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Megalopolis: se dovessimo fermarci all’etimologia letterale, andremmo spasmodicamente a ricercare nella dimensione spaziale la sua natura primigenia: una “grande città” futuristica come tante se ne sono già viste nella Storia del Cinema.
La dimensione spaziale però, per noi spesso la più concreta, si piega alla dimensione temporale, qui presente quasi come una divinità, invocata, controllata, piegata ed esasperata secondo un fine ultimo più alto.
Devo essere sincera: tutto ciò che ho estrapolato da Megalopolis è venuto dopo.
Uscita dalla sala non riuscivo nemmeno a descrivere cosa avessi appena visto, perché lo strato superiore, quello più percepibile e immediato, non è ciò che rende giustizia a un film che è talmente tante cose da non stupire di essere il frutto di una gestazione iniziata quarant’anni fa: una gravidanza elefantiaca che fa del suo titolo un simbolo ben più stratificato del semplice nomen omen di uno spazio nuovo.
Sedetevi e preparatevi, lasciate da parte i giudizi facili e superficiali, riportate alla mente ciò che avete studiato pensando che non vi sarebbe mai servito e rifletteteci bene: il viaggio all’interno di questa pellicola densissima e straordinariamente ricca è appena iniziato.
[Il trailer ufficiale di Megalopolis]
La festa del classico
Mentre guardavo Megalopolis in sala ho avuto come la sensazione di essere tornata sui banchi di scuola delle superiori.
Mentre inquadrature immaginifiche stuzzicavano i miei occhi, c'erano versi e orazioni e liriche che hanno occupato i miei pomeriggi di compiti da adolescente che riempivano le mie orecchie, causando un effetto straniante.
Quelle parole, quei concetti, quelle idee che per molti di noi negli anni della scuola sono solo compiti da portare a termine acquistano significati concreti una volta che si è vissuto un po’ di più, una volta che si è conosciuto il mondo reale passo dopo passo.
Megalopolis è una festa del classico.
È una festa per tutti coloro che riconosceranno anche solo una citazione degli innumerevoli autori le cui parole entrano nella sceneggiatura in maniera costante e pertinente, plasmando il mondo immaginario di Francis Ford Coppola a nostra immagine e somiglianza.
È una festa del classico inteso come studio, ma anche come classicismo tecnico, visivo, narrativo, distopico.
Ci sono Fritz Lang, Charlie Chaplin e le sue didascalie in finto tufo, William Shakespeare, Thomas Moore, Jean-Jacques Rousseau, Dante Alighieri e tanti altri.
C’è tutto ciò che ha fatto la Storia della nostra civiltà e guardando a ciò che l’uomo ha già fatto, non si può che auspicare che possa continuare a farlo per altri secoli a venire.
Ho provato un brivido nel sentire le parole di Cicerone echeggiare dall’impianto Dolby Surround 7.1, mi ha stupito comprendere finalmente una volta per tutte i versi d’amore di Saffo che a scuola avevano per me il solo significato di materiale eccellente per una traduzione di greco.
Ho ascoltato Catullo in una veste nuova: forse sarà solo la mia impressione, ma quanti film permettono un’epifania del genere?
Megalopolis è una festa del classico, un classico che non significa tradizionalismo, ma bagaglio di strumenti utili a capire e plasmare il presente per consegnarlo al futuro e quale protagonista è il perfetto motore di questa macchina straordinaria come gli automi di fine Ottocento se non un architetto?
[Adam Driver è Cesar Catilina in Megalopolis]
Architetture lontane
New Rome, ovvero cosa sarebbe potuto accadere se la Roma imperiale e la New York della modernità si fossero fuse insieme.
Cesar Catilina (interpretato da un istrionico Adam Driver) è un architetto che vive sulla punta geometrica e specchiata del Chrysler Building - uno degli edifici sineddotici per la città statunitense - dalle cui altezze osserva il mondo circostante.
È un genio nel suo campo e ha appena vinto il Premio Nobel per l’invenzione del Megalon, un rivoluzionario materiale che promette di stravolgere l’idea di edilizia, rendendo così possibile la creazione della vera città del futuro: Megalopolis.
Già da qui possiamo percepire che il nome della nuova città non indica solo il suo essere “grande”, ma il suo essere "fatta della stessa sostanza di cui sono fatti i sogni", come lo stesso Catilina dirà durante il suo discorso di inaugurazione citando Shakespeare per la seconda volta: Megalopolis sarà fatta di un materiale che muta, che si adatta, che concretizza i (bi)sogni della gente che l’attraverserà.
L’architettura, più di altre arti, è l’unica traccia del passato visibile a tutti semplicemente passeggiando attraverso un luogo.
Anche se i tempi antichi ci hanno restituito, sotto forma di classici, i frutti della filosofia, della letteratura, dell’arte, della scienza, della musica, della storia di epoche pregresse, gli edifici sono forse l’unica forma comprensibile a tutti nell’immediatezza del proprio messaggio.
L’architettura è quell’arte costantemente risemantizzata, perché appartenente tanto alla Storia quanto alla quotidianità della civiltà.
Nell’idea di Catilina Megalopolis sarà una città per tutti, una città che cambierà in funzione delle necessità dei suoi cittadini.
Sarà quell’incontro tra urbs e civitas che guarderà al futuro e non soltanto al mero presente.
L’urbs, la dimensione materiale della città, è il segno di dominio collettivo attraverso i secoli, che viene risignificato di generazione in generazione dalla civitas, ovvero la dimensione sociale e umana di una città, cioè tutti coloro che la abitano.
Il grande limite dell’urbs è sempre stato quello di essere immobile, perché costruita di materiali fissi, statici, non mutevoli.
L’imbalsamazione delle nostre città è spesso legata proprio all’impossibilità di cambiare il volto e la forma di esse stesse, per far sì che si adattino alla nuova civitas, in tempi brevi e senza attraversare la timorosa ma necessaria fase della distruzione.
Guardando alla Storia, molte città hanno fatto un passo verso la modernità a seguito di eventi catastrofici, di certo non programmati, ma che hanno segnato uno spartiacque e tratto un’opportunità da una tragedia al fine di ridisegnare gli spazi circostanti.
Ecco dunque il grande incendio di Roma del 64 d.C, all’epoca di Nerone, quello di Londra del 1666 e ancora, la ricostruzione novecentesca di Messina dopo il terremoto devastante del 1908 e quella più contemporanea (e ancora in corso) de L’Aquila dopo il sisma del 2009.
Catilina ha la soluzione per tutto questo grazie al Megalon, il nuovo materiale che permetterà una dialettica continua tra urbs e civitas, ovvero tra materia e pensiero.
[Nathalie Emmanuel è Julia Cicerone in Megalopolis]
Julia Cicerone (una a mio avviso bravissima Nathalie Emmanuel), figlia del sindaco di New Rome, assiste alla presentazione del progetto di Megalopolis da parte di Catilina, che esordisce davanti alla platea con la sua prima citazione di Shakespeare, ovvero l’intero e ben noto monologo dell’Amleto.
"Ecco cosa ci ferma!
È proprio questa idea che ci fa reggere tanto a lungo la sventura di vivere: chi sopporterebbe altrimenti il flagello e le offese del tempo, l’ingiuria degli oppressori, la villania dei superbi, gli spasimi dell’amore disprezzato, le lungaggini della giustizia, l’arroganza dei potenti e gli sfregi che subisce dagli indegni l’umiltà dei meritevoli, se è possibile liberarsene da sé con un solo colpo di lama?”.
Affascinata dall’eloquenza dell’architetto e sfidando il proprio padre, suo acerrimo oppositore, Julia gli si avvicinerà diventando prima sua assistente e poi sua collaboratrice, comprendendo e condividendo il pensiero dietro Megalopolis e aiutando Catilina a realizzarlo.
Durante il loro primo incontro Catilina le mostrerà il progetto di Megalopolis: "Chiudi gli occhi e guarda il futuro", le dirà prima di farle attraversare il plastico della nuova città.
Julia vedrà quel futuro, osservando la materia che si plasma attraverso il pensiero: non il pensiero della mente creatrice dell’architetto, ma il pensiero di un passante sorpreso dalla pioggia e privo di ombrello, che vedrà la strada mutare forma e piegarsi sulla sua testa per non farlo inzuppare.
Una città che cambia, che ti viene incontro, che ti aiuta a vivere la vita al meglio delle tue possibilità: non è un sogno?
"Morire, dormire… Dormire. Sognare, forse".
[Uno dei panorami immaginifici di Megalopolis]
Chronos
Per realizzare un progetto come Megalopolis ci vuole tempo, una dimensione su cui Catilina ha il controllo ma che non gli è concessa dal sindaco della città, Franklyn Cicerone (un impeccabile Giancarlo Esposito), che guarda più ai bisogni immediati di pancia - in una posizione che definire populista è più che appropriato - invece che alla progettualità utile e necessaria anche alle generazioni a venire: una progettualità di cui forse le generazioni presenti non potranno godere ma che aiuterà i loro figli e nipoti.
Questo è un tipo di ragionamento che sentiamo piuttosto familiare, non trovate?
Se ci pensiamo bene, nella nostra società il pensare al futuro si è perduto da decenni: è l’ulivo da piantare che Roberto Vecchioni e prima di lui Nazim Hikmet hanno cantato, quello che il nonno cura e innaffia per il nipote anche se non ne potrà mai assaggiare i frutti.
Franklyn Cicerone si scaglia contro Catilina, usando alcune delle parole più famose della letteratura latina: quelle della prima Catilinaria, in cui abuso di pazienza, sfrontatezza, audacia, rammarico per i costumi ormai degenerati riempiono la bocca dell’oratore.
Parole che ai tempi di Cicerone romano avevano un significato, ma che in Megalopolis vengono totalmente ribaltate: Catilina, adesso, non è più il cattivo, ma è anzi colui che guarda ai costumi del passato e li vuole rivoluzionare.
Un nemico, per tutti coloro che vogliono che lo status quo non cambi. Ma è solo questione di tempo.
[Giancarlo Esposito è Franklyn Cicerone in Megalopolis]
Il tempo è forse la dimensione più materiale di Megalopolis.
Catilina ha il potere di fermarlo, con una sola semplice invocazione, e lo insegnerà anche a Julia, grazie a un’altra delle forze - o meglio: delle dimensioni - che sono capaci di trascendere tempo e spazio: l’amore.
È anche attraverso le parole di Saffo che Julia dimostra il suo amore a Catilina, ancora sofferente per il suicidio della moglie, donandogli una parte di sé, quella parte che schiudiamo solo a poche persone e che ci permette di entrare in totale connessione con loro.
Che ci permette anche di fermare il tempo.
“C’è chi dice sia un esercito di cavalieri,
c’è chi dice sia un esercito di fanti,
c'è chi dice sia una flotta di navi
la cosa più bella sulla terra,
io invece dico che è ciò che si ama”.
Julia e Cesar concepiranno una bambina, dal nome parlante di Sunny Hope (lo stesso nome della moglie defunta di Catilina, per la quale però ha agito da ossimoro).
Oltre a creare il futuro della città, insieme creano anche il futuro di loro stessi, una bambina che, come loro, è in grado di fermare il tempo, perché il Tempo è delle nuove generazioni.
Non avevo compreso la scena finale se non rileggendola in questa ottica: durante l’inaugurazione di Megalopolis, la famiglia è finalmente riunita: Cicerone ha accettato Catilina per amore della figlia e della nipote.
Cesar dice alla moglie di fermare il tempo e Julia lo ferma: tutto si blocca, tutto si immobilizza, loro compresi.
L’unica a rimanere in movimento è Sunny Hope, ancora troppo piccola per capire il potere che possiede e soprattutto per sbloccare tutto ciò che la circonda.
Dunque, cosa vuol dire?
Che il mondo rimarrà immobile finché la bambina sarà abbastanza grande per riappropriarsi del tempo e del movimento?
È una sorta di suicidio del vecchio a favore del nuovo?
Megalopolis, in effetti, si apre con il tentato suicidio di Catilina, che si appresta a lanciarsi dal tetto del Chrysler Building.
Si inclina verso una caduta inesorabile prima di fermare il tempo e dunque il moto: non c’è movimento senza tempo.
Il suicidio dell’architetto è la metafora della morte del creatore, perché quando un architetto ha concluso la sua missione è come se uccidesse sé stesso. È dunque così che dobbiamo leggere il “suicidio” finale: l’architetto ha concluso la sua missione, creare la città migliore possibile, e ora non gli resta che uccidersi per far sì che sua figlia viva.
È l’ulivo di Hikmet, ma anche il parricidio della mitologia greca.
Per dare vita alla propria stirpe Zeus, dio degli dei, deve uccidere suo padre Crono: ovvero, il Tempo.
[Aubrey Plaza è Wow Platinum in Megalopolis]
Il tempo è denaro
Catilina è un emarginato all’interno della sua stessa famiglia, che non è una famiglia qualsiasi.
Appartiene infatti ai Crasso, stirpe di banchieri ricchissimi e famiglia più potente di New Rome. Al vertice della piramide d’oro c'è Hamilton Crasso (la vecchia gloria Jon Voight), che ha a cuore il nipote Cesar anche se non sempre ne comprende le idee.
Curioso come il banchiere abbia un nome che più eloquente non potrebbe essere: i Crassi erano una delle famiglie romane più ricche, mentre Alexander Hamilton, uno dei padri fondatori degli Stati Uniti, fu il primo Segretario del Tesoro della neonata nazione.
Hamilton Crasso è uno dei personaggi kitsch di Megalopolis, di quelli che attraverso dei costumi magnificenti - curati dalla leggenda vivente Milena Canonero - e un’estetica roboante vogliono restituire gli eccessi di una città in decadenza.
La sequenza del matrimonio di Crasso con la showgirl Wow Platinum (l’esuberante Aubrey Plaza) è emblematica: l’evento si tiene al Nuovo Colosseo, che altro non è che il Madison Square Garden riadattato ad arena romana.
Gare di bighe, lotte tra gladiatori ed esibizioni musicali a metà tra Giovenale e Taylor Swift.
Panem et circenses, hora et semper.
Non è un caso che sia un banchiere ad avere un legame di sangue con l’architetto: il banchiere medievale, il “prestadenaro”, era considerato il peggiore degli eretici, in quanto maturando gli interessi riusciva a monetizzare il passare del tempo, che è una delle qualità di Dio e non dell’uomo.
Crasso fa denaro grazie al tempo, Catilina usa il tempo come denaro.
Non è nemmeno un caso che quando Crasso si trova in punto di morte per un ictus provocatogli dalle azioni scellerate dell’altro nipote, Clodio Pulcro (Shia LaBeouf mattatore come sempre), la voce narrante, ovvero quella del maggiordomo di Catilina (interpretato da Laurence Fishburne), faccia riferimento proprio al suddetto assassinio di Crono, padre di Zeus.
Il personaggio di Clodio Pulcro, che riprende pienamente il nome latino del politico romano prima amico e poi nemico di Cicerone, è uno dei più divertenti e pericolosi.
È il ricco nipote esibizionista, colui che odia il cugino Catilina per i suoi successi e che si pone demagogicamente a capo delle rivolte contro la costruzione di Megalopolis non tanto per le loro rivendicazioni quanto per fare un torto al cugino.
È colui che arringa la folla durante la propria campagna elettorale per diventare consigliere della città davanti a un tronco d’albero intagliato a forma di svastica, che urla "Sic semper tyrannis!" pur essendone l’epitome.
A completare l’estrosa famiglia Costanza (la mitica Talia Shire), madre di Cesar e sorella di Hamilton, che sembra essere a sua volta un’emarginata per via della sua labile stabilità mentale, che la porta a mischiare speculazioni sulla teoria delle stringhe e opinabili idee sulle relazioni amorose.
Eppure è grazie a lei che capiamo da dove la genialità incompresa di Cesar possa aver avuto origine.
Nemo propheta in patria, è proprio il caso di dirlo.
[Shia LaBeouf è Clodio in Megalopolis]
Fatti non foste a viver come bruti
Citare Dante e questo verso in particolare era la ciliegina perfetta sulla torta dell’appassionato discorso d’inaugurazione di Megalopolis a opera di Catilina.
Se è vero che la specie umana è quella che ha avuto il privilegio di superare sé stessa, civilizzandosi ed elevandosi al di sopra delle altre, è altrettanto vero che dovrebbe osservare la condizione di brutalità con un maggior distacco e cercare sempre di non ricadere in essa.
È ovvio invece che è ciò che la razza umana fa continuamente, come se tutto il pensiero accumulato e trasmesso nei secoli non sia stato abbastanza per permetterle di elevarsi ulteriormente e perseguire il progresso e il benessere del mondo.
Megalopolis è un grido di avvertimento e di speranza, non un canto delle Erinni.
Alternando i concetti di utopia e distopia, presentando di ognuno di essi lati oscuri e lati positivi, sembra volerci dire che è giusto fermarsi a riflettere su ciò che siamo, anche se non lo capiamo nell’immediato.
Tutto il sapere citato al suo interno non ha un intento esclusivo da intellighenzia, ma uno scopo più ampio, un invito a riappropriarci della conoscenza che ci hanno detto di accantonare perché inutile, superflua, non spendibile, non produttiva, pesante, noiosa, snob, radical chic, antieconomica, non edibile: una perdita di Tempo.
Megalopolis merita sicuramente una seconda visione, per una ragione che ho provato su me stessa.
L’estetica di Megalopolis è l’aspetto che colpisce per primo lo spettatore: la sua fotografia, per quanto mirabile, è patinata e ricorda più una rivista di moda che un film; non che questo sia per forza un male, ma alla prima visione distoglie l’attenzione dal contenuto.
"Patina" è la parola giusta: le immagini, di qualità eccelsa ma artefatte, coprono i pensieri, li lasciano solo intravedere; la nostra mente, quasi in maniera inconscia, percepisce che c’è molto di più dietro quella patina e grazie alla stimolazione dei nostri ricordi di formazione comincia a depositare un fondo denso e pregno, che quando si esce dalla sala sta ancora decantando.
Solo quando la patina delle immagini si dissolve, a poco a poco, ecco che il significato più profondo delle parole emerge in superficie.
[Uno dei numerosi scenari visionari in Megalopolis]
Megalopolis non è un film semplice né immediato.
Non è un film perfetto, ma non importa che lo sia: Megalopolis è pantagruelico, per fare il paio con quanto già detto qui su CineFacts dopo la première mondiale al Festival di Cannes.
Non è un film contorto, ma semplicemente va elaborato molto nelle ore successive alla sua visione.
Dopo averlo accantonato nella memoria per qualche ora si carica sempre più di significato, soprattutto se discusso e sviscerato insieme a un* amic* che l’ha già visto o che desidera vederlo (e non teme gli spoiler).
Credo anche che Megalopolis non sia un film per tutti e non deve esserlo per forza.
Non lo dico, riprendendo il ragionamento di prima, in senso classista, ma in senso più pragmatico: forse senza gli adeguati strumenti molti riferimenti non verranno colti, e va bene così, non è il film per voi.
Mi preme però dire che, tra gli spettatori, la percentuale di esperti in fisica quantistica sarà sicuramente ridotta, ma ciò non ha impedito a suo tempo a un film come Interstellar di essere apprezzato dal grande pubblico.
Ho la sensazione dunque che le numerose critiche che Megalopolis sta ricevendo siano basate sul fatto che molti non avranno non tanto il modo quanto la voglia di sforzarsi a cogliere i significati ulteriori al di là di immagini spettacolari e battute da sceneggiatura hollywoodiana.
Andate più a fondo, fatevi stupire dalle parole oltre che dalle immagini, fate vostra l’invocazione che Dante mise in bocca a Ulisse, l’uomo più ingegnoso della Storia, e scoprirete quanto c’è da conoscere, quanto l’umanità abbia già conosciuto e quanto valga la pena che essa si salvi, per continuare ad avere un futuro luminoso in nome del pensiero.
Sono in classe, ai tempi del liceo, e sto ascoltando recitare versi di Saffo, Catullo, orazioni di Cicerone e tragedie shakespeariane.
Ma non sono più in classe: sono al cinema a vedere Megalopolis.
CineFacts non ha editori, nessuno ci dice cosa dobbiamo scrivere né come dobbiamo scrivere: siamo indipendenti e vogliamo continuare ad esserlo, ma per farlo abbiamo bisogno anche di te!
1 commento
Giacomo Camilli
12 giorni fa
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