo, dunque vi era tutta la frenesia di sfruttare al meglio questa nuova, straordinaria possibilità.

 

Erano gli anni ’50, erano gli anni dei grandi musical.

 

Quello degli anni ’50, però, fu anche l’ultimo grande decennio del Cinema americano classico, che cominciava già nella sua seconda metà a mostrare i primi segni di spossatezza; con esso, i calderoni che sarebbero stati contagiati in misura maggiore erano il western e, appunto, il musical, cioè i due generi americani per antonomasia, nati e coltivati nella terra dello Zio Sam.  

 

 



Un regista come Robert Wise, ad esempio, ha allestito il terreno per il musical moderno: basti pensare a titoli celebri quali West Side Story, pluripremiato agli Oscar, e Tutti insieme appassionatamente, che ha consacrato la carriera di Julie Andrews.

 

Sotto questo punto di vista, quello dei '60 fu proprio il decennio di transizione tra i due mondi, una sorta di limbo tra il vecchio e il nuovo Cinema.

 

Con l’avvento della New Hollywood, sul finire degli anni ’60, il musical subì dunque una massiva decodificazione da parte dei giovani autori dell’epoca: la letizia lasciava spazio al dolore, la spensieratezza al pessimismo, il cielo azzurro agli ambienti bui.

 

I musical degli anni '70 erano opere mature, che nella maggior parte dei casi affrontavano un tema sensibile sullo sfondo della storia: la questione razziale in Cabaret, ambientato nella Germania nazista; il logorio fisico in All That Jazz - Lo spettacolo comincia; la difficoltà di conciliare vita privata e carriera in New York, New York; la rappresentazione malinconica del mondo hippie e il dramma della guerra del Vietnam in Hair.

 

Che dire poi di The Rocky Horror Picture Show?

 

Un musical con protagonista uno scienziato pansessuale: qualcosa di assolutamente impensabile fino a un paio di decenni prima.

 

 

 

 

Due dei titoli sopracitati, caso vuole, vedevano come protagonista Liza Minnelli, cioè la figlia di Judy Garland, anch’essa diventata famosa grazie al suo talento canoro.

 

Un passaggio di testimone madre-figlia, che rispecchiava in modo esemplare la transizione tra due diverse fasi cinematografiche, due diversi modi di fare Cinema e, nel dettaglio che a noi ora interessa maggiormente, due diverse tipologie di musical.

 

Parliamo di un’epoca nella quale non c’era più spazio per film dalle trame leggere e distese: la ribellione del ’68, la rivoluzione sessuale, le grandi marce per i diritti civili e la guerra del Vietnam avevano mutato per sempre la società statunitense, e il Cinema non poteva che esserne lo specchio più fedele.

 

Erano gli anni ’70.

 

Quelli erano i musical dei nostri genitori.

 

 

La La Land La La Land  La La Land 

 

E noi? 

Se oggi dovessimo tentare la medesima operazione mentale, quale potrebbe essere il musical della nostra generazione, quella dei millennials?

 

Moulin Rouge!, del 2001?

No: sicuramente un buon film, ma a mio avviso forse eccessivamente barocco per poter compiacere una larga platea di ragazzi e ragazze.

 

Chicago, del 2002?

Nemmeno: un’opera nata e pensata per il teatro (si tratta dello spettacolo americano con il maggior numero di repliche sia a Londra che a Broadway), che risente parecchio della propria origine da palcoscenico e che trovo poco adatta, probabilmente, a essere trasposta su un set con la medesima efficacia.

 

Alla sua uscita Chicago conquistò comunque ben sei Premi Oscar, tra cui quello principale come Miglior Film (l’Academy, tradizionalmente, ha sempre avuto un debole per questo genere di film), ma in ogni caso il successo presso il pubblico giovanile era tutto un altro discorso.  

 

 



Forse Nine, del 2009?

 

Neanche a parlarne: trovo che sia un maldestro tentativo di emulare 8½ di Federico Fellini, nulla di più. 

 

Ecco che allora salta subito all’occhio come, di fatto, mancasse sul serio un musical che potesse portare più persone possibili nelle sale, non solo negli Stati Uniti ma un po’ ovunque; un film che fosse in grado di far avvicinare i più giovani a un genere, quello del musical, che negli ultimi tre decenni aveva sempre goduto di poco entusiasmo e considerazione proprio perché etichettato come un genere appartenente al passato, a un’epoca che non ci può appartenere. 

 

Qualcosa ritenuto troppo lontano da noi e dai nostri gusti estetici e per questo circondato da un’aura di così poca appetibilità.

 

“Io che guardo un film dove cantano e ballano?

 

No, grazie”.

 

Se ci pensate bene i commenti sono sempre stati più o meno di questo tipo, soprattutto sui social network.

 

C’è anche da precisare che le generalizzazioni sono a priori sbagliate: a me ad esempio il musical è sempre piaciuto; l’ho sempre reputato un genere che meritasse una maggiore fiducia e sicuramente ci sarà qualcun altro, tra coloro che stanno leggendo l'articolo in questo momento, che la pensa in maniera simile. 

 

Ma diciamoci la verità: oggigiorno ci sono più possibilità di incontrare coetanei che non lo apprezzino, piuttosto che il contrario. 

 

Se a un utente a caso si ponesse la domanda “Qual è il tuo genere preferito?” diciamo che è più probabile che risponda “il thriller” piuttosto che “il musical”.

 

Mancava, insomma, il titolo che avrebbe posto fine a questa lunga fase di magra e che avrebbe cancellato ogni pregiudizio di sorta; il titolo che avrebbe avuto, per l’attuale generazione, la stessa importanza che ebbe Cantando sotto la pioggia mezzo secolo fa, o Cappello a cilindro ancora prima.

 

Questo titolo ha visto finalmente la luce: La La Land spezza la catena ed entra nella Storia.

 

[Il trailer internazionale di La La Land]

 

 

La La Land è il nostro musical, è il musical che ricorderemo tra vent’anni.

 

Sin dall’uscita del trailer era già chiaro che sarebbe ben presto entrato nel cuore di moltissime persone; lo si respirava con largo anticipo. 

 

Era qualcosa che traspariva già dalle immagini, dai colori, dalle splendide canzoni; senza contare, inoltre, che la coppia protagonista era formata dagli affiatati e affascinanti Ryan Gosling ed Emma Stone in quelli che, ora possiamo dirlo, si sono già rivelati come i ruoli di una vita intera.

 

Ma qual è il vero segreto?

Cosa rende La La Land un musical diverso, rispetto a tutti gli altri usciti dal 2000 in poi?

 

Qui entra in scena il giovane regista Damien Chazelle, balzato agli onori della cronaca due anni prima grazie a quel gioiellino indipendente di Whiplash.

Anche in quel caso la musica la faceva da padrona, ma in modo del tutto differente. 

 

Di base, Whiplash era un film drammatico, che ti portava a riflettere sul sacrificio e sul peso delle motivazioni.

Affrontare un genere come il musical sarebbe stata tutta un’altra storia; affrontarlo con successo, poi, sarebbe parso quasi un’utopia, a maggior ragione per un così giovane addetto ai lavori.

 

Eppure Chazelle riesce nell’intento; tirando fuori dal cilindro la combinazione vincente, La La Land appare come il perfetto punto di incontro tra il musical classico e la commedia romantica moderna.

Una commistione sublime.

 

E si ferma qui?

 

No: La La Land si prefigura come la più stratificata delle torte.

 

 

La La Land La La Land  La La Land 

 

Prima di tutto, La La Land è un atto d’amore nei confronti del Cinema tout court, senza distinzione di genere. 

 

I riferimenti sono così tanti che probabilmente solo quell’essere mitologico metà uomo e metà celluloide chiamato “cinefilo” potrebbe essere in grado di coglierli con una certa immediatezza.

 

Non ci sono invece evidenti segnali che ti facciano supporre che vi sia una precisa collocazione temporale e che la trama sia quindi ambientata ai giorni nostri.

Lo spettatore può ovviamente immaginare che sia così, in cuor suo, ma all’interno della narrazione questo aspetto appare decisamente sottotraccia: la sensazione è quella di assistere a una storia come sospesa nel tempo, svincolata da tutto.

 

E quale luogo migliore di Los Angeles avrebbe potuto suscitare una tale percezione?

 

La città della Settima Arte per antonomasia, dove si respira e si parla di Cinema a ogni angolo di bar e nelle cui strade il passato e il presente si mescolano in continuazione, fino a confondersi. 

 

 

La La Land La La Land 

 

Che si tratti di una storia senza tempo lo si intuisce anche dalla formazione cinefila di Mia, la nostra protagonista: è cresciuta guardando pellicole in bianco e nero come Susanna o Notorious (per sua stessa ammissione) e le pareti della sua abitazione sono abbellite da poster raffiguranti Ingrid Bergman e Burt Lancaster.

 

Tutti nomi immortali, insomma. 

 

L’omaggio alla stagione del Cinema americano classico e al divismo hollywoodiano non poteva essere più palese.

 

E qui si inserisce un’altra riflessione: una tale esplicitazione costituisce una delle caratteristiche più precipue del genere stesso.

Il musical in generale, infatti, segue regole diverse rispetto alle altre tipologie di film.

 

È come se facesse un patto con lo spettatore, mettendo in chiaro sin da subito che quello che stiamo guardando è volutamente e squisitamente artificioso; dal font utilizzato per il titolo e per le didascalie fino ai dialoghi, passando per i variegati costumi di scena.

 

Come nel fantasy o nella fantascienza, lo spettatore accetta tacitamente eventi fuori dall’ordinario: che da un momento all’altro, per esempio, un vialone si possa riempire di persone urlanti di gioia, che si muovono sincronizzati a ritmo di musica o che due amanti possano librarsi in volo e ballare sopra le nuvole, come nulla fosse.

 

I protagonisti di La La Land fanno esattamente questo: vivono un film (il loro film), dentro un altro film (il nostro film). 

 

Sempre in quest'ottica, un altro tratto distintivo del musical è che i personaggi guardano spesso e spudoratamente verso la macchina da presa, infrangendo la quarta parete e gettando via la maschera.

 

In La La Land questo succede già nei primissimi secondi, in un incipit che non potrebbe essere più grandioso: una folla di individui che ballano e cantano sui tettucci delle loro automobili, nel bel mezzo del traffico californiano; un piano sequenza da applausi.  

 

 

 

Scena ricreata in modo parodistico dal comico e conduttore Jimmy Fallon, per la presentazione della cerimonia dei Golden Globe 2017 dove lo si vede amoreggiare con Justin Timberlake; in verità, già quel divertente tributo iniziale aveva il sapore di una serata a senso unico, alla fine della quale La La Land si sarebbe portato a casa ben sette premi in altrettante categorie, record assoluto nella Storia della cerimonia. 

 

Azzeccatissima, poi, la scelta di scandire il racconto sulla base delle quattro stagioni, metafora delle fasi della vita e della relazione tra Mia e Seb.

 

Si parte con l’inverno, con l’inizio della storia e l’incontro tra i due protagonisti; poi la primavera, con la nascita dell’amore (a primavera tutto fiorisce, d’altronde); a seguire l’autunno, quando cominciano a delinearsi all’orizzonte i sintomi della crisi (che viene simbolicamente preannunciata dalla chiusura del piccolo cinema d’epoca, il Roialto); e infine ancora l’inverno, con un nuovo inizio (di vite e carriere) e il nuovo incontro tra Mia e Seb.

 

Il cerchio è chiuso.

 

 

La La Land La La Land 

 

I momenti indimenticabili di La La Land, comunque, sono tanti e diversi tra loro; oltre alla scena d’apertura ci terrei a citare in particolare il ballo a mezz’aria nell’Osservatorio Griffith, edificio che era stato mostrato allo spettatore giusto qualche minuto prima in un altro film, Gioventù bruciata, altro celebre titolo degli anni ’50 non a caso.

 

Molteplici i punti di riferimento utilizzati dal regista per la messa in scena: il più importante dei quali, forse, risiede nel magico ed emozionante finale per il quale Chazelle si è evidentemente ispirato, invertendo però i ruoli, a New York, New York di Martin Scorsese.

 

In quell’occasione il personaggio interpretato da Robert De Niro, il sassofonista Jimmy, rivedeva dopo tanto tempo l’amore della sua vita, una ormai affermata Francine (Liza Minelli), applaudendone la performance canora all’interno di un famoso e gremito locale di New York.

 

In La La Land i toni sono decisamente più malinconici ed è il personaggio femminile, Mia, a godere della performance musicale, ma il parallelismo è comunque cristallino.

 

Così come è cristallino il messaggio di chiosa: è davvero possibile vivere un grande amore o siamo destinati a trascorrere la nostra intera esistenza con il rammarico di quello che poteva essere, ma che non è stato? 

 

L’andamento della storia parla da solo; quando erano nei guai, entrambi vessati dalle difficoltà economiche e costretti a convivere con l’impossibilità di far avverare i propri sogni, Mia e Seb avevano nient’altro che loro stessi, l’uno per l’altra: erano “The Fools Who Dream”, semplicemente.

 

La scintilla aveva trovato un terreno fertile e libero, per poter esplodere e farli innamorare.

 

Man mano che i loro percorsi professionali prendevano forma qualcosa ha iniziato a incrinarsi nel rapporto, come se quel sentimento fosse talmente grande da meritare un altrettanto ampio spazio, che fosse staccato da tutto il resto.

Per usare un'immagine cara alla trama del film, si trattava di un amore che doveva necessariamente essere protagonista assoluto del palcoscenico (la vita), senza che fosse schiacciato o messo in ombra da interpreti di contorno (la carriera, il desiderio di fama e successo).

 

Ma è qualcosa che si è spezzato in modo definitivo e inequivocabile?

“Io ti amerò per sempre”: Mia suggerisce di no.

 

Continuerà a esistere nei loro cuori e nei loro ricordi; la realtà parallela che ci viene mostrata non è altro che il nascondiglio segreto dei loro sogni, dove rifugiarsi in qualunque momento e in qualunque luogo.

 

Una consapevolezza che si intravede nel primo piano conclusivo di Sebastian, che suggella un’opera che personalmente trovo assolutamente perfetta, in ogni singolo punto. 

 

 

La La Land La La Land 

Durante i titoli di coda di La La Land si ha come la sensazione di aver appena assistito a qualcosa di importante, qualcosa di unico, che costituirà la base di partenza per eventuali progetti futuri dello stesso genere e realizzati da altri cineasti.

 

E non importa che sia uscito sconfitto all’edizione degli Oscar (impossibile dimenticare come andò l'edizione 2017, ma qui trovate un approfondimento), perché quello che davvero conta è l’impatto che il film è riuscito ad avere in così poco tempo, entrando già nell’immaginario collettivo.

 

La La Land è il musical del nuovo millennio.

 

E finalmente possiamo dirlo: La La Land è il nostro musical. 

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