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25 anni di Matrix: cult cyberpunk tra realtà e simulazione

Il 7 maggio 1999 usciva nelle sale italiane il primo capitolo di una saga destinata a diventare cult

Quando Matrix uscì per la prima volta, un quarto di secolo fa, fu qualcosa di profondamente innovativo.

 

Un mix di filosofia, arti marziali e cyberpunk in grado di lasciare il segno nella cultura cinematografica contemporanea e soprattutto di aprire uno scorcio sul futuro, all’alba del nuovo millennio. 

 

[Il trailer originale di Matrix]

 

 

Sulla fine degli anni '90 il mondo si preparava a entrare in una nuova era, in cui la rete avrebbe dovuto abbattere ogni barriera e permettere agli individui di vivere al meglio la propria libertà; le sorelle Wachowski intercettarono un diffuso sentimento di incertezza verso la realtà che si andava delineando. 

 

Attraverso un racconto incentrato sul ruolo della tecnologia nella società del futuro, Matrix rielaborò le paure che in quegli anni alimentavano l’incubo di un futuro distopico.

 

Che fosse profezia o suggestione poco importa, perché ciò che ne nacque fu a mio parere un’opera iconica, la cui influenza è ancora leggibile fra le righe della nostra quotidianità. 

 

 

[Matrix: tramite messaggi anonimi il protagonista viene messo al corrente di essere prigioniero in una simulazione]

 

 

Matrix è nei modi di dire, nelle metafore, nella simbologia della cultura pop.

 

Se frequentate abitualmente questo sito vi sarà sicuramente capitato di leggerne una citazione nell’alert della homepage.  

 

Del resto “Matrix è ovunque, è intorno a noi”, come dice Morpheus (Laurence Fishburne) a Neo (Keanu Reeves), un attimo prima di svelargli la verità: quel mondo che il protagonista conosce in realtà non esiste. 

È tutto frutto di una simulazione, creata da un’Intelligenza Artificiale per soggiogare gli esseri umani, nient'altro che “una prigione per la mente” che rappresenta solo una proiezione del mondo reale. 

 

Come in un moderno mito della caverna dunque, spetta a Neo liberarsi dall’illusione, prendere coscienza di sé e vedere la realtà com’è davvero: stringhe di codice di programmazione che controllano la vita e il destino di uomini e donne. 

 

Solo dopo aver compreso il codice e visto la luce del sole, Neo può tornare in Matrix completamente cambiato e in grado di piegare la realtà a proprio piacimento, perché se nulla è reale non esistono leggi a cui sottostare, neanche quelle della natura. 

 

 

[Matrix: la digital rain è un espediente grafico presente nell'intera saga e rappresenta il codice della realtà simulata di Matrix]

 

Indagando i significati più profondi del rapporto tra realtà e società, Matrix intreccia il concetto di trasformazione con il tema della ricerca di identità.

 

“I personaggi - come aveva spiegato Lana Wachowski - sono in cerca di risposte” perché si sentono intrappolati in un mondo e in un corpo che non appartiene loro. 

Capire questo è fondamentale per avere chiaro uno dei grandi valori di questo film, ovvero che l'intera opera può essere letta come una grande allegoria della transizione

 

Non è un caso, infatti, che all’epoca dell’uscita le registe Lily e Lana rispondessero ai nomi Larry e Andy; perché in Matrix chi si sente intrappolato o fuori posto può finalmente realizzarsi. Nella simulazione i protagonisti non hanno più catene o restrizioni: possono prendere in mano la propria vita e fare cose straordinarie, come combattere contro cento uomini, saltare da un palazzo all’altro e schivare le pallottole. 

Questo è Matrix: un’opera di fantascienza che attinge a grandi mani dai racconti di Philip K. Dick e rievoca le ambientazioni cyberpunk di Ghost in the Shell di Masamune Shirow e le atmosfere noir di Strange Days di Kathryn Bigelow. 

 

 

Non solo, perché oltre le riflessioni filosofiche e il senso profondo della parabola dei protagonisti, il film delle sorelle Wachowski è un blockbuster che coinvolge lo spettatore grazie a un impianto visivo che ha fatto la Storia del Cinema, con scene d’azione spettacolari e un uso innovativo della CGI. 

Per le scene di combattimento, infatti, venne coinvolto il coreografo di arti marziali Yuen Wo-ping, già regista di Drunken Master e responsabile delle scene d’azione in produzioni successive di grande successo come La tigre e il dragone e Kill Bill

 

Le famose scene dell’allenamento nel dojo e degli scontri fra i ribelli e gli agenti restituiscono agli amanti del Cinema di Hong Kong tutta la bellezza di quel genere. 

 

 

[Matrix: a sinistra Trinity (Carrie-Anne Moss) e a destra Neo (Keanu Reeves) ingaggiano uno scontro a fuoco con decine di agenti]

 

Il supervisore degli effetti speciali John Gaeta, invece, rielaborò il concetto di Bullet Time, che grazie a Matrix raggiunse la popolarità, regalandoci quelle scene in cui la camera ruota vorticosamente intorno ai personaggi che si muovono a rallentatore schivando pugni, calci e proiettili, sequenze che rimarranno per sempre impresse nella memoria cinematografica. 

 

La fotografia di Bill Pope è tutta sviluppata sui toni del verde, un richiamo al prompt comandi del terminale, che è poi anche la vera essenza del mondo virtuale grazie a cui la simulazione di Matrix prende vita. 

È impossibile non parlare poi dell’influenza che la pellicola ha avuto sulla moda. 

La scelta di vestire i ribelli di Matrix con soprabiti di pelle, tute viniliche e occhiali da sole senza montatura rese ancora più accattivante l’estetica del film. 

 

Il design ideato dalla costumista australiana Kym Barrett richiamava allo stesso tempo la dinamicità dei mantelli dei supereroi e l’austerità degli abiti talari e diede il via a uno stile dark e futuristico che ciclicamente torna a dominare le passerelle di tutto il mondo.

 

 

[Matrix: in questa scena si può vedere un esempio di Bullet Time]

 

 

Nonostante la ribellione delle macchine rimanga uno scenario remoto, oggi il nostro mondo potrebbe sembrare molto simile a quello predetto da Matrix. 

 

Abbiamo lasciato che la tecnologia fosse sempre più presente e indispensabile nelle nostre vite, l’Intelligenza Artificiale sta occupando dei ruoli sempre più dibattuti nella società mentre Instagram, Tik Tok e i loro algoritmi influenzano i nostri acquisti, decidono per noi cosa guardare, chi votare. 

 

In questa cornice, il racconto delle sorelle Wachowski rimane a mio parere un’opera intramontabile, in grado di lasciare il segno all’interno di un’intera generazione, capace di interpretare le manifestazioni del capitalismo moderno e soprattutto di far riflettere su quella che vogliamo sia la nostra realtà.  

 

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